





MARIA IMMACOLATA SEGNO E ANTICIPAZIONE PER NOI CHE SIAMO CHIAMATI A ESSERE SANTI E IMMACOLATI.
8 DICEMBRE – SOLENNITA’ DELL’IMMACOLATA.
Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria.
MARIA IMMACOLATA SEGNO E ANTICIPAZIONE PER NOI CHE SIAMO CHIAMATI A ESSERE SANTI E IMMACOLATI.
Fin dai primi secoli la Chiesa ha formulato, tenendo conto di ciò che dicono i Vangeli, che Maria è la « piena di grazia », « la Madre del Salvatore », e che la si invoca, nella preghiera della Santa Maria, Madre di Dio: questa è l’essenza della sua fede intorno alla Madre di Gesù, espressa solennemente nel concilio di Efeso del 431. Già San Ireneo, salutando la vergine Maria come la « nuova Eva », ne aveva sostenuto l’immacolata concezione. Ma solo nel secolo XV la Chiesa l’ha dichiarata formalmente nelle liturgia, finché il papa Pio IX la definì come dogma di fede cattolica nel 1854.
Siamo scelti da Dio per essere santi e immacolati.
Nel nostro mondo, segnato dal male, dall’egoismo, dalla superbia, respiriamo una tara ereditaria, cominciata con il peccato originale, che ci predispone a compiere il male.
L’opera della salvezza in Maria e in noi..
« Dio, dice San Paolo, ci ha predestinati a essere suoi figli adottivi mediante Gesù Cristo » ( Ef.). Così possiamo sperare di vincere il male, essendo inseriti con il Battesimo in una nuova solidarietà, realizzata dal Cristo morto e risorto, che ha vinto il male per noi. Per Cristo, allora, è possibile sconfiggere il male e la morte da parte di tutti.
Fin dal principio del suo esserci in questo mondo, Maria è stata preservata, per singolare privilegio, in previsione della morte redentrice di Cristo e della sua vittoria sulla morte, da ogni macchia di peccato, sia originale che di ogni altra forma.. Il sacrificio della croce, che agisce in noi, soggetti al peccato originale, per mezzo del Battesimo, ha agito in lei fin dal momento del concepimento come dono sovrabbondante e singolare di grazia, poiché è piena di grazia, ripiena « della potenza dell’Altissimo ». L’immacolata concezione proclama la bontà di Dio e precede ogni merito.
Ogni grazia è così: anche quella per la quale siamo rinati nel Battesimo. Con Maria l’umanità ritrova la strada del cammino di santità. Maria, quindi, ha raggiunto la salvezza fin dal primo momento del suo concepimento, poi ha acconsentito all’elezione di Dio con il suo “sì”, umile e disponibile, vivendo la grazia della Maternità divina, con la propria donazione al disegno di Dio, per cui Lei non poteva contenere ombra di peccato: Dio, essendo santo, rende santo tutto ciò che lo contiene.
Maria, adombrata dallo Spirito Santo, inizia, i tempi nuovi. Con il suo privilegio è la prima, ma non la sola, perché tutti siamo chiamati ad essere santi e immacolati davanti al Padre celeste. Lei è stata scelta non perché rimanesse da sola a contemplare il favore divino: ma perché questo favore si estendesse a tutto il genere umano, come diciamo nella preghiera iniziale della celebrazione: « O Padre, tu che hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio e l’hai preservata da ogni peccato, concedi anche a noi di venire incontro a te in santità e purezza di spirito »
Maria, quindi, non è per questo privilegio distaccata dalla Chiesa. Al contrario in lei Dio ha « segnato l’inizio della Chiesa, sposa di Cristo senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza ». Ella è, quindi, per tutti noi segno di speranza di potere raggiungere la salvezza. Mentre Maria, generando nella carne il Figlio di Dio, è stata privilegiata fin dalla sua immacolata concezione, noi nell’incontro di fede e di amore con Cristo, nei sentimenti e nella vita, possiamo imitare il suo esempio e raggiungere una pienezza di grazia, quando il peccato non avrà più nessun potere su di noi.
Prima Lettura: Gn 3,9-15.20
Una inimicizia radicale oppone il serpente, simbolo del male, e la donna con la sua discendenza: “ La sua stirpe ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”. Dio lo promette, annunziando così la salvezza per l’umanità peccatrice. Essa si compirà quando il Figlio della donna, Gesù, nella sua Pasqua, vincerà il demonio. Ma questa vittoria incomincia con la concezione di Maria, la Madre di Dio, nella quale già si riflette la grazia della redenzione.
Seconda Lettura: Ef 1,3-6.11-12.
Fin dall’eternità Dio ci ha predestinati a essere suoi figli, a immagine e per opera del Figlio suo Gesù Cristo, cioè ci ha scelti per essere santi ed eredi con lui. Non è nostro merito ma una pura grazia. Così come è pura grazia la concezione immacolata di Maria., epifania dell’amore misericordioso che progetta l’uomo per l’intimità con Dio.
Vangelo: Lc 1.26-38.
Da sempre Maria è stata da Dio immensamente amata; per questo è piena di « piena di grazia ». All’annunzio dell’angelo non si ritrae, non diffida. Ascolta il piano divino e si affida alla potenza e alla forza del suo Spirito.
30 DICEMBRE
ATTENDIAMO IL SIGNORE CHE VIENE
3 DICEMBRE – PRIMA DOMENICA d’AVVENTO. (Anno B)
L’attesa del Signore che viene è segno e sacramento di salvezza.
Con l’Avvento inizia per la Chiesa il nuovo anno liturgico. I cristiani riprendono a meditare i misteri della fede: i gesti della vita del Signore, dall’attesa alla nascita, alla vita pubblica, alla passione, morte e risurrezione e, inoltre, a meditare il tempo della Chiesa dalla Pentecoste alla fine dei tempi (Parusia).
Questi misteri del Signore non sono lontani nel tempo, sepolti nel passato. Quello che il Signore ha compiuto, il suo valore, la grazia della salvezza rimangono ancora. Nella celebrazione liturgica dei misteri del Signore deve crescere in noi la nostra conformità a Cristo, Signore del tempo, il quale non tramonta e, soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, celebrata di domenica in domenica, vi attingiamo la grazia della salvezza per vivere secondo il progetto che il Padre ha realizzato per mezzo del suo Figlio.
L’Avvento è il tempo dell’attesa del Signore che viene nel Natale, per cui dobbiamo prepararci spiritualmente alla sua venuta nei nostri cuori. Nell’ascolto della parola dei profeti, che ci preannunziano questa venuta, riviviamo la speranza dei giusti; riviviamo la fede di coloro che hanno accolto l’invito del Battista a preparare il cuore ad accogliere colui che sarebbe stato più grande di lui, il Messia, di cui era precursore; ci uniamo a Maria e Giuseppe, chiamati da Dio Padre ad accogliere il suo Figlio, mandato, nel suo immenso amore per gli uomini, a redimerci da peccato, rendendoci suoi figli e donandoci con la grazia la vita divina: bisogna, allora, liberare i nostri cuori dagli ostacoli che si frappongono alla sua venuta.
Il Signore, nato umile e povero a Betlemme, viene in noi continuamente tutte le volte che apriamo il nostro cuore al suo amore, alla sua Parola, ai suoi gesti sacramentali. Ma in questo tempo dell’Avvento rendiamoci più attenti, vigilanti, per non lasciar passare invano questo tempo in cui il Signore bussa alla porta dei nostri cuori e ci invita a rimanere con lui. Nella preghiera più intensa, vigile e attenta saremo più pronti ad accogliere il Signore che viene e ci offre la sua amicizia.
In queste prime domeniche, la liturgia ancora ci fa ripensare alla venuta di Gesù come giudice, che varrà alla fine dei tempi, quando la storia sarà conclusa, il cammino della Chiesa giungerà alla meta e la speranza del premio eterno cesserà. Ma poiché per ognuno di noi l’incontro con Cristo avviene nel momento della nostra morte, viviamo in questo nostro tempo non praticando scelte sbagliate. Scuotiamoci dal nostro torpore, accogliamo l’invito dell’Apostolo Paolo a svegliarci dal sonno, a riprendere il cammino di fedeltà, con le lampade della fede, della speranza e della carità accese e con il vivo desiderio di incontrarlo, così da non farci sorprendere impreparati.
In questa prima Domenica, nella Colletta iniziale dell’Eucaristia preghiamo dicendo: « O Dio, nostro Padre, nella tua fedeltà ricordati di noi, opera delle tue mani, e donaci l’aiuto della tua grazia, perché resi forti nello spirito, attendiamo vigilanti la gloriosa venuta di Cristo tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te… ».
Prima Lettura: Is 63,16-17.19; 64,2-7.
Il profeta Isaia rivolge al Signore l’implorazione affinché Egli, che è Padre e si chiama Redentore del suo popolo, scenda, squarci i cieli e non lo lasci più vagare lontano dalle sue vie né che si indurisca il suo cuore. Il profeta rievoca ancora le gesta compiute dal Signore per il suo popolo, ma soprattutto che egli abbia fatto tanto per chi confida in lui, che vada incontro a coloro che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle sue vie. Riconosce che il Signore è adirato per le colpe commesse, per essere stati ribelli, per essere divenuti come cosa impura, non avendo praticato la giustizia e non avere invocato il suo nome. A questa supplica accorata, Dio, che ha nascosto il suo volto e messo il popolo in balia delle sue iniquità, risponde con il sorprendente dono del suo Figlio, che si fa uomo. E tutto ciò fa Dio non per i nostri meriti ma, essendo nostro Padre e noi, “argilla”, opera delle sue mani, per un dono d’amore e di grazia, riconciliandoci con sé e riportandoci a vivere in comunione con lui.
Seconda Lettura: 1 Cor 1, 3-9.
San Paolo scrivendo ai Corinzi, dopo aver augurato pace e grazia da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo, ringrazia Dio perché li ha « arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e della conoscenza ». Ed essendo stati stabili e saldi nella testimonianza della fede e ad essi non manca nessun carisma fino alla manifestazione del Signore, chiede a Dio che li renda fino alla fine irreprensibili.
Poiché il Padre ci ha donato tutto in Cristo, tutti dobbiamo vivere e conservare fedelmente l’amore e i doni da lui elargiti, mettendo in pratica il Vangelo, così da essere trovati irreprensibili nel giorno in cui il Signore verrà a giudicarci.
Vangelo: Mc 13,33-37.
Gesù esorta tutti coloro che vogliono essere suoi discepoli ad essere fedeli e operosi, come i servi che il padrone di casa ha lasciato, affidando ad ognuno un compito da assolvere con diligenza e impegno e al portiere quello di vegliare fino al suo ritorno. Non sapendo i servi né il giorno e né l’ora in cui il padrone improvvisamente ritornerà, essi devono vegliare per non essere trovati addormentati. Dalle parole del Signore, che affida od ognuno dei compiti per la realizzazione del Regno di Dio, dobbiamo accogliere il suo pressante monito con cui si conclude la parabola odierna: « Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate! », ovvero: « Tenetevi pronti! ».
DIO SI PRENDE CURA DEL SUO GREGGE, DELLA NOSTRA UMANITÀ.
26 NOVEMBRE – SOLENNITÀ DI GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO.
Dio si prende cura del suo gregge, della nostra umanità.
Gesù, davanti a Ponzio Pilato che gli ha chiesto se fosse re, rispose di esserlo, ma il suo regno e la sua regalità non erano di questo mondo. Gesù esercita, quindi, la sua regalità in maniera silenziosa e misteriosa, ogni giorno, nei cuori di coloro che hanno accolto la sua liberazione dal peccato e vivono nella sua stessa obbedienza a Dio, sottomessi alla sua regalità. Egli è Re di tutti gli uomini, universale, perché, con il suo sacrificio sulla croce,
« vittima di pace sull’altare della croce » ci ha "ricomprati", cioè redenti, non con il sangue di capri o di vitelli, ma con il suo stesso sangue, sparso per la nostra salvezza. Come vittima di pace si è offerto in sacrificio per ricon- ciliarci con il Padre celeste nello Spirito. Per questo Cristo risorto, che ha rinnovato per volere del Padre, tutte le cose, è costituito Signore e Re dell’universo.
Nelle vicende della storia degli uomini, spesso tormentate da sofferenze e tribolazioni varie, questo regno di amore e di pace, di gioia e di giustizia non si avverte facilmente e, agli occhi di tanti, anche di molti cristiani, sembra che sia assente, ma è presente e lo realizzano, anche nel silenzio e nel nascondimento, coloro che lo vivono nella giustizia e nella carità, nella donazione della vita per gli altri, servendoli con dedizione evangelica ad imitazione di Gesù.
« O Padre, che hai costituito il tuo Figlio pastore e re dell’universo, - recita la Colletta di questa solennità - donaci di riconoscerlo nel più piccolo dei fratelli, perché, quando egli verrà nella gloria ci accolga nel suo regno di risurrezione e di vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Siamo allora chiamati a costruire il suo regno d’amore nelle tormentate vicende della storia, « alimentando in noi la certezza di fede, che un giorno, annientato anche l’ultimo nemico, la morte, egli ti consegnerà l’opera della sua redenzione, perché tu, o Padre, sia tutto in tutti ».
Prima Lettura: Ez 34,11-12.15-17.
Il profeta Ezechiele, nel brano che la liturgia ci fa riflettere oggi, nella figura del pastore e in ciò che egli compie per le sue pecore, vede l’opera di Dio per il suo popolo. Come il pastore cerca le sue pecore, vigila ed è premuroso verso il suo gregge, passa in rassegna le sue pecore, così fa Dio con gli uomini, mandando il suo Figlio a riunire i figli di Dio dispersi nel perseguire le vie del male: « Io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine ». Dio stesso, come il pastore, conduce gli uomini con la sua Parola, ricerca la pecora perduta e riconduce all’ ovile quella smarrita, fascia quella ferita e cura la malata, ha cura della grassa e della forte e tutte pascerà con giustizia. Inoltre: « A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri ». Dio quindi agisce con gli uomini con giustizia e amore, per cui, più che vivere nell’ angoscia o nel timore del suo giudizio, dovremmo avere un senso di pace profonda, confidando nel suo amore, nella sua misericordia, ricordando che Dio non vuole, come dice altrove lo stesso profeta, la morte del peccatore, ma che si converte e viva.
Seconda Lettura: 1Cor 15,20-26.28.
San Paolo, in questo brano, mette in parallelo la disobbedienza di Adamo, che ha condotto tutti gli uomini al peccato e alla morte, e l’obbedienza di Gesù, che conduce tutti coloro che credono in lui ad una vita nuova e alla risurrezione. Gesù risorto, quindi, è la primizia di coloro che essendo morti, quando Egli verrà, risorgeranno. E a conclusione di questa storia di salvezza, operata da Cristo a favore degli uomini, « il Figlio consegnerà il re- gno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza ». Così la morte sarà vinta per sempre. Tutto sarà sottoposto alla signoria di Cristo e, infine, lui stesso, con il regno di Dio, instaurato nel cuore degli uomini e nella creazione, sarà sottomesso al Padre, « Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, per Dio sia tutto un tutti ». Ma a chi allude Paolo, quando dice : « E’ necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi, compresa la morte? ». Certo allude ai demoni e a coloro che ostinatamente lo hanno rifiutato non accogliendolo.
Vangelo: Mt 25,31-46.
La parabola del Giudizio universale del Vangelo ci richiama alla mente e alla nostra riflessione quello che avverrà alla fine dei tempi, « quando il Figlio dell’ uomo verrà nella gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui saranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra ». In questo giudizio, Cristo, il Figlio dell’Uomo, rivelerà la sua signoria, che nella storia rimane velata, pur essendo già all’ opera. L’esame del giudizio che egli farà agli uomini verterà su ciò che avremo fatto o non fatto, durante i nostri giorni terreni, ai fratelli poveri, ai piccoli, ai deboli e agli emarginati in cui egli si identifica. Saremo, quindi, giudicati sulla carità dimostrata concretamente e nella verità di opere ordinarie, semplici, sia a livello materiale che spirituale.
Egli ci giudicherà, come fatti a lui, sulla generosità e l’interesse che abbiamo avuto per gli altri. Di conseguenza, a coloro che lo hanno riconosciuto e amato davanti agli uomini, cioè ai “ giusti ”, egli darà di partecipare alla “ vita eterna”, mentre toccherà la maledizione, l’esclusione e la lontananza da questa vita, nel “ supplizio eterno ”, per coloro che non lo hanno riconosciuto e amato nei suoi fratelli.
In maniera semplice possiamo sapere quale sarà la materia del giudizio su cui saremo giudicati e verso quale realtà futura ci incamminiamo continuamente nei nostri giorni terreni. Gesù con questa parabola vuol farci comprendere che si è oggi uniti con lui nell'amore e lo si sarà nella sua gloria se siamo oggi solidali con i fratelli, perché in essi egli vuole essere riconosciuto e amato: chiudendo il cuore e la nostra carità ai fratelli, li chiudiamo anche al Signore Gesù.
NELL'ATTESA DEL SIGNORE SIAMO OPEROSI E VIGILANTI, FACENDO FRUTTAR3 TUTTI I SUOI DONI.
19 Novembre - XXXIII DOMENICA del Tempo Ordinario
Vivere sempre pronti e vigilanti per l’incontro con il Signore.
Nella Colletta iniziale dell’Eucaristia di questa Domenica chiediamo a Dio, che affida alle « mani dell’uomo tutti i beni della creazione e della sua grazia », di fare in modo che la nostra buona volontà moltiplichi i frutti della sua Provvidenza, rendendoci « sempre operosi e vigilanti in attesa del tuo ritorno, nella speranza di sentirci chiamare servi buoni e fedeli e così entrare nella gioia del tuo regno».
Domandiamo a Dio che l’offerta del Corpo e Sangue del Signore, con la grazia di servirlo quindi con fedeltà e amore, ci faccia fruttare i doni che egli nella sua bontà ci dona, perché così, come i servi della parabola del Vangelo di oggi, possiamo essere introdotti, essendo stati servi buoni e fedeli, nella gioia del suo regno. Nell’Eucaristia, allora, da cui attingiamo la forza di essere « operosi nella carità » e la pazienza, con cui affrontiamo le prove delle vicende liete e tristi della vita, alimentiamo la speranza, nell’attesa del suo avvento, di raggiungere e godere il frutto « dell’eternità beata ».
Prima Lettura: Pr 31,10-.13.19,20-23.30.
Il Libro dei Proverbi, nella lettura che oggi riflettiamo, fa le lodi della donna forte, il cui valore la rende superiore alle perle, perché, ella teme Dio, in lei può confidare il cuore del marito, a cui dà felicità e non dispiaceri. E’ dedita alla casa lavorando volentieri lana e lino con le sue mani, è previdente e generosa verso il misero e il povero, e non fa tanto affidamento sul suo fascino o sulla sua fugace bellezza fisica, a cui, purtroppo, oggi si tiene molto. Con tutto ciò la Scrittura non vuole porre la donna in una condizione di inferiorità rispetto all’uomo, perché Dio, creando « l’UOMO, a sua immagine e somiglianza, maschio e femmina li creò », quindi in pari dignità e con gli stessi diritti e doveri, anche se con ruoli diversi in vari aspetti della vita. Un esagerato femminismo, forse oggi, svaluta alcuni aspetti del ruolo della donna, fondandoli su un « concetto assoluto di libertà e di emancipazione ».
Seconda Lettura: 1 Ts 5,1-6.
La Parola di Dio di queste ultime domeniche dell’anno liturgico ci esorta a guardare al giorno del giudizio in cui il Signore verrà d’improvviso, come un ladro di notte. Essa, più che descrivere gli eventi futuri, cioè escatologici, in maniera precisa di come accadranno e di cui non possiamo fare né calcoli né illusioni, mette in evidenza la necessità di prepararsi a quella fine, facendo fruttare i doni di Dio, vigilando e vivendo con sobrietà per non essere appesantiti nel sonno dello spirito da vari adagiamenti, per non essere sorpresi nel giorno in cui il Signore, certo, verrà per introdurci nella sua luce e nella gioia del suo regno.
La vita terrena dei cristiani, così come di tutti gli uomini, è da considerarsi vigilia di “una esistenza diversa” o vigilia del “nulla”? Attesa operosa per il bene proprio e dell’intera umanità in vista di un traguardo in Dio o esistenza senza senso per sé e per gli altri, e solo per il perseguimento di mete terrene e fugaci? Se diciamo di amare il Signore, dice un padre della Chiesa, non dobbiamo aver paura della sua venuta, perché, diversamente, che razza di amore sarebbe il nostro? Allora perché non impegnarci a vivere con cuore attento e attività operosa, con il vivo desiderio di incontrare il Signore che viene, anche se non ne conosciamo il momento e l’ora? L’atteggiamento vigilante non deve farci perdere l’attenzione e la consapevolezza della nostra vita e della storia.
Vangelo: Mt 25,14-30.
La parabola del Vangelo ci esorta a riflettere sui doni che Dio ci dà, per collaborare al suo progetto di salvezza, e su come li abbiamo fatto fruttare per realizzare la nostra esistenza, non solo a nostro beneficio ma anche per gli altri. Nel giudizio finale ognuno dovrà rispondere personalmente dell’impegno posto durante la vita a rendere tutti i doni di Dio, pochi o molti che siano, non solo la propria vita e le doti personali ma anche quelli comunitari, sociali e ambientali, i doni di grazia, fruttuosi per sé e i fratelli, mettendoli continuamente in gioco valorizzandoli. Possiamo anche seppellirli o rifiutarli non capendo così il significato che essi hanno per noi e gli altri, come ha fatto il servo pigro e infingardo. La fedeltà e la laboriosità devono, invece, contraddistinguere l’agire del credente e di ogni uomo di buona volontà, perché, volenti o nolenti, dobbiamo rendere conto a Colui che ce l’ha dati da amministrare. Per il buon uso di essi, possiamo attendere il plauso di Dio e la sua accoglienza nella gioia del suo regno. Certamente la pigrizia, la negligenza colpevole o l’atteggiamento del servo, che ha sotterrato il talento e lo ha restituito al padrone con insolenza accusatoria, non possono essere premiati. Gesù ci esorta, dunque, a prendere, nel presente della nostra vita, l’impegno per il Regno di Dio, con fedeltà creativa al suo insegnamento, se vogliamo nel futuro partecipare alla gioia della comunione con Lui nella gloria.
PREPARIAMOCI ALL'INCONTRO CON CRISTO SPOSO, COME LE VERGINI PRUDENTI.
12 NOVEMBRE – XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
73° GIORNATA DEL RINGRAZIAMENTO
Prepararsi all’incontro con il Signore.
La celebrazione della passione gloriosa del Signore, Figlio di Dio, non è un avvenimento del passato, ma è reso presente dall’azione dello Spirito e noi, partecipandovi con fede, ne veniamo coinvolti. Assumendo con impegno il Corpo e Sangue di Cristo, che si è offerto per la nostra salvezza, noi impariamo a donarci per la salvezza dell’umanità. Alla passione del Signore è seguita la sua gloriosa risurrezione per cui, con l’Eucaristia che noi celebriamo, viene alimentata la speranza della gloria futura. Ma dobbiamo vivere nella vigilanza tale attesa, così da essere trovati, alla venuta del Signore, pronti per entrare, come le vergini prudenti, con lui nel banchetto celeste.
Nella preghiera iniziale diciamo: « O Dio, voce che ridesta il cuore, nella lunga attesa dell’incontro con Cristo tuo Figlio fa’ che non venga a mancare l’olio delle nostre lampade, perché, quando egli verrà , siamo pronti a corrergli incontro per entrare con lui alla festa nuziale. Egli è Dio e vive e regna con te. … ».
Prima Lettura: Sap 6,12-16
In questa prima lettura sono delineate alcune caratteristiche della sapienza: essa è splendida, si lascia vedere da coloro che la amano, trovare da coloro che la cercano e previene coloro che la desidera facendosi conoscere.
« Chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà, la troverà seduta alla sua porta ». Riflettere su di essa significa acquisire un’intelligenza perfetta e sarà senza affanni chi veglia a causa sua; lei stessa va in cerca di coloro che sono degni di lei, apparendo loro benevola in ogni circostanza.
Cosa è la sapienza ci potremmo chiedere? E’ la Parola di Dio, la sua legge, il suo spirito. Bisogna allora cercarla, desiderarla, amarla. La si trova se la si chiede a Dio e se ci si rende degni di lei. Cristo Gesù, la Sapienza increata, generata dall’eternità, il Verbo di Dio del prologo del Vangelo di Giovanni è Colui che l’uomo dovrebbe ricercare, accogliere, amare e ispirarsi continuamente a lui, perché « il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi…. E noi dalla sua pienezza abbiamo ricevuto: grazia su grazia » (Gv 1,14.16).
Seconda Lettura: 1Ts4,13-18
San Paolo, scrivendo ai Tessalonicesi per istruirli a proposito di coloro che sono morti, li esorta a non essere tristi come coloro che non hanno speranza, perché se i discepoli di Cristo credono che Gesù è morto e risorto, Dio, per mezzo di Gesù, li radunerà rendendoli partecipi della sua resurrezione.
Per confortarli davanti alla realtà della morte, continua, ancora, dicendo che, alla venuta del Signore, coloro che sono ancora in vita non avranno alcuna precedenza su quelli che sono morti: quando il Signore si manifesterà, prima risorgeranno tutti i morti in Cristo e, quindi, anche coloro che saranno ancora in vita verranno rapiti insieme con loro per andare incontro al Signore e così essere sempre con lui. Per l’apostolo quello che importa è credere nel Signore risorto dai morti, causa e fondamento della risurrezione di tutti, per essere sempre con lui nella gloria e, come dice nella parabola del Giudizio universale, «nel regno preparato per loro fin dalla fondazione del mondo ». I discepoli del Signore allora vedono la morte nella prospettiva della resurrezione di Cristo, il quale è « causa e primizia » della risurrezione di tutti.
Vangelo: Mt 25,1-13.
Nella parabola del Vangelo di oggi delle vergini, che attendono lo sposo, Gesù riprende il tema dell’incontro che gli uomini vivranno alla venuta del Signore nella gloria. Nell’attesa dello sposo che tardava, dice Gesù, sia le cinque vergini prudenti che avevano preso dell’olio di riserva per le loro lampade, sia le cinque vergini stolte che non avevano provveduto a prende- re dell’olio di riserva, si assopirono e si addormentarono. A mezzanotte, al grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”, tutte le vergini si destarono e prepararono le lampade. Le stolte, allora, dissero alle sagge: “ Dateci un po’ del vostro olio, perché le lampade si spengono”. Le sagge, avendo risposto che l’olio sarebbe venuto mancare ad entrambe, invitarono le stolte ad andare a comprarlo. Arrivando lo sposo, però, le vergini che erano pronte entrarono alla festa di nozze e la porta fu chiusa. Ritornando le altre vergini cominciarono a dire : “Signore, signore, aprici! ”. Ma fu loro risposto: “ In verità io vi dico: non vi conosco ”.E Gesù, concludendo la parabola, esorta gli uditori a vegliare ed essere preparati perché non si sa né il giorno né l’ora in cui ognuno dovrà incontrare il Signore. Non bisogna, allora, farsi sorprendere senza olio nella lampada, cioè senza la fede, la speranza, la carità se vogliamo partecipare al suo convito, che consiste nel vivere nell’intimità gioiosa con il Signore. Non dobbiamo farci trovare assopiti in comportamenti di calcoli imprudenti e insipienti, presi dalla tentazione di rimandare a domani l’impegno a vivere serenamente l’attesa del Signore, camminando nelle sue vie e vivendo la nostra fedeltà a lui.