RI-CONOSCERE IL CRISTO.
III DOMENICA DI PASQUA
RICONOSCERE IL CRISTO
Il Mistero della morte-risurrezione di Cristo illumina l’esistenza di o-gnuno e la colloca definitivamente sotto la luce della vita. Chi non cre-de in lui rimane nella morte, ma chi si decide per Cristo la vince ogni giorno in attesa della vittoria definitiva. Pur rimanendo inserito in un mondo di morte, dopo la Pasqua il cristiano ha in sé il pegno della risurrezione e vive in essa: chi crede in Gesù Cristo e lo ama è già passato dalla morte alla vita.
Le apparizioni del Risorto valicano la cerchia dei soli apostoli. E’ per tutti - apostoli compresi – la questione è la stessa: come credere? Non èstato facile per gli apostoli, non sarà facile per tutti.
RI-CONOSCERE IL SIGNORE
Nei racconti delle apparizioni di Gesù dopo la risurrezione, c’è un dato costante: i discepoli non lo riconoscono. L’apparire improvvisamente è un modo per presentare la realtà nuova del Risorto. Come per i discepoli di Emmaus, il punto di arrivo a cui il Risorto vuol condurre gli Undici è di ri-conoscerlo vivente e credere in lui.
Il Signore appare al gruppo degli Undici, i primi credenti. Nonostante le testimonianze precedenti permangono i dubbi e le difficoltà a credere. Gesù dà prova di molta pazienza: dialoga con loro, accoglie i loro dubbi, è attento alle loro difficoltà, li conduce poco alla volta ad una realta nuova che li supera e li trascende.
Fa loro il dono di sperimentare la verità della sua presenza corporea: li invita a toccare e guardare, chiede loro del cibo per condividere ancora quella convivialità che apparteneva al loro vivere insieme.
Li invita a rileggere la Scrittura alla luce della sua passione, morte e risurrezione: a riconoscere che Lui, il Risorto, altri non è che il Crocifis-so passato da questo mondo al Padre (cf.Gv. 13,1). Per gli Undici è una esperienza di prossimità e di trascendenza insieme; di familiarità che si esprime attraverso i gesti di sempre ma che al contempo segna una distanza che si percepisce nel suo presentarsi con l’autorità stessa di Dio, per invitarli a predicare e ad annunziare la salvezza.
Ma vi è anche un senso comunitario in questo cammino di fede. Le apparizioni del Risorto non sono mai rivolte ai singoli, anche quando Gesù appare ad uno solo: vi è sempre l’invito a portare l’annuncio agli altri, a scambiarsi l’esperienza vissuta nel contatto con lui, a divenire testimoni presso coloro ai quali sono inviati.
SECONDO LE SCRITTURE
Gesù invita gli Undici a ritornare alle Scritture. Anche nel Cenacolo, gli apostoli si trovano in cammino verso la fede nel Risorto: il loro spirito si apre, grazie a Gesù, all’intelligenza delle Scritture, perché la loro fede si fondi sulla risurrezione, compimento della parola dei profeti.
Il Risorto si afferma come presenza viva tra i suoi. Egli è là dove essi sono e offre loro, ancora una volta, la ricchezza della sua parola.
Nella Parola di Cristo e nei suoi gesti, la realtà del Risorto permane nella Chiesa e in essa opera la salvezza per tutti i credenti in lui.
E nel proclamare la Parola di Cristo e ripetendone i gesti salvifici, la Chiesa rende pienamente attuale ed efficace la sua passione, morte e risurrezione, da cui è scaturita la salvezza. Salvezza che è vita nuova e che ha i caratteri della vita stessa del Risorto, « l’ autore della vita »(At. 3,15).
Il Risorto ripropone ai discepoli di oggi la stessa scelta che ha chie-sto a quelli di allora: il cammino della fede, da ripercorrere ad ogni Pasqua. Dalla fede in Cristo dipende la missione affidata agli apostoli e, dopo di loro, a chiunque lo segue. Ed essere testimoni non è il risul-tato di una decisione personale, per quanto coraggiosa, ma l’invio da parte di un Altro.
Il cristiano, infatti, non è autore della testimonianza, ma è voce di colui che lo manda; anche se, al contempo, la testimonianza da rendere non è facoltativa, poiché la missione è elemento costitutivo della Chiesa e di ogni discepolo.
Anche oggi il Signore continua a risvegliare alla fede i cuori dei cre-denti, manifestandosi come Salvatore e chiedendo loro di portare il suo nome in ogni luogo della terra. E ognuno ha il compito di attualizzare la missione che gli è affidata, rendendola visibile negli ambienti in cui vive
Ma sa di non essere solo, perché Gesù gli assicura la forza dall’alto: lo Spirito. Una forza donata in abbondanza, che rende i credenti coraggiosi e perseveranti.
PREGHIERA
Signore Gesù, Grazie a loro, anch’io
quanta fatica hai affrontato ti ho conosciuto, ho visto te
per aiutare i tuoi amici a nella Chiesa, ho ricevuto
riconoscerti risorto, lo stesso la tua Parola e la tua Vita
di prima, ma tutto nuovo. Aiutami ad essere vero:
Hai mangiato del pesce, che io non dica di conoscere te,
ma avevi fame della fede di amarti davvero, mentre non
degli apostoli, prima, e riconosco il tuo volto nel fratello.
di tutti gli altri, dopo.
Ultimo aggiornamento (Sabato 21 Aprile 2012 11:36)
IL RISORTO IN MEZZO A NOI.
Domenica « in albis » o della Divina Misericordia
IL RISORTO IN MEZZO A NOI
E’ la Domenica dei doni del Signore risorto e della beatitudine dei creden-ti. Gesù si presenta in mezzo ai suoi amici e dona la sua pace, radice dell’unità e dell’aiuto tra i fratelli;trasmette la propria missione agli Apostoli perché continuino a realizzarla visibilmente nel mondo;quindi realizza la promessa del dono dello Spirito che li rende capaci di fare le stesse opere, a cominciare dal perdono dei peccati, espressione visibile della inconcepibile Misericordia di Dio. La difficoltà di Tommaso a credere alla testimonianza degli amici apre la strada alla nostra fede, senza vedere, e alla nostra beatitudine, in attesa del nostro ottavo giorno, quando incontreremo faccia a faccia il Signore.
Per tutti, il giorno è una realtà caratterizzata dalla luce che succede alle tenebre della notte. Metaforicamente parlando, è quella situazione di chiarezza che prende il posto del dubbio, delle paure, delle inquietitudini. E’ al contempo – dopo il riposo, la distensione, la calma della notte –offre, col sorgere del nuovo mattino, una sensazione di liberazione: le cose non appaiono più così scure come la sera prima, anche se non sipreannunciano ore di gioia.
Il cristiano non è chiamato a minimizzare le notti che tolgono luce al cuore e serenità alle stagioni della vita. E invece invitato a fare affiorare alla memoria tutto ciò che in sé e attorno a sé è tristezza, inquietitudine, preoccupazione, per poter meglio ascoltare e apprezzare l'invito a scommettere sul S ignore: su colui che è divenuto pietra d’angolo, roccia salda per la fede e la speranza del credente.
GLI APOSTOLI, TESTIMONI OCULARI
Anche gli Apostoli stavano vivendo giorni bui, i più bui della loro vi-ta. I giorni della Passione erano stati carichi di tenebre e di morte non solo per il Maestro, ma anche per loro. La sera di PASQUA erano paurosi: accolgono così il loro Signore che, risorto, li raggiunge e li saluta offrendo loro la pace. Come nella notte della sua nascita gli angeliavevano canta-to la pace per l’umanità, in questa notte della fede il Risorto offre la pace ad un mondo riconciliato con Dio.
Le mani e il costato sono quelle del Crocifisso, ed ora è lì, in mezzo a loro. E’ proprio Lui, non un altro: anche se è divenuto « altro » in forza della risurrezione. Agli Apostoli, testimoni oculari, è dato di identificare il Risorto con il Crocifisso. Questa manifestazione del Cristo dopo la sua risurrezione è particolarmente importante: saranno loro, gli Undici, i futuri responsabili della comunità cristiana. E dopo il saluto di pace, il Risorto li investe della stessa missione che il Padre ha affidato a Lui.Cristo li man-da, rendendoli idonei, con il dono dello Spirito, a compiere ciò per cui sono mandati.
Vera investitura, l’incontro degli apostoli con Cristo segna la nascita della Chiesa e lo Spirito di Pentecoste è donato per il perdono dei peccati dell’intera umanità. Ci si trova davanti ad un vero rito di ordine sacramen-tale, dove i gesti sono accompagnati dalle parole.
La Chiesa è apostolica, perché fondata da Cristo sugli apostoli. E la fede cristiana è apostolica perché fondata sull’esperienza personale di questi testimoni oculari. I credenti che verranno giungeranno alla fede non attraverso la visione del Signore, ma per mezzo della loro parola predicata e ascoltata.
DAL DUBBIO DI TOMMASO ALLA FEDE DEI FEDELI
Dal tempo apostolico si passa al tempo della Chiesa: al tempo della fede che nasce dalla testimonianza di coloro che hanno visto. Tommaso rappresenta chi dubita della risurrezione: una reputazione non del tutto positiva per la sua « poca fede ». Ma in verità, Tommaso rappresenta tutti: come credere, senza aver visto con i propri occhi?
Nell’incontro con Tommaso, Gesù sembra cedere alle sue richieste: lo invita a « toccare con mano » la nuova realtà del Risorto. Ma soprattutto lo invita a credere. E non sembra che Tommaso abbia toccato il Signore prima di pronunziare la sua professione di fede.E sulla parola che l’apo-stolo crede a Cristo, con una confessione rimasta incisa nella storia dell’umanità. La sua confessione di fede rappresenta il riassunto di tutto il Vangelo e ha una nota personale molto marcata: « Mio Signore e mio Dio !». Tommaso riconosce in Gesù il Signore ( il Kyrios, titolo divino per eccellenza) e il Figlio di Dio. Sarà seguita dall’ultima beatitudine riservata a coloro che hanno creduto senza vedere. Alla gioia del primo incontro segue la gioia della fede.
Ogni battezzato è invitato a esprimere lo stesso atto di fede nei confronti del Risorto e a gioire per questa nuova beatitudine, l’ultima, che interpella tutti i credenti. E’ formulata proprio per coloro che verranno, che crederanno senza aver visto con gli occhi della carne. Beato chi crede sulla parola dei testimoni e ha quella fede che nasce dall’ascolto. Una fede che riposa sull’esperienza comunitaria degli apostoli e che richiede la testimonianza di chi proclama con le parole e le opere che il Risorto è il Signore della vita !
PREGHIERA
Apostoli del Signore, Avete ricevuto la missione
non attendevate nessuna novità. Che lui stesso aveva dal Padre,
Sulla pietra del sepolcro per voi avevate bisogno dello Spirito
era scritto: fine!, la parola e ne siete stati riempiti.
capace di uccidere la speranza. Anch’io, grazie a voi, ho ricevuto
Tre giorni di paura, voglia il perdono che rende nuovi,
di tornare ognuno a casa sua. e, grazie a Tommaso, credo
E poi la più incredibile realtà: senza vedere e sono beato.
« Pace a voi », ed è lui, vivo.
CRISTO HA VINTO LA MORTE
CRISTO HA VINTO LA MORTE.
Nella Celebrazione della Veglia pasquale, con tutti i suoi riti e gesti:
la liturgia della luce con l’accensione del Cero pasquale, simbolo di Cristo-Luce,
la Parola di Dio che illumina il cammino dell’umanità, la
celebrazione dell’Eucaristia, la Chiesa ricorda e rivive nell’oggi, con
l’annunzio della Risurrezione di Cristo, l’evento salvifico della sua vit-
toria sulle tenebre del peccato e della morte. L’oscurità di quella not-
te è squarciata dallo splendore della Risurrezione, che il canto festoso
dell’Alleluia rende alla terra e soprattutto all’umanità la gioia di una
rinascita.
UN DIO CHE SQUARCIA IL BUIO DELLA NOTTE
Vegliare. In questa notte i cristiani sono chiamati a vegliare. Vegliare,
affinché giorno dopo giorno risorga nel mondo la speranza, l’amore, la
pace. Vegliare, per celebrare il grande passaggio dalla morte alla vita.
Dopo l’inizio dei tempi, dopo la notte delle origini e la notte di Bet-
lemme, è ancora nel cuore di una notte, la più sconvolgente di tutte,
che viene portato a compimento il disegno divino. Sconvolgente, perché
il Crocifisso, colui che ha tanto amato l’uomo da donare la sua vita, ri-
suscita: ormai, e per sempre, il male e la morte, sono vinti!
La Veglia pasquale è veramente il ritorno alle sorgenti. Per ogni cri-
stiano è un tornare alle fonti del Battesimo e della fede cristiana, per
ridiventare con il Signore una creatura nuova, capace di vivere una vi-
ta rinnovata. La liturgia lo fa simbolicamente e sacramentalmente, ri-
cordando le origini dell’umanità, le origini del popolo di Dio, le origini
della fede cristiana. E’ fare memoria di tutto ciò che ha fatto nascere e
e crescere la fede non solo per i credenti ma per il mondo. Cristo alfa
e omega: in questa liturgia è raccolto il significato di tutta la storia u-
mana e cosmica, poiché in questa notte si scrive la pagina nuova dell’u-
manità . Un nuovo inizio…
Notte degli inizi del mondo…Notte della liberazione dalla schiavitù
Egiziana…Notte che vede nascere i tempi nuovi e il compimento delle
Promesse di Dio! Creazione, liberazione, incarnazione, redenzione.
La luce del mondo vince le tenebre, mentre il fuoco dello Spirito abbrac-
cia i deserti del mondo. Con la risurrezione di Cristo zampilla la luce.
In questa notte le tenebre lasciano il posto al Giorno del Signore, in cui
si manifesta la sola potenza capace di scoperchiare i sepolcri e manife-
stare il senso della storia dell’umanità: Gesù, risorto e glorificato, è il
primo, ma la risurrezione non è solo per il Figlio del Padre, ma è anche per
ogni cristiano. E ogni battezzato sa che in Lui la storia conduce alla
salvezza, alla felicità, alla pienezza dell’incontro finale con Dio e con i
fratelli, nel Regno dei cieli.
LE DONNE
Ogni Evangelista ha raccontato l’evento pasquale, dove i diversi
dettagli non hanno la funzione di informare su ciò che è accaduto,
ma servono a mettere in evidenza il senso dell’avvenimento.
Sono delle donnole prime persone a recarsi al sepolcro, all’alba del
giorno di Pasqua. La festa del Sabato non aveva permesso loro di com
piere tutti i riti della sepoltura. Tornano ora, con oli aromatici, per im-
balsamare il corpo del Signore, e si preoccupano del modo con cui a-
avrebbero potuto far rotolare la pietra posta all’ingresso del sepolcro.
Si sentono sprovvedute ed esitanti dinanzi alla morte del loro Signo
re. Non sentono in loro la forza e il coraggio di affrontare la realtà do-
lorosa di questa morte e vogliono testimoniare il rispetto e l’amore che
portano al loro Maestro. Ma trovano la pietra rotolata e il sepolcro
vuoto, e il messaggero della Bella Notizia. Gesù è vivo! Per Marco è un
giovane vestito con una veste bianca che annuncia la risurrezione di
Gesù.
Era stata una donna, la Vergine Maria, che aveva vegliato sulla na
scita di Gesù, in quella Notte Santa dove la vita del Figlio di Dio era
sbocciata. E nel mattino di Pasqua sono ancora delle donne che van-
no al sepolcro, per non lasciarlo solo nella sua morte. Vicine alle sor-
genti e al mistero della vita, trovano naturale essere le prime a recar-
si da Lui. Il Vangelo dice che vanno per ungere il corpo del Signore, ma
a loro importa soprattutto e semplicemente « esserci »: una presenza che non ha bisogno di
parole per esprimere amore.
Come le protagoniste di questa pagina di Marco, ogni credente è
invitato oggi a fare propria la sollecitudine di queste donne nel procla-
mare e testimoniare al mondo la Risurrezione. A portare la straordi-
naria notizia che Cristo è vivo e continua a condurre a salvezza ogni
uomo che lo accoglie come Signore.
PREGHIERA
Signore Gesù, C’era anch’io sotto la croce
C’ero anch’io nelle’Eden con Maria, madre tua e mia,
uscita dalle mani di Dio, volevo morire con te,
creata a tua immagine ma ma non ho avuto il coraggio.
Mi sono lasciata ingannare. Sono venuta al sepolcro
C’ero anch’io mar Mar Rosso per profumare il tuo corpo,
son passata all’asciutto ma tu mi hai presa per mano
verso la Terra Promessa, ma e hai detto:« Risorgi con me ».
VENERDI' SANTO: AGNELLO DI DIO CHE TOGLIE IL PECCATO DEL MONDO
VENERDI’ SANTO
L’AGNELLO DI DIO CHE TOGLIE IL PECCATO DEL MONDO
Il Venerdì Santo celebra la passione e morte di Cristo che manifesta sulla croce la sua regalità. Pur facendo memoria del suo dolore e della sua morte con una vena di profonda tristezza e smarrimento di fronte alla durezza del cuore umano, la Chiesa celebra oggi la vittoria della Vita sulla morte, del perdono divino sull’infedeltà umana, dell’amore sul dolore e sull’odio. Fino a quando la vicenda umana sarà segnata dalla croce del Venerdì santo, sarà sempre storia di salvezza.
In questo giorno per antichissima tradizione la Chiesa non celebra la Eucaristia, ma commemora insieme i due aspetti del mistero della Croce: la sofferenza che prepara la gioia della Pasqua e la vergogna di Gesù da cui sorge la sua glorificazione. Oggi è già “Pasqua”: Cristo che muore sulla croce « passa » da questo mondo al Padre, dal suo costato sgorga per noi la vita divina; noi « passiamo » dalla morte del peccato alla vita in Dio.
Il Mistero pasquale che è il centro dell’esistenza di Cristo è il punto di arrivo della sua Incarnazione. Come tale, è anche il centro della vita della Chiesa e di ogni credente. La gioia dell’ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme ha presto lasciato il posto alle note dolorose della sua passione, al Crocifisso innocente e al silenzio della morte. E ogni cristiano, che nel Venerdì santo rimedita la passione del suo Signore, è invitato a volgere lo sguardo a Colui che per lui è stato trafitto.
IL SERVO « SOFFERENTE » DI DIO…
La Parola di Dio presenta Cristo, Figlio di Dio e Servo sofferente. Il racconto della passione non è che la concretizzazione storica di come Gesù ha realizzato la volontà del Padre, compiendola fino alla donazione suprema di sé, per amore del Padre e per la salvezza degli uomini.
Isaia introduce nel mistero profondo di Cristo, mistero di obbedienza e di accettazione volontaria della sofferenza e della morte . Nel testo profetico la liturgia offre l’interpretazione messianica riferita a Gesù, il suo particolarissimo valore cristologico: Gesù stesso vi avrà letto la prefigurazione della propria missione e l’ha certo riferito alla sua persona, come testimonia l’esperienza dei discepoli di Emmaus.
La figura misteriosa del Servo di Dio è presentata con tratti che rispec-chiano l’interiorità di Cristo e della sua storia di Salvatore. Il Servo è undiscepolo fedele che vive un ascolto obbediente e una docilità incondi-zionata a Dio ed è impregnato di una profonda fiducia in lui. E proprio in Dio trova il coraggio e la forza per non opporre resistenza o sottrarsi alla persecuzione. I tratti dolorosi della persecuzione del Servo sono gli stessi che segnano la passione di Gesù. Ed è proprio il racconto di essa che presenta al vivo i segni della sofferenza di Cristo, tradito, schiaffeg-giato, oltraggiato, crocifisso e trafitto. Gesù berrà fino all’ultima goccia il calice amaro del dolore e della morte, affidandosi totalmente al Padre.
…OBBEDIENTE FINO ALLA MORTE IN CROCE.
Il titolo di Servo è un appellativo che Gesù ha fatto proprio durante tutta la sua vita umile e povera. Ha segnato il suo stile, in cui l’obbe-dienza non è solo la dinamica della sua esistenza, ma lo scopo dell’In-carnazione e della Passione redentrice. La Lettera agli Ebrei specifica come questa obbedienza sia il risultato di una lunga e dolora esperienza che Gesù ha realizzato sulla terra, mettendosi in sintonia con la volontà del Padre e accettando di essere provato in ogni cosa, eccetto il peccato.
Giovanni indica la croce come via di glorificazione. In questo evento ultimo della vita del Maestro il discepolo amato vede il suo innalza-mento che riporta il Figlio in seno alla Trinità. Nell’ « essere innalzato » è proclamata la vittoria di Cristo sul principe di questo mondo. E nell’attirare tutti a sé dall’alto della croce, si realizza il raduno del popolomessianico intorno a Cristo.
L’essere attirati dal Crocifisso indica il dono della salvezza e la ri-sposta della fede di chi si lascia attirare da lui. Gesù attira a sé rivelando se stesso: rivelando nel dono totale di sé l’amore per il Padre e per l’umanità. In quel suo « è compiuto! » è racchiusa la piena coerenza della sua vita. E a suggello della sua obbedienza sacrificale e del suo amore estremo, il Crocifisso effonde tutto il suo sangue, sacramento vivente della salvezza e della vita nuova, divina, elargita in dono all’umanità.
Per obbedienza totale del Figlio di Dio, la sua morte in croce è dive-nuta sorgente di vita per tutti coloro che credono in Lui e obbediscono al Crocifisso-risorto. E la stessa croce diviene segno di riscatto, di liberazione e di elevazione per tutti coloro che condividono con Gesù la passione della vita.
PREGHIERA
Signore Gesù, Obbedire al Padre era il
i capi ti hanno trascinato tuo cibo, salvare noi era
davanti a Pilato ma lui, la tua missione e non hai
ferito dalla verità, ti ha esitato:« Tutto è compiuto .»
proclamato innocente. La croce è il tuo trono regale,
Abbiamo capito che, perché e noi volgiamo lo sguardo a te,
innocente, eri l’unico a poter perché ci attiri col tuo amore
ottenere dal Padre il perdono e fai di noi la famiglia di Dio.
per noi, salendo sulla croce.
UN PANE DI VITA E UN CALICE DI SALVEZZA
GIOVEDI’ SANTO
UN PANE DI VITA e UN CALICE DI SALVEZZA
Il Giovedì santo la Chiesa si raduna per celebrare l’Eucaristia nel ri- cordo dell’ultima cena, del comandamento dell’amore e dell’istituzione del sacerdozio. Il Signore anticipa nel « segno » il sacrificio della croce. Colui che è ricevuto nell’Eucaristia è l’Agnello di Dio immolato, che toglie il peccato del mondo. Egli si rende presente nella celebrazione litur-gica con il suo Corpo immolato che è pane di vita e seme d’eternità, e con il suo Sangue sparso, che è bevanda di immortalità.
La Chiesa oggi ci chiama a contemplare il Cristo nell’ora del suo te-stamento e del dono della vita. E’ bene riascoltare le parole più signi-ficative di questa speciale celebrazione eucaristica.
PAROLE DA RICORDARE
Gesù nell’Ultima Cena, dopo aver lavato i piedi ai discepoli, dà loro un comando: « Vi ho dato un esempio…perché anche voi facciate come io ho fatto a voi ». Il Signore sa quanto le parole possono essere facilmente dimenticate o suonare a vuoto. Così prima di parlare, compie un gesto forte, dal significato profondamente universale, anche se forse può disturbare qualcuno, come Pietro. Dopo aver lavato i piedi dei Dodici, il Maestro li interroga. Vuol sapere se hanno compreso i suo gesto per po-terlo ripetere nel tempo, carico del suo preciso significato. In fondo, ribadisce il comando dell’amore, il suo unico e solo comandamento nuovo.E fa capire ai suoi che il ripeterlo è il solo modo utile per evangelizzare continuamente se stessi e farsi ogni giorno servi…per amore.
Gesù aveva desiderato condividere la propria Pasqua con i suoi; de-siderio struggente di intimità, di comunione, di condivisione. Quella cena con i discepoli non era stata lasciata al caso: Gesù l’ha voluta inten-samente. E quella sera egli celebra con loro la sua ultima Cena, per in-augurare una nuova Pasqua, la sua.
Da quel momento, celebrare l’Eucaristia non è conformarsi semplice-mente a un ordine ricevuto: ripetere ciò che ha fatto Gesù. Non è nean-che partecipare ad una semplice cerimonia sacra. Celebrare l’Eucari- stia è fare memoria e rivivere il dono che Gesù ha fatto di tutto se stes-so. E’ essere abitati dallo stesso desiderio, poiché è scritto nella dinami-ca dell’amore: è il volersi sedere a tavola con lui, mangiare la sua stes-sa Pasqua per entrare con lui nello stesso movimento di dono-servizio. E’ entrare nei suoi sentimenti e nel suo stesso essere, è imparare da lui ad essere fratelli e servitori degli altri. Ma più ancora amici.
L’ INQUIETUDINE DEL DONO.
L’Eucaristia, che racchiude l’amore fedele e colmo di tenerezza di Dio per il suo popolo, è un dono che inquieta. Non potrebbe essere altri- menti. Partecipare a questo dono deve far sentire a ogni cristiano l’ansia di un regalo che, liberamente offerto, attende a sua volta di essere condiviso e corrisposto.
Oltre a costituire il culmine della vita cristiana, è un immenso tesoro spirituale, che nasce da un amore infinito: Dio ama fino alla fine. E’ questo fino alla fine a qualificare l’amore di Gesù, Figlio di Dio: un amore pronto e risoluto ad affrontare qualunque sofferenza. Colui che ha proclamato le Beatitudini, manifesta in questa Cena il segreto della vera felicità, nascosto nella fedeltà più autentica e totale dell’amore:
« fino alla fine ». E come gli ebrei, nella prima Pasqua, si cinsero i fianchi per l’esodo verso la terra promessa, Gesù si cinge i fianchi prima di affrontare la grande avventura del più alto servizio che lo conduce alla Risurrezione, passando per il dono della vita attraverso la gloria della croce.
Amare e servire è un tutt’uno. Non si ama senza essere dono: donoconcreto di se stessi nella realtà di ogni giorno. E in ogni Eucaristia si celebra non solo il dono di Cristo, ma anche il dono del suo Corpo, che è la Chiesa. In questo Cristo totale che si offre al Padre, c’è la vita di ogni credente: una vita che deve essere donata in Lui e con Lui nello Spirito.
E in questo Giovedì santo, è giusto pregare intensamente per la Chiesa, povera e fragile, spesso screditata a torto o a ragione. UnaChiesa che Gesù ama così come è, chiamata a ricalcare le orme del Maestro e che, fino alla fine, attraverso il memoriale eucaristico, deve dire al mondo tutto l’amore di Gesù per ogni uomo.
PREGHIERA
Signore Gesù, Hai reso il corpo tuo e il tuo
avevi atteso tanto la cena, sangue cibo e bevanda di vita,
l’avevi preparato con cura per tutti, buoni e cattivi,
perché fosse folgorazione perché si amassero da fratelli.
d’amore per i tuoi amici. Aiutaci a ripetere con gioia
Li volevi puliti nel cuore e tutto quello che hai fatto tu:
nella pelle e li hai lavati lavare i piedi, perdonare,
tutti, anche Pietro, testardo, amare fino a dare la vita.
e chi aveva già tradito.