Gesù salva l'uomo guarendolo nel corpo e nello spirito.
15 FEBBRAIO – VI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO
Nell’assemblea, che si raduna per celebrare ogni Domenica la Pasqua del Signore, è presente Dio che, per mezzo del suo Spirito, ci dona nel pane e nel vino il Corpo e Sangue di Cristo Gesù, suo Figlio. L’amore del Padre e la nostra risposta di figli a questo amore ci rende commensali a questo banchetto a cui siamo invitati e non estranei. Anche ognuno di noi è tempio dello Spirito dove Dio dimora, se con « cuore retto e sincero » custodiamo la Parola di Dio e viviamo nella fedeltà alla sua volontà. Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia chiediamo al Padre celeste:« Risanaci dal peccato che ci divide, e dalle discriminazioni che ci avviliscono; aiutaci a scorgere anche nel volto del lebbroso l’immagine del Cristo sanguinante sulla croce, per collaborare all’ opera della redenzione e narrare ai fratelli la tua misericordia ».
La carità, che è « pienezza della legge », e l’accoglienza di Cristo presente nei fratelli sofferenti, poveri, oppressi sono il segno visibile che l’amore di Dio abita in noi. Vivendo la misericordia, come compartecipazione alle sofferenze dei fratelli, diventiamo il segno dell’umanità rinnovata dall’ amore.
Prima Lettura: Lv 33,1-2.45-46.
Chi era colpito nel corpo dalla lebbra, nella mentalità del Vecchio Testamento, doveva vivere segregato dalla comunità, portare vesti strappate e capo coperto, velato nel volto e, per evitare di contagiare altri, doveva gridare “ Impuro! Impuro!” . E tale doveva essere considerato e doveva starsene isolato finché durava il suo stato di malattia. Con la venuta di Cristo la guarigione dalla lebbra sarà uno dei miracoli che egli compirà a favore di chi ne era affetto. Chi ne veniva guarito doveva presentarsi al sacerdote per essere riammesso nella comunità dei fratelli.
Come la lebbra, nella sua materialità, rende il corpo di chi ne è colpito insensibile, specie negli arti, al caldo e al freddo, agli stimoli , così spiritualmente possiamo dire che il peccato rende insensibile lo spirito dell'uomo alle realtà spirituali. Gesù è venuto per rendere l’uomo, affetto dalla lebbra del peccato, per cui vive come segregato nel suo mondo di male, libero dalle insensibilità alle realtà divine e alle necessità dei fratelli, riportandolo nell’ ambito della comunità di fede.
Seconda Lettura: 1 Cor 10.31-11.1.
San Paolo, scrivendo ai Corinzi, raccomanda di fare tutto, sia che mangiano sia che bevano, per la gloria di Dio, perché « se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore (Rm 17,8) ». Vivendo bene tutta la nostra vita, anche il mangiare e il bere, come anche adempiendo alla opere buone, per cui gli uomini vedendole possano rendere gloria a Dio, Paolo interpreta così, in qualche modo, il detto di Gesù del Vangelo di Matteo ( Mt 5,16). Davanti a Dio quello che conta è lo spirito e il motivo per cui si agisce: tutte le nostre giornate e l’intera vita deve essere vissuta per la gloria di Dio.
Raccomanda ancora a non essere motivo di scandalo per nessuno, né per giudei o greci, né per la Chiesa di Dio, così da non essere di inciampo per i fratelli, siano essi credenti o non credenti.
Infine li esorta affinché ognuno non cerchi egoisticamente il proprio interesse ma quello di tutti, col prodigarsi per la salvezza di tutti. Certamente, per Paolo, questi tre aspetti della testimonianza dei credenti, molti impegnativi da raggiungere, sono possibili con la grazia di Cristo e avendolo come modello, come lo è lui imitatore del Signore.
Vangelo: Mc 1,40-43.
Davanti alla accorata supplica del lebbroso e la sua fede nella potenza del Signore, Gesù lo tocca e gli dice: « Lo voglio, sii purificato ». Gli intima, però, di non dire niente a nessuno, a mostrarsi al sacerdote e a fare l’offerta per la purificazione, come era prescritto dalla legge di Mosè. Il gesto di guarigione del lebbroso, secondo la profezia messianica di Isaia, è uno di quelli che rendevano presente il Regno di Dio tra gli uomini. Ma se la guarigione del lebbroso nel corpo era segno materiale di questa presenza del Messia, Gesù proibisce di divulgarlo, perché la vera liberazione “ dalla lebbra del peccato ”, non era ancora stata attuata, poiché solo con la sua morte e risurrezione l’uomo sarebbe stato totalmente rinnovato. Le guarigioni che Gesù compie nei corpi di coloro che si rivolgono a lui, come anche di coloro che lo cercano « venendo a lui da ogni parte », sono tutte segni e anticipazioni della guarigione spirituale e totale che il Cristo avrebbe compiuto per l’intera umanità.
Gesù salva l'uomo guarendolo nel corpo e nello spirito.
15 FEBBRAIO – VI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO
Nell’assemblea, che si raduna per celebrare ogni Domenica la Pasqua del Signore, è presente Dio che, per mezzo del suo Spirito, ci dona nel pane e nel vino il Corpo e Sangue di Cristo Gesù, suo Figlio. L’amore del Padre e la nostra risposta di figli a questo amore ci rende commensali a questo banchetto a cui siamo invitati e non estranei. Anche ognuno di noi è tempio dello Spirito dove Dio dimora, se con « cuore retto e sincero » custodiamo la Parola di Dio e viviamo nella fedeltà alla sua volontà. Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia chiediamo al Padre celeste:« Risanaci dal peccato che ci divide, e dalle discriminazioni che ci avviliscono; aiutaci a scorgere anche nel volto del lebbroso l’immagine del Cristo sanguinante sulla croce, per collaborare all’ opera della redenzione e narrare ai fratelli la tua misericordia ».
La carità, che è « pienezza della legge », e l’accoglienza di Cristo presente nei fratelli sofferenti, poveri, oppressi sono il segno visibile che l’amore di Dio abita in noi. Vivendo la misericordia, come compartecipazione alle sofferenze dei fratelli, diventiamo il segno dell’umanità rinnovata dall’ amore.
Prima Lettura: Lv 33,1-2.45-46.
Chi era colpito nel corpo dalla lebbra, nella mentalità del Vecchio Testamento, doveva vivere segregato dalla comunità, portare vesti strappate e capo coperto, velato nel volto e, per evitare di contagiare altri, doveva gridare “ Impuro! Impuro!” . E tale doveva essere considerato e doveva starsene isolato finché durava il suo stato di malattia. Con la venuta di Cristo la guarigione dalla lebbra sarà uno dei miracoli che egli compirà a favore di chi ne era affetto. Chi ne veniva guarito doveva presentarsi al sacerdote per essere riammesso nella comunità dei fratelli.
Come la lebbra, nella sua materialità, rende il corpo di chi ne è colpito insensibile, specie negli arti, al caldo e al freddo, agli stimoli , così spiritualmente possiamo dire che il peccato rende insensibile lo spirito dell'uomo alle realtà spirituali. Gesù è venuto per rendere l’uomo, affetto dalla lebbra del peccato, per cui vive come segregato nel suo mondo di male, libero dalle insensibilità alle realtà divine e alle necessità dei fratelli, riportandolo nell’ ambito della comunità di fede.
Seconda Lettura: 1 Cor 10.31-11.1.
San Paolo, scrivendo ai Corinzi, raccomanda di fare tutto, sia che mangiano sia che bevano, per la gloria di Dio, perché « se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore (Rm 17,8) ». Vivendo bene tutta la nostra vita, anche il mangiare e il bere, come anche adempiendo alla opere buone, per cui gli uomini vedendole possano rendere gloria a Dio, Paolo interpreta così, in qualche modo, il detto di Gesù del Vangelo di Matteo ( Mt 5,16). Davanti a Dio quello che conta è lo spirito e il motivo per cui si agisce: tutte le nostre giornate e l’intera vita deve essere vissuta per la gloria di Dio.
Raccomanda ancora a non essere motivo di scandalo per nessuno, né per giudei o greci, né per la Chiesa di Dio, così da non essere di inciampo per i fratelli, siano essi credenti o non credenti.
Infine li esorta affinché ognuno non cerchi egoisticamente il proprio interesse ma quello di tutti, col prodigarsi per la salvezza di tutti. Certamente, per Paolo, questi tre aspetti della testimonianza dei credenti, molti impegnativi da raggiungere, sono possibili con la grazia di Cristo e avendolo come modello, come lo è lui imitatore del Signore.
Vangelo: Mc 1,40-43.
Davanti alla accorata supplica del lebbroso e la sua fede nella potenza del Signore, Gesù lo tocca e gli dice: « Lo voglio, sii purificato ». Gli intima, però, di non dire niente a nessuno, a mostrarsi al sacerdote e a fare l’offerta per la purificazione, come era prescritto dalla legge di Mosè. Il gesto di guarigione del lebbroso, secondo la profezia messianica di Isaia, è uno di quelli che rendevano presente il Regno di Dio tra gli uomini. Ma se la guarigione del lebbroso nel corpo era segno materiale di questa presenza del Messia, Gesù proibisce di divulgarlo, perché la vera liberazione “ dalla lebbra del peccato ”, non era ancora stata attuata, poiché solo con la sua morte e risurrezione l’uomo sarebbe stato totalmente rinnovato. Le guarigioni che Gesù compie nei corpi di coloro che si rivolgono a lui, come anche di coloro che lo cercano « venendo a lui da ogni parte », sono tutte segni e anticipazioni della guarigione spirituale e totale che il Cristo avrebbe compiuto per l’intera umanità.
La vita del credente è trasformata, oggi, dalla grazia di Dio e nella eternità dalla risurrezione.
8 FEBBRAIO – V DOMENICA del TEMPO ORDINARIO.
L’esperienza di Giobbe, che la prima lettura della Parola di Dio oggi ci fa contemplare, è la stessa di quella che ognuno di noi fa ogni giorno: esperienza fuggevole, fatta di duro lavoro, come quella di uno schiavo che sospira l’ombra e del mercenario che aspetta il salario, con giorni pieni di illusioni e notti insonni, che scorrono più veloci di una spola e svaniscono senza speranza. In questo scenario velato di “duro pessimismo ”, la preghiera iniziale della Liturgia eucaristica di oggi ci fa chiedere l Dio, che con amore di Padre si accosta « alla sofferenza di tutti gli uomini e li unisce alla Pasqua del suo Figlio », di renderci puri e forti nelle prove, « perché sull’ esempio di Cristo impariamo a condividere con i fratelli il mistero del dolore, illuminati dalla speranza che ci salva ».
Prima Lettura: Gb 7,1.4-6.
La vita dell’uomo è piena di tribolazioni e dolori, di fatica e di illusioni, senza speranza di un futuro. E’ come un soffio i cui anni passano veloci. Questa esperienza che tutti facciamo non ci deve scoraggiare né rattristarci, ma deve farci riflettere e renderci prudenti. Nella nostra fede cristiana siamo sorretti dalla speranza: quella della vita eterna che possiamo conseguire, dopo la morte, con Gesù, andato a prepararci un “ posto”, come ha detto ai discepoli, con la vita trasformata, nella comunione con il Padre. Se accogliamo il messaggio evangelico e l’esperienza del Cristo risorto, egli che ci ha infuso lo Spirito Santo, soffio di vita immortale, darà anche a noi di risorgere ed essere partecipi della sua immortalità.
Seconda Lettura: 1 Cor 9,16-19.22-23.
Paolo scrive ai Corinzi dicendo che il Vangelo che egli annunzia, dopo la sua conversione a Cristo Salvatore, è lo scopo di tutta la sua vita. Non è un vanto, ma una necessità. Un incarico che ha ricevuto e che deve svolgere nella fedeltà e gratuitamente. E’ di iniziativa divina quest’incarico affidatogli, non lo svolge di sua iniziativa e, perciò, non vuole usare del diritto che il Vangelo gli conferisce, cioè di essere sostentato dalla comunità.
Lavorando con le proprie mani non vuole essere di peso ad alcuno, ma che anzi essere al servizio di tutti « e pur essendo libero da tutti, mi son fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io ».
Anche per noi vale l’esperienza di Paolo: annunciare il Vangelo e evangelizzare i fratelli proclamando la Parola di Dio nei nostri ambienti di vita, con le parole e le opere, senza far prediche, ma con modestia e semplicità. Rendersi, inoltre, premurosi verso gli altri con semplicità, sincerità e discrezione.
Vangelo: Mc1,29-39.
All’ uomo, che fa l’esperienza del dolore, della sofferenza, della limitatezza, della caducità e finitezza della vita, dice il Vangelo di questa Domenica, Gesù porta conforto guarendo la suocera di Pietro, gli ammalati che gli portano dinnanzi, scacciando i demoni. Allora tutti cercano Gesù, come gli riferiscono gli apostoli dopo averlo trovato, mentre è ancora buio e sta pregando. Ma Gesù dice loro che non può fermarsi solo lì, è venuto perché predichi per tutta la Galilea e porti il Vangelo della salvezza a tutti. La vita pubblica di Gesù è protesa a beneficare questa umanità, afflitta da tante situazioni che fanno rinchiudere l’uomo in se stesso e in un orizzonte solamente terreno. Così egli compie miracoli, scaccia demoni, annunzia il Vangelo, prega. Con lui l’opera del Messia promesso e atteso, che avrebbe restaurato il Regno di Dio tra gli uomini, ridona speranza all’uomo e la grazia e l’amore di Dio irrompono in questo mondo che viene salvato dal peccato. Il cristiano è colui che prende parte e continua quest’opera del Cristo, nell’ascolto della Parola, nel lasciarsi liberare da lui nell’intimo del cuore, nell’operare a favore dei fratelli ridando loro la speranza che Gesù ha riacceso su questa terra per tutti.
Nel credente si ripetono anche i miracoli di Gesù nella misura in cui egli è santificato dalla presenza del Signore. La risurrezione futura dei corpi, di cui Gesù risorto costituisce la primizia, che preannunzia quella di coloro che credono in lui, trova il suo germe nella grazia che ce la anticipa. La preghiera, poi, per il credente, come è stato per Gesù, diventa contatto, nello spirito, con Colui nel quale gli uomini vivono, si muovono ed esistono, perché di lui noi siamo stirpe (cfr, At 18,28).
Ascoltiamo oggi la voce del Signore è l'invito della Liturgia,
1 Febbraio – IV Domenica del Tempo Ordinario.
Nella preghiera iniziale di questa Domenica chiediamo al Padre:« che ci ha dato nel Cristo suo Figlio, l’unico maestro di sapienza e il liberatore dalle potenze del male, di renderci forti nella professione della fede, perché in parole e le opere proclamiamo la verità e testimoniamo la beatitudine di coloro che si affidano a Lui ». Aderire, allora, con fede salda a Dio e a Cristo significa essere fedeli a Dio, affidarsi completamente a lui nell’intimo del nostro cuore e con tutta l’anima e testimoniare questa fedeltà non solo con le parole ma soprattutto con le opere. Tutto questo è possibile se siamo illuminati dalla sua Parola e rafforzati con la sua grazia, che nell’Eucaristia ci viene data accostandoci alla mensa del Corpo e del Sangue e di Cristo. A questa mensa troviamo tutto il suo amore, perché si è donato a noi, e da essa abbiamo la forza di testimoniare questa fede.
Prima Lettura: Dt 18,15-20.
Per bocca di Mosè, Dio promette di inviare un profeta che possa essere il suo portavoce fedele presso il popolo, così che questi non oda la voce di Dio e non veda il suo fuoco, da cui era stato spaventato e atterrito . Compito del profeta deve essere quello di riferire esattamente al popolo quella che è la volontà del Signore, ciò che il Signore gli comanda di dire.
La voce del profeta come quella di Dio è efficace e creatrice e la sua realizzazione è espressione e criterio della autenticità della missione del profeta. Egli supera le coordinate politiche-religiose e dipende da Dio che lo ha suscitato. Del rifiuto del profeta e della sua parola che non viene ascoltata da coloro a cui è inviato ne viene chiesto loro conto, mentre il presunto profeta che dicesse cose che Dio non ha comandato di dire, sarà messo a morte.
Cristo Gesù, la Parola del Padre, fattasi carne , sarebbe stato l’unico Mediatore autentico e perfetto, poiché divenuto uno di noi e nostro fratello, ci avrebbe portato la salvezza, cioè la liberazione dal male del peccato e ristabilito la comunione con Dio, che nel suo Figlio ci ha riconciliato a sé, attraendoci al suo amore.
Cristo Gesù, poiché per gli uomini le cose che Egli diceva e faceva non potevano essere, nella loro convinzione, state comandate da Dio, venne messo a morte. Coloro che sono posti nella Chiesa nel nome di Dio nella missione di predicare il Vangelo più che sostituirsi a Gesù, devono rivelare al mondo e agli uomini la vicinanza di Dio Padre agli uomini, per comprendere attraverso i legami di bontà, di amore e misericordia come corrispondere a Lui che li attira a sé. Gesù è venuto a rivelarci questo volto profondamente umano del Padre con i gesti, le parole e il suo insegnamento, senza manifestazioni terrificanti della potenza di Dio, come avveniva nel Vecchio Testamento.
Seconda Lettura: 1 Cor 7,32-35.
Paolo, scrivendo ai Corinzi, non intende disprezzare il matrimonio, ma per vivere questa realtà, tipicamente umana, darà come modello, per la sua realizzazione, l’unione di Cristo con la Chiesa, per la quale egli ha dato la sua vita per renderla santa e immacolata al suo cospetto nell’amore. In questo brano l’apostolo vuol mettere in risalto la verginità, come atteggiamento libero di consacrazione al Signore, come piena e totale donazione per il regno dei cieli e dei fratelli.
Matrimonio e Verginità sono mezzi idonei , a livelli diversi, per camminare nella santità, ognuno nel proprio stato di vita verso la vita celeste. Mentre chi è sposato, continua Paolo, si preoccupa delle cose del mondo e come possa piacere alla moglie e questa al marito, così colui o colei che non sposa o chi sceglie la verginità, può preoccuparsi delle cose del Signore e come possa piacergli. In entrambi i casi Paolo vuole esortare tutti a vivere e comportarsi degnamente e restare fedeli al Signore, senza deviazioni. Anche la verginità è, dunque, un grande dono di Dio alla Chiesa, perché rende chi la sceglie libera/o nel cuore, disponibile ad amare tutti al di là dei legami familiari naturali e coniugali . La verginità deve essere vissuta unitamente alla carità e può concorre nella Chiesa a santificarla, così come il matrimonio, vissuto nella realtà sacramentale e nel rispetto della della dignità dei suoi membri, concorre alla santificazione della Chiesa.
Vangelo: Mc 1,21 -28.
Cristo Gesù, la santità personificata, come riconoscono le folle, insegna con novità e autorità e non come gli scribi e inoltre, di sabato, guarisce uno che nella sinagoga era posseduto da uno spirito impuro che, riconoscendo Gesù, grida: « Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio !». All’ intimazione di Gesù lo spirito impuro uscì da quell’ uomo gridando forte. Gesù che , venuto per ripristinare nel mondo la signoria di Dio, nel deserto ha vinto Satana e lo ha spodestato dal suo dominio sull’ uomo, continua, come ci dice il brano evangelico di oggi, a liberare tutti coloro che sono sotto il suo dominio. Satana reagisce a questa opera , ma il Cristo non lo teme, perché è venuto proprio per vincerlo al posto nostro e per insegnarci a respingerlo a nostra volta quando ci tenta.
Quando assecondiamo le sue tentazioni e pecchiamo, facciamo spazio a Satana, ma possiamo rialzarci, consapevoli che Gesù lo ha definitivamente sconfitto nell’ ora della sua passione, morte e risurrezione. Uniti a Cristo abbiamo la sua stessa forza per vincere lo Spirito del Male. Se siamo distaccati da Cristo, nella nostra fragilità, possiamo ricadere di nuovo nel peccato.
la chiamata alla conversione e alla sequela di Gesù.
25 Gennaio - III Domenica del Tempo Ordinario.
Nella Domenica, la Chiesa, sposa di Cristo, è invitata a vivere nella gioia l’incontro con il suo Signore che, come «sorgente inesauribile di vita nuova », si dona ad essa con tutto se stesso, con la sua Parola, con il suo Corpo e il suo Sangue. La Chiesa, con il pane e il vino, doni della Provvidenza divina, presenta la sua offerta che, trasformata dalla potenza dello Spirito Santo nel dono eucaristico, « sacramento di salvezza », ci viene ridonata dal Padre celeste come Corpo e Sangue di Gesù. La gioia del Signore diventa perfetta quando partecipiamo al convito eucaristico in tutta la sua pienezza: ricevuto il sacramento dobbiamo testimoniarlo con la vita, rendendolo, nella esistenza quotidiana, segno di salvezza e di speranza per noi e per gli altri.
Attuiamo così « l’urgenza di convertici a lui e di aderire con tutta l’anima al vangelo, perché la nostra vita annunzi anche ai dubbiosi e ai lontani l’unico Salvatore, Gesù Cristo », come diciamo nella Colletta iniziale dell’Eucaristia.
Prima Lettura: Gio 3,1-5.10.
Giona, anche se malvolentieri, dopo le peripezie a cui è sopravvissuto, si reca a Ninive per adempiere alla missione a cui Dio lo mandava: egli predica, percorrendo la città per tre giorni e annunziando il castigo di Dio, la conversione ai Niniviti, i quali ascoltano l’invito a cambiare la loro esistenza. All’annun-zio di Giona la risposta dei « non credenti » è esemplare e i « cittadini di Ninive cedettero in Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dallo loro condotta malvagia e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare e non lo fece ». Così il castigo preannunziato si trasforma in misericordia, perché Dio « non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva »(Ez 18,23).
La predicazione di Giona preannunzia la missione universale di Gesù, estesa al mondo intero che, fino ad allora, per la mentalità ebraica, era considerato sotto il segno della maledizione. Il Signore è disposto a fare con noi allo stesso modo, a darci il suo perdono se ci ravvediamo del male fatto e, se sinceramente pentiti, ci disponiamo con cuore contrito a cambiare la nostra vita, non per paura del suo castigo, ma per ricambiare il suo amore di Padre che, nel suo Figlio, ci ha donato il suo perdono e la dignità di figli adottivi.
Seconda Lettura: 1 Cor 7,29-31.
San Paolo esorta i Corinti a vivere sì le realtà del mondo ma non con lo spirito del mondo e secondo la mentalità di Cristo « d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscano, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la scena di questo mondo ».
Da ciò comprendiamo che non dobbiamo vivere sfaccendati in questo mondo, né disprezzare le realtà che Dio ha creato nella loro bontà. Solo, dice Paolo, è necessario vivere distaccati da tutto, valutando tutto nella prospettiva di ciò che non passa mai e considerando la mutevolezza di tutto ciò che è transitorio. Ciò che resiste al tempo e alla transitorietà è l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Le gioie e i piaceri della terra sono transitori; il cuore con i suoi affetti deve essere rivolto al Signore e vivere la vita, anche nelle situazioni difficili e avverse, secondo la mentalità di Dio, che in Cristo Gesù si è resa manifesta. La luce della Pasqua illumina la vicenda umana fatta di gioie e di dolori. Tutto deve acquistare un valore nuovo agli occhi di chi accoglie il messaggio di Cristo, la cui mentalità fa saltare certa scala di valori che si rifà alla mentalità del mondo. Poiché il tempo della nostra esistenza è breve teniamo fissi i « nostri sguardi alle cose di lassù », ci dice ancora san Paolo.
Vangelo: Mc 1,14-20.
La missione di Gesù inizia con la proclamazione solenne del Vangelo di Dio: « Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo ». Aderire al progetto salvifico di Dio, nella storia dell’uomo, significa accettare il Cristo, mutando radicalmente la nostra esistenza, divenendo suoi discepoli, come lo sono diventati coloro che Gesù ha chiamato a seguirlo, passando lungo il mare di Galilea: Simone, suo fratello Andrea, i fratelli Giacomo e Giovanni e tutti gli altri, che lasciando le loro reti, poiché erano pescatori o le loro attività, lo seguirono con prontezza e si legarono con profonda amicizia a Gesù. Tutti i cristiani, non tanto a parole ma accogliendo l’invito di Gesù che chiama, dovremmo seguirlo praticamente, determinando un’inversione di rotta alla nostra vita , seguendo il modo di agire e giudicare di Gesù, che è tutto diverso da quello di chi non crede. La sequela di Gesù comporta un cambiamento radicale della nostra condotta, perché non si può essere veri suoi discepoli se non ci si è veramente convertiti a lui e creduto alla sua buona notizia: accogliere il perdono di Dio, che ci ha riconciliati al suo amore di Padre attraverso l’amore manifestatoci da Cristo, morto donando la sua vita per noi, e attuare il suo esempio « poichég non c’è amore più grande di quello di chi dona la vita per la persona amata ».