





La fiducia nella onnipotenza divina.
21 GIUGNO – XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nella celebrazione della memoria della Pasqua del Signore celebriamo il suo sacrificio di espiazione in cui Gesù si è offerto al Padre per riconciliare l’umanità con il Padre celeste. L’Eucaristia ci rende partecipi di questa riparazione, poiché la nostra vita segnata dal peccato ha continuo bisogno di riconciliazione e di riparazione, in quanto molte cose, come la ricerca del successo, la nostra superbia ed esaltazione, i cedimenti davanti alle esigenze del Vangelo, sono realtà che esigono purificazione.
Nell’Eucaristia oltre a questa espiazione e alla fedeltà per confessare la nostra fede, troviamo e sono condivise anche la lode innalzata da Gesù che si immola sulla croce, l’adorazione e il ringraziamento al Padre celeste.
Nel giorno del Signore la nostra lode deve sgorgare dal cuore in maniera più intensa e prolungata, alimentata dalla Parola di Dio che ci dà testimonianza della salvezza che Gesù ha operato e continua a renderla presente nella nostra storia, come con i due discepoli di Emmaus.
Nella preghiera iniziale diciamo a Dio: « Rendi saldo, o Signore, la fede del popolo cristiano, perché non ci esaltiamo nel successo, non ci abbattiamo nelle tempeste, ma in ogni evento riconosciamo che tu sei presente e ci accompagni nel cammino della storia ».
Prima Lettura: Gb 38,1.8-11.
Il Signore a Giobbe, che è afflitto dal suo male, riafferma la sua presenza nel mondo e la sua vicinanza a lui, fin da quando con la sua potenza chiudeva tra due porte il mare, quando lo vestiva di nubi e lo fasciava di una nuvola oscura, quando gli ha fissato un limite mettendogli un chiavistello e dicendo : « Fin qui giungerai e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde ». Così Dio dice a Giobbe che nella opera creatrice Egli precede sempre l’opera dell’uomo e la sua stessa esistenza, poiché come creatura è limitata nella sua capacità di conoscere e dominare la natura. E il dolore che inquieta Giobbe, e tutto il mondo è certamente un mistero per lui. Ma Dio nella sua Provvidenza non abbandona l’uomo, il quale si deve abbandonare totalmente in lui come Gesù, Signore dell’universo, da cui i nostri misteri e le nostre oscurità vengono illuminati e con la sua croce si scioglie l’enigma del dolore.
Seconda Lettura: 2 Cor 5, 14-17.
San Paolo dice ai Corinzi che l’amore di Cristo ci possiede, poiché egli è morto per tutti e noi non viviamo più per noi stessi ma per « colui che è morto ed è risorto per loro ». Così non guardiamo più a Cristo alla maniera umana, ma con la fede. Essendo ormai in Cristo, siano nuove creature, le cose vecchie e la nostra vita di peccato sono passate e ne sono nate di nuove. Siamo ancorati a questa certezza di fede che, cioè, in Cristo siamo completamente creature nuove? Per cui la nostra adesione non deve essere labile e insicura per non essere incoerenti. Con il Battesimo siamo stati rinnovati e la nostra relazione con il peccato, con il demonio è stata eliminata nella sua forma originale, anche se permane ancora in noi l’inclinazione a ricadere nel peccato. Ma tutto però deve essere vissuto con una mentalità nuova e con nuovo modo di giudicare le cose e gli eventi della vita. La novità della vita si esprime, come dice Gesù, nell’amore verso gli altri vedendo in loro lui stesso. Quest’amore porta, alla maniera di Gesù, «che è morto per tutti », a dare la vita per gli altri. Le proprie scelte e i propri atteggiamenti, allora, dice San Paolo, devono ispirarsi al « non vivere più per se stessi ». Il cristiano sa che vivere per Cristo significa accogliere tutti gli uomini come egli ci ha accolti nella sua carità. La considerazione del prossimo è cambiata nella prospettiva di Gesù, perché l’amore al prossimo non dobbiamo portarlo tenendo conto del giudizio e delle simpatie puramente naturali, ma dal fatto che tutti siamo stati amati dal Signore nella sua donazione sulla croce.
Vangelo: Mc 4,35-41.
Oggi Gesù, nella traversata del lago, sconvolto dalla tempesta, è sulla barca insieme ai discepoli. Egli dorme e i discepoli, sconvolti dalla paura e agitati, gli dicono terrorizzati: « Maestro, non t’importa che siamo perduti? ».E Gesù destatosi « minaccia il vento e dice al mare: “Taci, calmati!”». Ritornata la bo-naccia dice loro: « Perché avete paura? Non avete ancora fede? ». I discepoli timorosi si chiedono:« Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono? ». Il mare in burrasca è il simbolo del mondo che è agitato e in disordine per i mali che lo affliggono. Gesù, Creatore come il Padre, impone con la sua potenza alle forze e agli elementi della natura i suoi comandi. La sua Signoria sull’universo e sulla storia è così ristabilita e riconosciuta, perché egli è colui che dà senso e valore, significato e ordine alle realtà. Attraverso la fede bisogna affidarsi a Cristo senza timore anche in mezzo alle vicende difficili e tempestose della vita: la barca della nostra esistenza può essere a volte agitata e la paura può prendere il sopravvento e giungere allo scoraggiamento e quasi possiamo sentirci sopraffatti dalle situazioni. Le nostre travagliate situazioni, le nostre tempeste si placano se ci affidiamo a Cristo. La certezza che il Signore dell’universo è con noi e la confidenza in lui, che anche a noi dice: « Perché avete paura? », devono farci riprendere coraggio e continuare la traversata della nostra vita, sicuri che nessuna forza di male ci può inghiottire.
Ultimo aggiornamento (Sabato 20 Giugno 2015 20:48)
Il Regno di Dio cresce nel cuore degli uomini per potenza propria.
14 GIUGNO – XI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO.
Nell’Eucaristia noi rendiamo grazia a Dio per i suoi benefici e con l’offerta del pane e del vino, che saranno trasformati dalla Spirito Santo nel Corpo e Sangue di Cristo, rendiamo grazie a lui. Questi doni trasformati diventano Sacramento che ci unisce a Cristo e viene edificata la Chiesa nell’unità e nella pace. L’unione a Cristo diventa più piena quando come lui viviamo nella osservanza della volontà di Dio, quando rendiamo la nostra vita, non solo nelle intenzioni ma anche le scelte quotidiane, in coerenza con la fede.
Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia di oggi chiediamo al Padre celeste: « O Padre, che a piene mani semini nel nostro cuore il germe della verità e della grazia, fa’ che lo accogliamo con umile fiducia e lo coltiviamo con pazienza evangelica ben sapendo che c’è più amore e più giustizia ogni volta che la tua parola fruttifica nella nostra vita ». I cristiani, come popolo profetico e sacerdotale, devono farsi annunciatori e testimoni del Vangelo e diffondere nel mondo la Parola che riconcilia con Dio e tra noi e crea la pace.
Prima Lettura: Ez 17,22-24.
Ezechiele paragona Israele ad un cedro, da cui Dio strapperà un ramoscello e lo pianterà sopra « un monte alto ed imponente … che metterà rami e farà frutti, diventerà un cedro magnifico e sotto i suoi rami gli uccelli dimoreranno e riposeranno », mentre umilierà l’albero alto e farà seccare l’albero verde e germogliare il secco. Dio esalta gli umili e abbassa i superbi, canta Maria nel Magnificat.
Ezechiele si riferisce alla Casa di Davide che verrà restaurata, ma non come potenza umana, ma come Colei da cui nascerà Gesù, il Cristo, Figlio di Davide. Non è l'orgoglio o la nostra forza che salva, ma la grazia di Dio. Quello che l’uomo disprezza, per Dio è colui che compirà le meraviglie di Dio. Quello che ’uomo considera potenza è da Dio considerato impotenza, nullità. Allora, oltre all’ umiltà, è la fiducia in Dio quella che il credente deve avere: nessuna potenza o resistenza umana potrà opporsi alla realizzazione del piano salvifico del Signore.
Seconda Lettura: 2 Cor 5,6-10.
San Paolo, esortando i Corinzi e noi a riporre la nostra fiducia nel Signore finché viviamo in questo esilio terreno lontani da lui, ci dice che su questa terra dobbiamo camminare nella fede e non nella visione delle realtà celesti che siamo chiamati a conseguire. Per cui « sia abitando nel corpo sia andando in esilio dal corpo, dobbiamo sforzarci di essere a lui graditi », per abitare nel Signore, davanti al cui tribunale dobbiamo comparire « per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male ». Per quanto sulla terra ognuno si sforzi di star bene non mancano le tribolazioni, le ansie, le avversità della vita. In tale stato il cristiano è chiamato a credere che la vera patria a cui deve tendere è l’essere in Dio, il quale non chiede di alienarsi da questa terra, ma di impegnarsi quaggiù secondo la sua volontà e avere i nostri sguardi rivolti alle realtà celesti: siamo in esilio lontani dal Signore. Nella Eucaristia, sacramento della presenza del Signore, egli è vicino a noi, ma ancora questa presenza non è quella pienamente beatificante e gloriosa del cielo. Se camminiamo nella fede, ci avviciniamo a lui, per poi contemplarlo nella gioia eterna. Dobbiamo nutrire questo desiderio e questa speranza di raggiungerlo. Nell’ attesa non possiamo vivere nella pigrizia o peggio perseguendo una vita di peccato. Non dobbiamo dimenticare che prima della visione dobbiamo affrontare il giudizio del suo tribunale, in cui sarà valutato il bene o il male compiuto finché abbiamo vissuto su questa terra. Deponiamo allora ogni illusione: la ricompensa o il castigo dipenderanno dalla verità delle nostre quotidiane scelte. Siamo invitati ad essere più pensosi che preoccupati: sappiamo infatti già in anticipo su cosa saremo giudicati.
Vangelo: Mc 4,26-34.
Gesù parla del Regno di Dio e lo paragona al seme che il contadino sparge nel campo. Sia che il contadino dorma o vegli, il seme si sviluppa nelle varie fasi. Così è per il Regno di Dio, perché a dargli incremento è la potenza del Signore. Anche il seme di senape, che è il piccolo di tutti i semi, quando cresce permette agli uccelli di riposarsi alla sua ombra o farvi il loro nido. Gesù con la sua presenza rende presente il regno di Dio ed è la sua potenza a farlo crescere nel cuore dell’uomo, non siamo noi a sostenerlo o ad alimentarlo. Le vie che il Signore segue per farlo crescere non ci sono perfettamente note, sono avvolte nel silenzio e nel mistero. Il Regno cresce con il crescere della grazia e dell’amore di Dio, della sua regalità nel cuore dell’uomo, al di là delle apparenze e dei rumori del mondo. La legge dell’umiltà e della pochezza sono alla base del suo sviluppo, non tanto nelle capacità umane. Così siamo invitati a non affidarci ad appoggi terreni come se fossero quelli che contano. Tutto ciò non toglie che noi dobbiamo essere operosi, anche silenziosamente come altrettanto avviene con il lavorio della grazia. Non è quello che si impone di più o è gradito di più che conta. Il mondo della grazia è in atto, ma non ce ne accorgiamo: l’ ultimo giudizio sarà una sorpresa, perché nel regno di Dio vi si trovano anche tanti che non ci aspetteremmo di trovarvi.
Solennita del Corpo e Sangue di Gesù.
7 Giugno – Solennità del Corpo e Sangue di Gesù.
Nella sua fedeltà il Signore, dopo aver liberato il popolo d’ Israele dall'E- gitto, averlo condotto lungo il deserto, accudito, nutrito, non è venuto meno alla volontà salvifica a favore dell’uomo, pienamente manifestata in Gesù Cristo che, con il suo Corpo e il suo Sangue, nutre i credenti, realizzando un tangibile legame d’amore tra questi e il Padre.
La Chiesa del Signore, come comunità, non può dimenticare la sua dimensione comunitaria, in cui la fede è vissuta e celebrata, specie nella Eucaristia, che è il « memoriale della Pasqua » del Signore Gesù, morto e risorto. Tale memoriale non è un semplice ricordo ma una presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore, resa possibile dall’azione dello Spirito Santo che viene invocato. Nella celebrazione dell’Eucaristia noi offriamo il sacrificio della nuova alleanza, viene ripresentato il sacrificio della croce, dove Gesù, Agnello senza macchia, s’è offerto. Nell’altare che è anche la mensa della sua cena noi vi attingiamo il cibo che ci sostiene lungo il « viaggio dellja nostra vita », in attesa di essere partecipi del convito eterno del regno celeste.
Attorno all’altare, uniti in « assemblea festosa » a rendere grazie a Dio, ci riconosciamo fratelli, perché il Padre celeste, nel sangue di Cristo, ci ha rigenerati come fratelli e ci ha costituiti come suo popolo, legato nella medesima fede e dall’ identica unità e carità, rappresentate nell’ unico pane e nell’ unico calice. Noi riceviamo nell’Eucaristia lo Spirito che scaturisce dal Corpo di Cristo e veniamo purificati da ogni colpa.
Tutto questo deve farci fugare i rischi di considerare la comunità in termini psicologici, o ridurla come gruppo aggregato con dimensione solo affettiva o emotiva, per colmare situazioni compensatorie nelle proprie fragilità: una tale comunità rischierebbe di produrre un gruppo di immaturi che cercano un ovattamento alla vita. Oppure percepire la comunità in termini sociologici, perché l’affermazione conciliare sulla Chiesa, come « popolo di Dio », è da intendersi in maniera teologica non sociologica, costituita con votazioni o referendum: esso è l’insieme di coloro che credono, celebrano e praticano la fede cristiana, pur con le loro fragilità.
Infine bisogna evitare un ultimo rischio che è quello di considerare la Comunità come aggregazione per eventi o iniziative di tipo organizzativo, con poco dispendio di energie e con scarsa intensità di comunione spirituale.
Non si può parlare di comunità senza parlare di « comunione », come relazione spirituale e di amore fraterno, che lega sia i presenti come anche coloro che per motivi svariati non possono essere presenti. La comunione trova il suo fondamento nella relazione che ognuno ha con Cristo, e solo questo fa la comunità cristiana. Vi sono infatti tante forme di comunità, ma solo la prerogativa testé esposta realizza una « comunità cristiana ».
L’Eucaristia che dovesse rimanere dopo la celebrazione della Messa è presenza reale di Cristo, che realizza la promessa di Gesù di non lasciare più la sua Chiesa. Al Cristo che è presente nel tabernacolo va quindi la nostra adorazione e il nostro culto.
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia ci rivolgiamo al Signore dicendo: « Signore, Dio vivente, guarda il tuo popolo radunato attorno a questo altare, per offrirti il sacrificio della nuova Alleanza: purifica i nostri cuori, perché alla cena dell’Agnello possiamo pregustare la Pasqua eterna nella Gerusalemme del cielo ».
Prima Lettura: Es 24,3-8.
Dopo che Mosè riferì le parole del Signore al popolo e gli Israeliti, tutti uniti in una sola voce, si impegnarono dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo », venne eretto un altare con dodici stele e vennero offerti sacrifici di comunione per il Signore. Mosè, allora, lesse il libro dell’alleanza e il popolo rinnovò l’impegno di fedeltà ad eseguire ciò che il Signore chiedeva. Con il sangue degli animali sacrificati fu asperso il popolo con queste parole: « Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole! ». Con questo gesto di aspersione viene solennemente sancita l’alleanza tra Dio e il suo popolo. Anche Gesù dirà sul vino, che sarà trasformato dalla potenza dello Spirito, « questo è il sangue dell’alleanza » dandolo da bere durante l’ultima Cena. Gesù infatti offrirà la sua vita per la remissione dei peccati e pone la « nuova alleanza » come alleanza eterna, impegnando noi a vivere, a nostra volta, nell’amore e nella fedeltà.
Seconda Lettura: Eb 9,11-15.
- La Lettera agli Ebrei che oggi la Liturgia ci fa ascoltare ci presenta Cristo come Sacerdote dei beni futuri, perché egli, mediante il suo sacrificio e in virtù dello spargimento del suo sangue e non più per quello di animali, per ottenerci una redenzione eterna, è entrato nel santuario del cielo attraversando una tenda più grande e più perfetta, che non appartiene a questa creazione. Il sangue di Cristo, sparso da lui che è senza macchia, offerto una volta per tutte, purifica e santifica la nostra coscienza dalle opere di morte, dal peccato, perché serviamo al Dio vivente: la redenzione di Cristo, operata sulla croce, è eterna, valida per tutti i tempi, e non ha bisogno di essere ripetuta. Così Gesù è « mediatore di una nuova alleanza, perché, con la sua morte intervenuta in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa ».
Vangelo: Mc 14,12-16.22-26.
Alla vigilia della sua Passione, Gesù manda due discepoli a preparare la cena della Pasqua. In questo contesto egli opera una trasformazione: al posto dell’agnello che gli ebrei consumavano in ricordo della Pasqua dell’Esodo, Gesù offre il suo Corpo, che immolerà sulla croce. Così, come il sangue dell’agnello, posto sugli stipiti delle porte, liberò i figli degli ebrei dalla morte, ora Cristo ci libera dai peccati e ci custodisce nel suo amore.
L’Eucaristia che celebriamo è la nostra Pasqua, mentre attendiamo di celebrare quella eterna nel cielo. L’Eucaristia è l’anticipo, qui in terra, del banchetto eterno del regno celeste; non è una illusione futura, ma una verità che ci fa sperare di raggiungere la realtà di Dio, verso la quale siamo incamminati. Nella Comunità della Chiesa, in ogni celebrazione dell’Eucaristia, i gesti e le parole di Gesù ripetuti dal ministro, rendono presente per noi ciò che Gesù fece allora: così mangiamo il suo Corpo e beviamo il suo Sangue. Ci cibiamo di tutto il Cristo: del suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità.
Ultimo aggiornamento (Sabato 06 Giugno 2015 22:11)
SOLENNITA' DELLA SS. TRINITA'
31 MAGGIO – SOLENNITA’ DELLA SANTISSIMA TRINITA’
Quello della SS. Trinità è il primo mistero principale della fede cristiana, rivelatoci da Dio. Noi professiamo la fede in un solo Dio, in Tre Persone uguali e distinte, ma non separate. La Teologia cristiana, accogliendo la rivelazione che Dio ha fatto, ha cercato lungo i secoli di indagarne il mistero usando le categorie epistemologiche-conoscitive di ogni epoca e, come scrive san Agostino nel libro "De Trinitate", vedendo sulla spiaggia del mare di Tegaste un bambino che con un cucchiaio tenta di svuotare il mare trasportandone l’ acqua in una buca, questo è un mistero così grande che non può essere pienamente compreso da una mente umana finita e limitata, nel senso di una limitatezza come coscienza delle proprie possibilità e impossibilità.
Alla Santissima Trinità – al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo – i cristiani rivolgono la loro preghiera e il loro rendimento di grazie. Questo mistero non deve essere creduto in maniera astratta e lontana. Anzi ne parliamo e, con questa festa dedicata alla Trinità, vogliamo sentire questo mistero vicino, rivelato dal Cristo, il Figlio di Dio. Quando ci è stato elargito lo Spirito d’amore, inviatoci da Padre e dal Figlio, che ci ha riconciliato e santificato, noi comprendiamo, in qualche maniera, la realtà della SS. Trinità: questo è il mistero della vita di Dio ». La Trinità Santissima se sfugge alla nostra comprensione, tuttavia inabita in noi, è un’esperienza. Quella di Dio-Trinità è ancora un’esperienza velata, ma « nella pazienza e nella speranza » siamo incamminati e tesi verso la « piena conoscenza » di Dio « amore e vita ».
Prima Lettura: Dt 4,32.34.39-4 Mosè, parlando al popolo, dice che fin dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra non si è mai sentito che un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco e rimanere vivo, né che un Dio sia andato «a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come ha fatto il Signore con loro, in Egitto sotto i loro occhi ». Così Mosè esorta il popolo a meditare nel suo cuore che il Signore è un Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra e che non ve n’è altro. Ancora di osservare la sue leggi e i comandi che Dio dà, perché possa essere felice per le generazioni e restare nel paese che Dio dà loro. Dio, nel segreto della sua misteriosa e inesauribile vita, conduce la storia di Israele, che è il simbolo della storia di tutta l’umanità. Quando il Figlio di Dio si fa uomo noi iniziamo a sperimentare l’intimità della presenza di Dio, nelle tre persone divine. Nella obbedienza ai comandamenti che Dio dà, noi esprimiamo la nostra obbedienza, perché imitiamo Gesù, rendendoci conformi al suo « Sì », pronunziato in forza dell’amore e della libertà, che lo Spirito crea in noi.
Seconda Lettura: Rm 8, 14-17.
San Paolo ci ricorda in questa lettera ai Romani che abbiamo ricevuto non uno spirito da schiavi ma lo Spirito di Dio, che rende figli adottivi, ad immagine di Gesù, per cui dal nostro cuore sale a Dio la nostra preghiera, il grido d’amore che ci fa gridare: « Abbà! Padre! ». Lo Spirito quindi presente in noi ci attesta che siamo figli di Dio e, poiché siamo figli, siamo anche eredi di Dio, e saremo coeredi di Cristo se condividiamo le sue sofferenze e la sua Passione. In questo brano Paolo esprime il mistero trinitario e la nostra vocazione a essere figli, che accolgono la figliolanza che Dio ci dà, perché rigenerati per la grazia dello Spirito Santo che ci è dato. Dobbiamo allora vivere da Figli di Dio.
Vangelo: Mt 28,16-20.
Il Signore Gesù, sul monte della Galilea che aveva indicato agli undici, iquali vedendolo gli si prostrarono innanzi benché ancora dubitavano, dà loro la missione dicendo: « Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnan-do loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo ». Accettare di credere nel Signore Gesù, ricevere il Battesimo e gli altri sacramenti, come anche accogliere la Parola di Dio, tutto viene vissuto nel nome, con l’autorità e con la grazia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Accogliendo il Vangelo della salvezza, siamo chiamati ad aderire al mistero della vita divina, che è vita trinitaria. Vita di corrispondenza all’amore del Padre che ci ha creati, rigenerati come suoi figli; all’amore del Figlio che ha dato la vita per noi, come vittima di espiazione per i nostri peccati meritandoci la grazia; all’amore dello Spirito Santo che ci viene dato per santificarci, realizzando in noi l’opera compiuta da Gesù per volontà del Padre.
PENTECOSTE: LO SPIRITO SANTO REALIZZA IN OGNUNO LA SALVEZZA
24 MAGGIO – DOMENICA DI PENTECOSTE.
Lo Spirito vi renderà miei testimoni.
Questa solennità porta a compimento il mistero pasquale. Per i credenti e per coloro che lo accolgono, si realizza ciò che Gesù nell’ultima Cena promise, che cioè, salito al Padre, ci avrebbe inviato il Consolatore, lo Spirito di Verità, per cui non ci avrebbe lasciato orfani,. Lo Spirito Santo, in questa liturgia, ci invita a vedere le meraviglie compiute da Dio nel mondo, ci esorta a essere fedeli alla missione che affida alla Chiesa, ci illumina e ci dà la forza di corrispondere al suo amore, cosicché possiamo compiere il cammino di fede con maggiore pienezza. In questo giorno lo Spirito Santo attualizza, in ogni tempo e latitudine, la Pentecoste: è il tempo della storia in cui lo Spirito rinnova la Chiesa, l’umanità, perché chi accoglie lo Spirito riceve i suoi benefici effetti nella sua vita.
Così la Chiesa, corpo di Cristo, sostenuta e fatta crescere dallo Spirito, inviato da Gesù risorto nel giorno di Pentecoste, è la comunità della nuova alleanza, che aggrega nell’unità di un solo linguaggio tutti i popoli per i quali si attua il mistero pasquale. Nel prefazio la Chiesa proclama: « Oggi hai portato a compimento il mistero pasquale e su coloro che hai reso figli di adozione in Cristo tuo Figlio hai effuso lo Spirito Santo ». Poiché in ogni sacramento agisce lo Spirito Santo, che opera con i suoi molteplici effetti, quando riceviamo un sacramento in noi inabita lo Spirito del Padre e del Figlio, come alito di vita, dando suggerimento, impulso ed efficacia alle nostre azioni.
Accesi dal fuoco di questo Spirito, si alimenta ad ogni comunione col Corpo e Sangue del Signore la vita divina, e cresce la « carità ardente » di cui parla l’orazione sulle offerte della Messa vespertina: «Scenda, o Padre, il tuo Santo Spirito sui doni che ti offriamo e susciti nella tua Chiesa la carità ardente, che rivela a tutti gli uomini il mistero della salvezza». Si rinnova così il prodigio dell’unità che raccoglie gli uomini dispersi in molti linguaggi in un unico linguaggio di fede e che trasforma qualitativamente le nostre azioni, facendoci agire secondo lo Spirito di Cristo e in conformità alla volontà di Dio.
La vita « spirituale » del credente è quella che ha come maestro e come suggeritore lo Spirito Santo, che ridesterà i nostri corpi per la risurrezione. Il lasciarsi condurre da lui non è un fatto eccezionale, se molti, nella loro semplicità esistenziale, hanno raggiunto alte vette di santità, pur immersi nella quotidianità della loro vita..
La colletta della Messa che recita :« O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo », ci dà il significato della Pentecoste che celebriamo. Lo Spirito Santo anima la comunità cristiana, porta e rende efficace il Vangelo di Gesù Cristo e ci introduce nella conoscenza del mistero. Lo Spirito, con i doni che elargisce, ci fa crescere nelle opere di giustizia, ispirate da lui e da noi, rinnovati e resi giusti nel cuore, compiute per la sua energia. La solennità di oggi conclude il lungo e meraviglioso tempo pasquale in cui abbiamo meditato e approfondito il mistero della morte e risurrezione del Signore, che ci offre la prospettiva con cui siamo chiamati a vivere ogni giorno. L’impronta della morte e risurrezione del Signore, nella vita nuova sorta dallo Spirito, ci conduce, ci fa operare e ci prepara ad essere conformi con il Signore risorto, ora nel tempo e domani nell’eternità.
Prima Lettura: At 2,1-11.
Al cinquantesimo giorno dall’evento della risurrezione del Signore, nella festa di Pentecoste, sugli Apostoli e coloro che erano in attesa della promessa di Gesù, lo Spirito discende, « dal cielo con improvviso fragore, quasi come vento che si abbatte impetuoso, riempiendo tutta la casa », in forma di lingue di fuoco che si posarono su ciascuno di loro. Furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue. Comincia così l’evangelizzazione, l’annunzio delle opere che Dio compite nelle’evento della morte e risurrezione di Gesù. Tutti coloro che erano a Gerusalemme in quei giorni, pur parlando molteplici lingue, sentono ognuno il gioioso annunzio nella propria lingua. La confusione delle lingue, iniziata con la torre di Babele, è vinta dalla proclamazione del Vangelo: nell’unica fede in Gesù salvatore, morto e risorto, si ricompone l’unità dei figli di Dio, dispersi e divisi dal peccato. La fede raccoglie nell’unità popoli, lingue e tradizioni diverse. « La confusione che la superbia aveva portato tra gli uomini, - recita il Prefazio – è ricomposta in unità dallo Spirito Santo ». Invocando e ricevendo oggi lo Spirito dobbiamo essere portatori di unità e non essere frantumati dalle discordie. Uscendo da noi stessi, dal nostro egoismo e superbia creiamo la comunione e la fraternità.
Seconda Lettura: Gal 5,16-25.
San Paolo esorta i Galati a camminare nello Spirito di Cristo e a non soddisfare i desideri della carne, che sono contrari ai desideri dello Spirito.
E le opere della carne enumerate: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere, sono opere in cui l’uomo spesso si ritrova a vivere pur non volendole e detestandole. Lo stile di una vita ispirata dallo Spirito di Cristo conduce a vivere e portare frutti di amore, di gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà,mitezza, dominio di sé. Il cristiano che vuole seguire Cristo crocifisso deve crocifiggere in sé la carne con i suoi desideri e passioni, quei vizi e peccati che il cuore dell’uomo produce quando in lui non opera la forza e la novità dello Spirito. Lo Spirito, più che realtà vaga, è il dono per eccellenza del Cristo risorto, dono che dobbiamo invocare e ricevere nella sua realtà concreta, con umiltà, nel nostro intimo e lasciarci condurre e plasmare dalla sua presenza divina.
Vangelo: Gv 15,26-27; 16,12-15.
Lo Spirito, il Paràclito, il Consolatore, che Gesù invierà ai discepoli dal Padre, è lo Spirito della verità che procede dal Padre e gli dà testimonianza. Allora anch’essi gli daranno testimonianza. Inoltre lo Spirito di verità li avrebbe introdotti e guidati a tutta la verità, non essendo ancora capaci di portare il peso di tutte le cose che aveva ancora da dire loro. Lo Spirito che Gesù promette comunicherà tutto quello che avrebbe preso da lui e lo glorificherà perché prenderà del suo e lo annunzierà loro. Gesù rivela ancora che « Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annunzierà ». Senza lo Spirito il Vangelo è incomprensibile e la testimonianza diventa inefficiente. Lo Spirito ci consegna la verità di Cristo e nell’Eucaristia e nei sacramenti, è da lui che riceviamo la grazia della salvezza e la forza per conservarla e conseguirla.
Ultimo aggiornamento (Sabato 19 Maggio 2018 08:12)