





VENERDI' SANTO: PASSIONE DEL SIGNORE.
29 Marzo – VENERDI’ SANTO
PASSIONE DEL SIGNORE, il vero AGNELLO PASQUALE
Nel Venerdì Santo la Chiesa non celebra l’Eucaristia, ma vive nella contemplazione del suo Signore crocifisso, che ha donato la sua vita per manifestarle in « maniera ostinata » il suo amore sponsale. La Liturgia di questo giorno si svolge in tre momenti:
- l’ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO, con le letture che preannunciano la passione del Servo di Dio (Isaia), letta come sacrificio di espiazione del sommo Sacerdote, per mezzo del quale abbiamo accesso al trono della Grazia per ricevere misericordia (Lettera agli Ebrei), contemplazione della Passione di Gesù;
- La SOLENNE PREGHIERA DELLA CHIESA per tutte le necessità della Chiesa e della Umanità;
- La SOLENNE ADORAZIONE DELLA CROCE e si conclude con la Comunione.
Una esistenza consegnata alla morte.
Tutti ci domandiamo sul senso della nostra vita, sulla morte, sulla speranza di un vita ultraterrena. Ma ciò che ci dice qualunque esperienza religiosa ci fa rimanere nella oscurità del dubbio e non dà nessun senso e significato al dolore? La morte, come realtà ultima, se considerata solo come distruzione dell’uomo, e Gesù ha voluto fare questa esperienza umana in tutto anche nella flagellazione e nei dolori, nessuno può cambiarla, neppure l’autorità terrena(Pilato,la cui autorità gli è stata data dall’alto). Solo Dio, Signore della vita e della morte, dà a tale distruzione una realtà trasformante.
La croce di Cristo.
Cristo non è venuto ad eliminare la morte ( lui stesso l’ha subita ), ma ci ha indicato la modalità con cui questa realtà ultima dell’uomo viene superata per l’opera di Dio. Nell’obbedienza di Cristo fino alla morte e alla morte di croce alla volontà del Padre, l’uomo comprende che la morte, come distruzione naturale del corpo, in quanto sottomesso alla caducità a cui Dio l’ha sottomessa, gli fa riconoscere la finitezza della sua vita terrena.
Se la Via della Croce è l’esperienza del dolore e della morte, la Via della Luce e della fede, per il credente che si fa coinvolgere da Cristo, portando ognuno la propria croce dietro a Lui, si realizza un cammino che lo porta verso una maggiore pienezza nella fede: cioè, più noi ci conformiamo a Cristo nelle sue sofferenze nelle circostanze della vita, nel dolore, nel servizio agli altri, nelle rinunzie quotidiane derivanti dalle nostre responsabilità, tanto più noi realizziamo il nostro camino di fede e di santità.
Come il centurione che di fronte al comportamento di Gesù esclama: « Davvero quest’uomo era Figlio di Dio! » ( Mc 15,39), anche noi, davanti a Cristo crocifisso che svela la sua identità divina, dovremmo emettere il nostro atto di fede in Lui e imitarlo.
Dall’alto della sua croce Cristo ci fa il dono di poter credere in Lui. Alzando il nostro sguardo verso il crocifisso Gesù ci attira a sé, ci conduce alla Verità della fede in Lui e alla maturità spirituale, a noi spetta solo accogliere questo dono lasciandoci attrarre dal suo amore.
Il Venerdì Santo è un giorno che mette alla prova la nostra fede, un giorno in cui dobbiamo rinnovare la nostra adesione a Cristo, perché solo così possiamo aprirci all’orizzonte della vita eterna. Il mistero di Cristo
Crocifisso non ci è svelato ancora completamente ma ci viene offerta una promessa come disse Gesù al buon ladrone che intravide il mistero del suo regno: « In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso ».(Lc 23,43).
La morte, a cui tutti gli uomini siamo soggetti, e Gesù non l’ha voluta schivare, resta sempre una pena, ma non è una condanna. La morte ci apre alla vita, quella vera nella “terra dei viventi”, perché il Dio che ha risuscitato suo Figlio Gesù è il Dio dei vivi e non dei morti.
La nostra vita, tutta la nostra esistenza, anche la nostra morte, ci dice Gesù in croce, dipende da Dio il quale eleva la nostra morte e ne fa l’aurora della vita, l’inizio di una esistenza rinnovata in cui incontreremo il Signore, non più velatamente ma “faccia a faccia”. Gesù risorto è la primizia di questa nuova esistenza.
Il Venerdì Santo, con il suo digiuno, nel silenzio delle campane, nel tabernacolo vuoto e nella penombra che avvolge la chiesa, ci preannunzia questa nuova esistenza offerta in dono all’uomo, e realizzata in Cristo Risorto.
L’obbedienza di Gesù alla volontà del Padre, vissuta fino alla morte e alla morte di Croce, ripaga a nome di tutta quanta l’umanità la prima e continuata disobbedienza con cui l’uomo nel suo orgoglio ha preteso di voler essere come Dio. Con l’abbandono che Gesù e chi si configura a Lui fanno nelle mani del Padre, a cui la morte ci obbliga, ripara la sfiducia dell’uomo nel pensare che Dio non ci ami. Il sacrificio di Gesù oggi è promessa che l’attesa troverà pieno appagamento nella luce del Risorto. In ogni Venerdì Santo lo splendore di questa luce non ci è dato ancora di contemplarlo. Da quel giorno in poi, nella Croce del Signore viene svelato l’annuncio per l’uomo di una vita nuova, rinnovata nel tempo di ognuno, ma pienamente trasformata nella stessa gloria in cui è entrato Gesù.
Prima Lettura: Is 52,13-53.12.
Attraverso la sofferenza del Servo di Dio, che si addossa le nostre iniquità per espiarle offrendo se stesso in sacrificio di riparazione, si compirà la volontà del Signore: in Lui saranno radunati gli uomini, dispersi e sperduti come un gregge, guariti per le sue piaghe , giustificati e dati a Lui in premio, poiché Egli intercede per i colpevoli.
Salmo 30
La preghiera esprime la supplica, la fiducia e il ringraziamento perchè Dio viene riconosciuto protettore potente. Il Giusto si abbandona nelle mani di Dio perché lo salvi e lo liberi strappandolo dalle mani dei sui persecutori. Gesù, colui che non aveva conosciuto peccato, si abbandona nelle mani del Padre celeste dicendo:« Padre nelle tue mani consegno il mio spirito » (Lc 23,46)
Seconda Lettura : Eb4,14-16.5.7-9
I credenti, professando la loro fede in Gesù, il Figlio di Dio, che quale sommo sacerdote ha sperimentato le nostre infermità e debolezze eccetto il peccato, sanno che Egli ormai intercede presso il Padre per ottenere loro misericordia e grazia. Così l’autore li esorta ad accostarsi al trono di Dio, perché Cristo Gesù, per la sua obbedienza, è diventato causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.
Passione secondo Giovanni.
Per chi crede, la croce, più che scandalo, è glorificazione e intronizzazione. Il Cristo crocifisso è il definitivo e vero sacrificio pasquale che riunisce il popolo della nuova alleanza. La Croce,dice la liturgia della Chiesa, è Trono, da cui Cristo regna, e Talamo, in cui ha unito a sè, come sua sposa, con patto di eterna alleanza l’umanità redenta.
CELEBRAZIONE DELLA CENA DEL sIGNORE
TRIDUO PASQUALE
28 Marzo – GIOVEDI’ SANTO
CELEBRAZIONE DELLA CENA DEL SIGNORE
Con questa celebrazione inizia il Triduo pasquale in cui accompagniamo il Signore Gesù nella sua Cena-Passio-ne-Morte e e che culmina con la Veglia pasquale della Risurrezione nella DOMENICA DI PASQUA.
Tutta la Comunità si riunisce per celebrare la Cena del Signore, nella quale Egli istituì « il nuovo ed eterno Sacrificio, convito nuziale del suo amore » , il Sacerdozio ministeriale, così da poter attuare il comando dato agli Apostoli di perpetuare la sua offerta, come vittima di salvezza, in sua memoria. Nel segno della lavanda dei piedi, poi, volle dare un esempio vivo di servizio vicendevole, come memoria del suo comandamento dell’amore fraterno. Nella adorazione eucaristica della notte del Giovedì, nella solenne adorazione della Croce e nella veglia pasquale, i cristiani prolungano la contemplazione dei santi misteri del Signore,
Memoriale del Mistero di Cristo.
La celebrazione che realizza il mistero pasquale di Cristo è quella della Veglia di Pasqua, mentre la celebrazione della Cena del Signore rende presente, nell’oggi della storia degli uomini e nella dimensione del rito, il Mistero pasquale del Signore.
Oggi, per la Comunità del Signore, celebrare la Pasqua è celebrarla nel rito eucaristico e nella Messa vespertina del Giovedì, ricordando la Cena del Signore con i suoi discepoli. Rivivendo la consegna data da Lui ai discepoli, divenuta « TRADIZIONE » ecclesiale, la Chiesa rende grazie al Padre, si associa al sacrificio di Cristo, lo offre e ne partecipa. (Cor 11,23-26).
Se la cena dell’ultima Pasqua celebrata da Cristo con i suoi discepoli li introdusse nel mistero della sua Pasqua, prima di passare, attraverso la morte, da questo mondo al Padre, la celebrazione di questo giorno aiuta i cristiani a capire e partecipare allo stesso mistero di Gesù, loro
Maestro e Signore. Il dono che Gesù fa di se stesso nella morte dà inizio ad una sua presenza nuova nel Pane eucaristico. Dice padre Turoldo che non solo la Chiesa e la sua liturgia non potrebbero pensarsi senza l’Eucaristia, ma neanche l’incarnazione del Cristo e la sua redenzione avrebbero significato se non ci fosse stato il dono supremo fatto da Lui dell’ultima cena, che fa di Sè il cibo e il nutrimento che ci accompagna nel nostro pellegrinaggio e che ci permettere di entrare in comunione con Dio: L’Eucaristia attua, nel mistero, l’Incarnazione per la quale il Verbo si è fatto uomo nella nostra finitezza, e noi, mangiando di Lui, pregustiamo ed entriamo nella sua eternità, diveniamo partecipi della sua divinità.
Oggi la Parola esorta i cristiani a vivere attorno all’Eucarestia nell’unità dei discepoli di Gesù, il quale ha pregato perché essi « siano una cosa sola come il Padre è in Lui ed Egli nel Padre »: così Gesù diventa centro della nostra vita di credenti , centro delle nostre speranze e della comunione vicendevole.
Poiché la Cena ci ricorda anche che Gesù ha sparso il suo Sangue per la salvezza di tutti gli uomini, allora, questa celebrazione deve farci aprire alla universalità verso tutti gli uomini attraverso un impegno di carità che non esclude nessuno. Soprattutto le Chiese cristiane, attraverso il dialogo ecumenico, dovrebbero ritrovarsi, con iniziative e attività pastorali, a celebrare la Pasqua del loro Signore nell’unità della fede e della carità, così da essere credibili al mondo.
Dono e servizio di Cristo consegnati ai suoi discepoli.
La giornata del Giovedì Santo non è solo caratterizzata dalla istituzione dell’Eucaristia, ma anche l’istituzione del Sacerdozio ministeriale e del Servizio fraterno della carità. Sacerdozio e carità, in riferimento all’Eucaristia, realizzano la comunione che Cristo ha voluto da noi, imitando
il dono di sé e il suo servizio: questa è l’unica via che dobbiamo percorre per vivere ed essere la sua Chiesa.
Mentre i Sinottici riferiscono i gesti e le parole di Gesù di quegli ultimi suoi istanti di vita inerenti ai riti pasquali, san Giovanni riporta la lunga preghiera di Gesù, la lavanda dei piedi con il comando ai discepoli di fare altrettanto vicendevolmente. E come per l’ Eucaristia aggiunge “ fate questo in memoria di me ”, così anche in questo gesto vi pone il comando di imitarlo: se Egli, che è il Maestro e il Signore, lava i piedi ai discepoli, anch’essi devono farlo in spirito di servizio. Il gesto compiuto da Gesù non sminuisce la sua dignità né riduce la sua gloria, ma ne rivela, come avverrà con la sua croce, l’alto grado di amore e di fraternità con gli uomini che è venuto a servire e a salvare. E’ venuto aveva detto « non per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per tutti ».
Il servizio e la Croce diventano espressione del suo ministero messianico, missione che è venuto a compiere per salvare tutto l’uomo in attuazione della volontà del Padre. I Cristiani solo ponendosi in questa logica, donando la propria vita nel servizio ai fratelli, come il Maestro, possono aver parte con Lui e per Lui essere in comunione col Padre.
Prima lettura: Es 12,1-8.11-14.
Nella Pasqua celebrata dal popolo ebraico per ricordare la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, è prefigurata la nuova Pasqua che Gesù, vittima sacrificale del Nuovo Patto, realizza mediante la sua morte e risurrezione, per liberare l’umanità dalla schiavitù del peccato e della morte e renderla il nuovo popolo dei salvati.
Salmo 115
Esprime il riconoscimento dei benefici operati dal Signore e il ringraziamento per l’intervento potente e liberatore di Dio, per il quale l’orante eleva la sua lode e si impegna ad adempiere davanti a tutto il popolo ai voti a Lui promessi.
Seconda Lettura : 1Cor 11,23-26.
San Paolo ci ricorda ciò che lui ha ricevuto dal Signore e ciò che ha trasmesso ai Corinzi in riferimento alla Tradizione dei gesti e delle parole dette da Gesù nell’Ultima Cena e della istituzione dell’ Eucaristia.
Vangelo : Gv 13,1-15
Gesù ama i suoi « fino alla fine », e il segno di questo amore estremo, illimitato è il dono totale che egli fa di se stesso. E’ la sua vita resa usufruibile per i credenti in lui. La lavanda dei piedi è come il simbolo di questa donazione
E un segno di servizio che egli è venuto a rendere alla nostra umanità. L’amore non è vero se non serve. Egli che è il Maestro e il Signore non esercita la potenza, ma porterà alla massima espressione l’amore che si dona.
Nel « memoriale del rito perenne dell’Eucaristia»possiamo intensamente misurare la carità che ci ha redento e che dobbiamo attestare e imitare.
Domenica delle Palme. celebriamo Cristo Re, osannato e Crocifisso.
24 MARZO – DOMENICA DELLE PALME - 2a Domenica di Passione.
GESU’ CRISTO, FIGLIO DI DIO e SIGNORE CROCIFISSO.
Con la Domenica delle Palme la Chiesa inizia solennemente la Settima Santa che culmina con il TRIDUO PASQUALE in cui si celebra il Mistero della Morte e Risurrezione di CRISTO SIGNORE.
Dopo il cammino quaresimale, in cui con la conversione e la Penitenza siamo stati portati a contemplare la vicenda terrena di Gesù nella sua morte e risurrezione, il Triduo Pasquale ci fa rivivere il mistero dell’obbedienza totale di Cristo al Padre, prefigurata dal Servo di Jawhè, servo sofferente e perseguitato, ma fedele anche davanti agli insulti dei flagellatori, davanti ai quali, sorretto da Dio, resta saldo.
Il mistero della Croce.
La Passione di Gesù raccontata da Luca, è al centro della Litugia della Parola. E se la nostra attenzione in qualche maniera, nella prima parte, è attratta dall’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme osannato come il Figlio di David dalla folla ,festante, il racconto della Passione di Gesù, delle sue sofferenze sopportate pazientemente, ci riporta alla concretezza di ciò che ha sofferto colui che è stato vivino agli ammalati, si è chinato su ogni forma di sofferenza. Egli stesso sperimenta l’angoscia del tradimento, il dolore, la morte e la sconfitta del suo sforzo di salvare il suo popolo.
Nel pianto per l’amico Lazzaro egli ci mostra il suo amore per gli uomini e nel rifiuto da parte di Gerusalemme la sua profonda tristezza. Davanti a questi eventi Gesù non è passivo né si rassegna ma guarisce e opera il bene a coloro che incontra. Cosi nella solidarietà e nella liberazione da tutto ciò affligge l’uomo Gesù lotta contro ogni forma di male di cui l’uomo soffre. Ma le scelte operate da Gesù si tramutano in scandalo: Egli che viene a liberare i poviri e i sofferenti fa l’esperienza della sconfitta, del silenzio di Dio, della morte. Così colui che si presenta come il buon pastore diventa l’Agnello che si immola, il seminatore diventa il grano che muore, il Signore diventa il Servo sofferente che prende su di sé le nostre colpe. Gesù, allora, appare come uno sconfitto e come il “maledetto da Dio”, come è detto nel Deuteronomio:« Maledetto colui che pende dal legno »(Dt 21,21-23).
Il silenzio e la fiducia di Gesù che scandalizzano.
Davanti a Cristo crocifisso i suoi nemici possono trionfare perché hanno eliminato un in inopportuno e sembra che Dio stesso avalli il loro successo. Gesù in croce da una parte e il Padre dall’altra sono al centro di una tensione: da una parte c’è chi vuol crede a condizione che Gesù scenda dalla croce, poiché ha detto di essere Figlio di Dio, dall’altra chi crede proprio perché vi rimane, come il centurione che vedendolo spirare in quel modo dice:« Davvero costui era Figlio di Dio !». Gesù domanda al Padre perché lo abbia abbandonato, ma il Egli tace e la voce del battesimo e del Tabor non risponde.
Sul Calvario viene cancellata l’immagine di un Dio che interviene miracolosamente nella storia degli uomini per porre fine alle sofferenze. La morte reale di Gesù contesta tutte le false immagini di Dio e l’affidamento di Gesù al Padre, nelle cui mani rassegna il suo spirito, diventa il gesto supremo della obbedienza a Lui, ma anche il gesto di un Dio che manifesta il suo supremo amore per gli uomini. Si comprende, allora, perché il mistero della croce ci avvicina a Dio in modo totalmente diverso e sorprendente. Esso mette in risalto il mistero che si fa conoscere come l’inconoscibile, che domanda di accettarlo nella sua imprevedibilità, nella sua realtà scandalosa: si dona totalmente fino alla morte di croce. Gesù che muore in croce è l’uomo che fa la massima esperienza e dell’amore di Dio, di un amore di autentica donazione.
Un Dio che sconcerta.
Gesù in tutta la sua vita ha cercato di ristabilire la verità su Dio e sull’uomo. Se Gesù, nel dono totale di sé, è la definitiva parola di Dio, e nella Passione egli è l’irradiazione della gloria del Padre, l’impronta della sua potenza e della sua sostanza, se egli è non solo il volto imano di Dio, ma è anche perfettamente uno con il Padre, allora dobbiamo purificare tutte le nostre precomprensioni su Dio, le nostre false e rassicuranti immagini che abbiamo di Lui.
Non dobbiamo riconoscere altro Dio se non quello che si manifesta così vulnerabile nella vicenda della morte del suo Cristo. Una tale rivelazione ci interpella radicalmente: qual è dunque questo Dio che si dice e si dona attraverso la morte di Colui che egli manifesta come suo Figlio?
Questo mistero è oggi al centro della fede che celebriamo: Gesù è il Re che osanniamo, ma è un re crocifisso per amore!
Solennita' di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria.
19 marzo - Solennità di San Giuseppe,
Sposo della Vergine Maria
Prima Lettura
Dalla lettera agli Ebrei 11, 1-16
La fede dei santi padri
Fratelli, la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza.
Per fede noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sì che da cose non visibili ha preso origine quello che si vede.
Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, attestando Dio stesso di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora.
Per fede Enoch fu trasportato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via. Prima infatti di essere trasportato via, ricevette la testimonianza di essere stato gradito a Dio (Gn 5, 24; Sir 44, 16). Senza la fede però è impossibile essergli graditi; chi infatti s'accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano.
Per fede Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non si vedevano, costruì con pio timore un'arca a salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e divenne erede della giustizia secondo la fede.
Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
Per fede anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare (Gn 15, 5; 22, 17; 32, 12. 13).
Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città.
Responsorio Cfr. Rm 4, 20. 22; Gc 2, 22
R. Fiducioso nella promessa di Dio, non vacillò, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio. * Questo gli fu accreditato come giustizia (T. P. alleluia).
V. La fede cooperava con le opere di lui, e per le opere quella fede divenne perfetta.
R. Questo gli fu accreditato come giustizia (T. P. alleluia).
Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Bernardino da Siena, sacerdote
(Disc. 2 su san Giuseppe; Opera 7, 16. 27-30)
Il fedele nutrizio e custode
Regola generale di tutte le grazie singolari partecipate a una creatura ragionevole è che quando la condiscendenza divina sceglie qualcuno per una grazia singolare o per uno stato sublime, concede alla persona così scelta tutti i carismi che le sono necessari per il suo ufficio. Naturalmente essi portano anche onore al prescelto. Ecco quanto si è avverato soprattutto nel grande san Giuseppe, padre putativo del Signore Gesù Cristo e vero sposo della regina del mondo e signora degli angeli. Egli fu scelto dall'eterno Padre come fedele nutrizio e custode dei suoi principali tesori, il Figlio suo e la sua sposa, e assolse questo incarico con la più grande assiduità. Perciò il Signore gli dice: Servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore (cfr. Mt 25, 21).
Se poni san Giuseppe dinanzi a tutta la Chiesa di Cristo, egli è l'uomo eletto e singolare, per mezzo del quale e sotto il quale Cristo fu introdotto nel mondo in modo ordinato e onesto. Se dunque tutta la santa Chiesa è debitrice alla Vergine Madre, perché fu stimata degna di ricevere Cristo per mezzo di lei, così in verità dopo di lei deve a Giuseppe una speciale riconoscenza e riverenza.
Infatti egli segna la conclusione dell'Antico Testamento e in lui i grandi patriarchi e i profeti conseguono il frutto promesso. Invero egli solo poté godere della presenza fisica di colui che la divina condiscendenza aveva loro promesso.
Certamente Cristo non gli ha negato in cielo quella familiarità, quella riverenza e quell'altissima dignità che gli ha mostrato mentre viveva fra gli uomini, come figlio a suo padre, ma anzi l'ha portata al massimo della perfezione.
Perciò non senza motivo il Signore soggiunge: «Entra nella gioia del tuo Signore». Sebbene sia la gioia della beatitudine eterna che entra nel cuore dell'uomo, il Signore ha preferito dire: «Entra nella gioia», per insinuare misticamente che quella gioia non solo è dentro di lui, ma lo circonda ed assorbe da ogni parte e lo sommerge come un abisso infinito.
Ricòrdati dunque di noi, o beato Giuseppe, ed intercedi presso il tuo Figlio putativo con la tua potente preghiera; ma rendici anche propizia la beatissima Vergine tua sposa, che è madre di colui che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli infiniti. Amen.
5a DOMENICA DI QUARESIMA.
17 MARZO – 5a DOMENICA DI QUARESIMA
« Chi è senza peccato scagli la prima pietra ».
Il primato del perdono di Dio è ancora al centro della Parola di Dio di questa domenica. Il perdono di Dio riscatta l’uomo dal peccato di superbia e dall’egoismo in cui si rinchiude. L’agire di Dio con il suo amore sta sempre prima dell’agire dell’uomo e lo accompagna anche quando l’uomo ricade nel peccato. Il rinnegamento che l’uomo fa di Dio non riesce a flettere la fedeltà dell’amore che Dio ha per lui, perché questo amore è talmente profondo che non è soggetto a variazioni umorali o libertari da cui l’uomo può essere influenzato.
Nella prima lettura viene ricordato ai deportati in Babilonia che la fedeltà di Dio, come è avvenuto nell’Esodo, continuerà ad intervenire per liberarli e condurli nella terra promessa.
San Paolo ci ricorda che Gesù, a cui egli ha creduto, ha dato nuovo senso alla sua vita, per cui ritiene come spazzatura le cose di prima di fronte alla salvezza ottenuta per la fede in Cristo e non per l’osservanza della Legge. E’ dono gratuito di Dio la giustizia che proviene da lui, per cui possiamo conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze che ci rendono conformi a lui e ci danno la speranza di di giungere alla risurrezione.
Una donna accusata per la sua violazione della Legge
Una donna accusata di flagrante adulterio è al centro del brano evangelico di Giovanni: una peccatrice, adultera, giudicata da un tribunale che l’ha processata e per la quale bisogna applicare il verdetto della lapidazione previsto dalla legge di Mosè.
A Gesù, che gli scribi e farisei riconoscono come Maestro, viene chiesto un pronunciamento sul caso per cui lo stanno interpellando, anche se già avevano deciso sulla punizione che dovevano dare alla donna, dovendo applicarsi la legge di cui essi sono rigorosi osservanti. Essi ragionavano: se avesse perdonato alla donna lo avrebbero accusato di porsi contro l’osservanza della Legge, se l’avesse condannata gli avrebbero rinfacciato la contraddizione tra il perdono proclamato nella sua predicazione e il suo agire.
Ma Gesù riesce a svincolarsi dalla provocazione dei farisei e, impassibile davanti all’atteggiamento di condanna degli accusatori, dice in modo lapidario :”Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”. Non sappiamo cosa Gesù abbia scritto sulla sabbia. Se il peccato pone l’uomo contro Dio e il peccatore resta nel male è destinato a rimanere nella polvere da cui è stato tratto. Il perdono di Dio invece rinnova l’uomo e lo rende nuova creatura.
Gesù esorta la donna ad andare e a non peccare più.
Dio, con il perdono, offre all’uomo una novità di vita. Allora anche l’osservanza della Legge ritrova il suo significato, perché Cristo è venuto a far nuova ogni cosa. Egli ridà il cuore nuovo, come si dice nel salmo 50, rinnovato dal suo Spirito.
Un orizzonte nuovo oggi ci offre la Parola del Vangelo perché il Signore ci chiama a vivere nella gioia del perdono e di una vita nuova di comunione e di amore con Lui. Ecco perché la Quaresima dobbiamo sentirla come un tempo che viene dato per una rigenerazione interiore e liberare in noi una forza di cambiamento che ci rinnova:
« Va’ e non peccare più ».
Incontrare Gesù, allora, significa iniziare un cammino spirituale che ci fa imitare Lui, uomo nuovo. Egli ci offre il modello di uomo, riconciliato con Padre, disposto a vivere il suo rapporto di figlio.
Ecco perché nella Domenica di Pasqua, dice la Liturgia, vi è una nuova creazione, in quanto con Cristo risorto l’uomo può risorgere a vita nuova e con lui tutta la creazione risorge. E ogni domenica, nel ricordo dell’evento della risurrezione, noi celebriamo la gioia di essere risorti con Cristo.
« Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra contro di lei ».
Gesù mette gli accusatori della donna adultera davanti alla loro coscienza. Questi, ritenendosi giusti in modo legale, hanno dimenticato che la vera giustizia è quella che viene da Dio, e solo se si è giusti, cioè senza peccato davanti a Dio, allora potremmo arrogarci il diritto di operare al suo posto. Solo Gesù, il solo giusto, avrebbe potuto operare in tal senso. Ma la giustizia di Dio e la sua misericordia non sono per condannare ma per perdonare come disse Gesù al paralitico : “ti sono rimessi i tuoi peccati ”; ma il gesto di Gesù aveva scandalizzato coloro che erano attorno a Lui. Il perdono che Dio dona al peccatore lo fa uscire dal suo passato e lo apre ad un rapporto di amore con Lui e con i fratelli, lo orienta verso una identità di figlio e di fratello. Il perdono non nega la presenza del peccato, ma riafferma la potenza dell’amore misericordioso e costante di Dio che sa andare oltre il peccato e la debolezza dell’uomo. La proposta che oggi il Vangelo ci offre è quella di saper andar, come fa Dio, oltre la semplice logica legale umana e ci fa aprire alla speranza che tutti davanti a Dio, essendo peccatori, siamo oggetto del suo amore. A Dio spetta la prima e l’ultima parola sulle sue creature e sui suoi figli. A noi spetta solo testimoniare questa gratuità di Dio nella nostra vita: siamo stati creati e redenti, al di là dei nostri limiti e debolezze, dall’amore di Dio.
Prima Lettura : Is 43,16-21.
Il profeta, davanti alle paure del popolo esiliato, lo invita ad aprirsi alla novità di che sta per manifestarsi. Il ricordo degli interventi di Dio nella loro storia dovrebbe dare loro speranza che Egli non viene meno alle sue promesse.
Salmo 125.
La gioia del ritorno suscita nei deportati gioia ed esultanza. Essi sono invitati a rallegrarsi, come avviene per i torrenti del Negheb, al sopraggiungere delle piogge, perché il Signore compie grandi cose, prepara per loro, dopo le lacrime, la gioia di sentirsi liberati dai mali presenti e di godere dei benefici della sua assistenza benefica.
Seconda Lettura: Fil 3,8-14.
Paolo, ricordando i privilegi di cui aveva goduto nella sua vita passata, riconosce che, dopo aver sperimentato la grazia di Dio in Gesù e il suo amore, tutto il suo passato è da considerarsi come spazzatura di cui liberarsi. La sua esistenza è ora protesa verso una meta : la pienezza della risurrezione, verso cui corre per conquistarla, essendo stato conquistato da Cristo.
Vangelo : Gv 8,1-11.
La giustizia che l’uomo deve ricercare non è tanto quella che deriva dall’osservanza farisaica ed esteriore della Legge, quanto quella che deriva dalla fede in Dio e dal suo perdono accolto nel riconoscimento del proprio peccato. E’ questo il nuovo orizzonte esistenziale che Gesù vuol farci comprendere: nell’incontro con Lui è data la novità della vita. Bisogna osservare la Legge di Dio dopo essere rinati a questa dimensione nuova dell’esistenza. “ Non pensate che sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto” ( Mt 5,1718).