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AVVENTO DEL SIGNORE: VEGLIATE E STATE PRONTI PER ACCOGLIERE IL SIGNORE!
29 NOVEMBRE – PRIMA DOMENICA d’AVVENTO. (Anno B)
L’attesa del Signore che viene è segno e sacramento di salvezza.
Con l’Avvento inizia per la Chiesa il nuovo anno liturgico. I cristiano riprendono a meditare i misteri della fede: i gesti della vita del Signore, dall’attesa alla nascita, alla vita pubblica, alla passione, morte e risurrezione e, inoltre, a meditare il tempo della Chiesa dalla Pentecoste alla fine dei tempi (Parusia).
Questi misteri del Signore non sono lontani nel tempo, sepolti nel passato. Quello che il Signore ha compiuto, il suo valore, la grazia della salvezza rimangono ancora. Nella celebrazione liturgica dei misteri del Signore deve crescere in noi la nostra conformità a Cristo, Signore del tempo, il quale non tramonta e, soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, celebrata di domenica in domenica, vi attingiamo la grazia della salvezza per vivere secondo il progetto che il Padre ha realizzato per mezzo del suo Figlio.
L’Avvento è il tempo dell’attesa del Signore che viene nel Natale, per cui dobbiamo prepararci spiritualmente alla sua venuta nei nostri cuori. Nell’ascolto la parola dei profeti, che ci preannunziano questa venuta, riviviamo la speranza dei giusti; riviviamo la fede di coloro che hanno accolto l’invito del Battista a preparare il cuore ad accogliere colui che sarebbe stato più grande di lui, il Messia, di cui era precursore; ci uniamo a Maria e Giuseppe, chiamati da Dio Padre ad accogliere il suo Figlio, mandato, nel suo immenso amore per gli uomini, a redimerci da peccato, rendendoci suoi figli e donandoci con la grazia la vita divina: bisogna, allora, liberare i nostri cuori dagli ostacoli che si frappongono alla sua venuta.
Il Signore, nato umile e povero a Betlemme, viene in noi continuamente tutte le volte che apriamo il nostro cuore al suo amore, alla sua Parola, ai suoi gesti sacramentali. Ma in questo tempo dell’Avvento rendiamoci più attenti, vigilanti, per non lasciar passare invano questo tempo in cui il Signore bussa alla porta dei nostri cuori e ci invita a rimanere con lui. Nella preghiera più intensa, vigile e attenta saremo più pronti ad accogliere il Signore che viene e ci offre la sua amicizia.
In queste prime domeniche, la liturgia ancora ci fa ripensare alla venuta di Gesù come giudice, che varrà alla fine dei tempi, quando la storia sarà conclusa, il cammino della Chiesa giungerà alla meta e la speranza del premio eterno cesserà. Ma poiché per ognuno di noi l’incontro con Cristo avviene nel momento della nostra morte, viviamo in questo nostro tempo non praticando scelte sbagliate. Scuotiamoci dal nostro torpore, accogliamo l’invito dell’Apostolo Paolo a svegliarci dal sonno, a riprendere il cammino di fedeltà, con le lampade della fede, della speranza e della carità accese e con il vivo desiderio di incontrarlo, così da non farci sorprendere impreparati.
In questa prima Domenica, nella Colletta iniziale dell’Eucaristia preghiamo dicendo: « O Dio, nostro Padre, nella tua fedeltà che mai viene meno ricordati di noi, opera delle tue mani, e donaci l’aiuto della tua grazia, perché attendiamo vigilanti con amore irreprensibile la gloriosa venuta del nostro redentore, Gesù Cristo tuo Figlio ».
Prima Lettura: Is 63,16-17.19; 64,2-7.
Il profeta Isaia rivolge al Signore l’implorazione affinché Egli, che è Padre e si chiama Redentore del suo popolo, scenda, squarci i cieli e non lo lasci più vagare lontano dalle sue vie né che si indurisca il suo cuore. Il profeta rievoca ancora le gesta compiute dal Signore per il suo popolo, ma soprattutto che egli abbia fatto tanto per chi confida in lui, che vada incontro a coloro che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle sue vie. Riconosce che il Signore è adirato per le colpe commesse, per essere stati ribelli, per essere divenuti come cosa impura, non avendo praticato la giustizia e non avere invocato il suo nome. A questa supplica accorata, Dio, che ha nascosto il suo volto e messo il popolo in balia delle sue iniquità, risponde con il sorprendente dono del suo Figlio, che si fa uomo. E tutto ciò Dio fa non per i nostri meriti ma, essendo nostro Padre e noi, “argilla”, opera delle sue mani, per un dono d’amore e di grazia, riconciliandoci con sé e riportandoci a vivere in comunione con lui.
Seconda Lettura: 1 Cor 1, 3-9.
San Paolo scrivendo ai Corinzi, dopo aver augurato pace e grazia da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo, ringrazia Dio perché li ha « arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e della conoscenza ». Ed essendo stati stabili e saldi nella testimonianza della fede e ad essi non manca nessun carisma fino alla manifestazione del Signore, chiede a Dio che li renda fino alla fine irreprensibili.
Poiché il Padre ci ha donato tutto in Cristo, tutti dobbiamo vivere e conservare fedelmente l’amore e i doni da lui elargiti, mettendo in pratica il Vangelo, così da essere trovati irreprensibili nel giorno in cui il Signore verrà a giudicarci.
Vangelo: Mc 13,33-37.
Gesù esorta tutti coloro che vogliono essere suoi discepoli ad essere fedeli e operosi, come i servi che il padrone di casa ha lasciato, affidando ad ognuno un compito da assolvere con diligenza e impegno e al portiere quello di vegliare fino al suo ritorno. Non sapendo i servi né il giorno e né l’ora in cui il padrone improvvisamente ritornerà, essi devono vegliare per non essere trovati addormentati. Dalle parole del Signore, che affida od ognuno dei compiti per la realizzazione del Regno di Dio, dobbiamo accogliere il suo pressante monito con cui si conclude la parabola odierna: « Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate! », ovvero: « Tenetevi pronti! ».
A V V E N T O 2020
Nell’attesa del Signore Gesù, che nasce nel Natale per noi, disponiamo i nostri cuori ad accoglierlo degnamente nella preghiera, nella sua Parola, nei santi misteri della fede e nella carità fraterna e operosa verso i fratelli nei quali egli si identifica.
Eccovi alcune proposte
1) “AVVENTO IN COMUNITA’:
NOVENA DELL’IMMACOLATA: 29 Nov.-7 Dic. – ore 18.30
Durante i giorni feriali, nella Santa Messa vivremo una breve riflessione sulla Parola di Dio del giorno, e dal 16 al 24 Dicembre, sarà celebrata la Novena del Natale, alle ore 18.30.
2) “NATALE NELLE NOSTRE FAMIGLIE ”:
Le famiglie che vogliono partecipare alla iniziativa, realizzando il presepe in casa con il possibile coinvolgimento dei membri della famiglia, saranno visitate, nel tempo della Novena del Natale dal Parroco, con le dovute cautele previste per questa pandemia, così da prepararci al Natale con preghiere e canti e poi celebrarlo non solo nelle forme folkloristiche ma anche attraverso la partecipazione alle celebrazioni eucaristiche
L’Ora dell’incontro sarà concordato con le famiglie interessate..
3) “ NATALE CON I FRATELLI AMMALATI ”:
Le famiglie in cui si trovano fratelli o sorelle ammalati, nei giorni precedenti il Natale o dopo, se è gradito e dietro previo appuntamento, verranno visitati per un momento di preghiera e per un gesto di fraterna vicinanza con il ricevere l’Eucaristia. .
4) “NATALE DI FRATERNITA’ E DI GENEROSITA’ ”:
Durante tutto l’Avvento e il Natale, apriamo il nostro cuore alla Carità e alle famiglie in necessità che sono tra noi deponendo davanti al Presepe, nelle celebrazioni domenicali, i nostri doni in natura o in qualunque modo ognuno riterrà di essere presente.
SAREMO GIUDICATI DALLE NOSTRE SCELTE.
22 NOVEMBRE – SOLENNITA’ DI GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO.
Dio si prende cura del suo gregge, della nostra umanità
(Giornata Nazionale di sensibilizzazione per il sostentamento del clero)
Gesù, davanti a Ponzio Pilato che gli ha chiesto se fosse re, rispose di esserlo, ma il suo regno e la sua regalità non erano di questo mondo. Gesù esercita, quindi, la sua regalità in maniera silenziosa e misteriosa, ogni giorno, nei cuori di coloro che hanno accolto la sua liberazione dal peccato e vivono nella sua stessa obbedienza a Dio, sottomessi alla sua regalità. Egli è Re di tutti gli uomini, universale, perché, con il suo sacrificio sulla croce, « vittima di pace sull’altare della croce » ci ha "ricomprati", cioè redenti, non con il sangue di capri o di vitelli, ma con il suo stesso sangue, sparso per la nostra salvezza. Come vittima di pace si è offerto in sacrificio per riconciliarci con il Padre celeste nello Spirito. Per questo Cristo risorto, che ha rinnovato per volere del Padre tutte le cose, è costituito Signore e Re dell’universo.
Nelle vicende della storia degli uomini, spesso tormentate da sofferenze e tribolazioni varie, questo regno di amore e di pace, di gioia e di giustizia non si avverte facilmente e, agli occhi di tanti, anche di molti cristiani, sembra che sia assente, ma è presente e lo realizzano, anche nel silenzio e nel nascondimento, coloro che lo vivono nella giustizia e nella carità, nella donazione della vita per gli altri, servendoli con dedizione evangelica ad imitazione di Gesù. Il Padre ha posto il suo Figlio, «unico pastore di tutti gli uomini », recita la Colletta di questa solennità, per costruire il suo regno d’amore nelle tormentate vicende della storia e « alimentare in noi la certezza di fede, che un giorno, annientato anche l’ultimo nemico, la morte, egli ti consegnerà l’opera della sua redenzione, perché tu, o Padre, sia tutto in tutti ».
Prima Lettura: Ez 34,11-12.15-17.
Il profeta Ezechiele, nel brano che la liturgia ci fa riflettere oggi, nella figura del pastore e in ciò che egli compie per le sue pecore, vede l’opera di Dio per il suo popolo. Come il pastore cerca le sue pecore, vigila ed è premuroso verso il suo gregge, passa in rassegna le sue pecore, così fa Dio con gli uomini, mandando il suo Figlio a riunire i figli di Dio dispersi nel perseguire le vie del male: « Io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine ». Dio stesso, come il pastore, conduce gli uomini con la sua Parola, ricerca la pecora perduta e riconduce all’ ovile quella smarrita, fascia quella ferita e cura la malata, ha cura della grassa e della forte e tutte pascerà con giustizia. Inoltre: « A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri ». Dio quindi agisce con gli uomini con giustizia e amore, per cui, più che vivere nell’ angoscia o nel timore del suo giudizio, dovremmo avere un senso di pace profonda, confidando nel suo amore, nella sua misericordia, ricordando che Dio non vuole, come dice altrove lo stesso profeta, la morte del peccatore, ma che si converte e viva.
Seconda Lettura: 1Cor 15,20-26.28.
San Paolo, in questo brano, mette in parallelo la disobbedienza di Adamo, che ha condotto tutti gli uomini al peccato e alla morte, e l’obbedienza di Gesù, che conduce tutti coloro che credono in lui ad una vita nuova e alla risurrezione. Gesù risorto, quindi, è la primizia di coloro che essendo morti, quando Egli verrà, risorgeranno. E a conclusione di questa storia di salvezza, operata da Cristo a favore degli uomini, « il Figlio consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza ». Così la morte sarà vinta per sempre. Tutto sarà sottoposto alla signoria di Cristo e, infine, lui stesso, con il regno di Dio, instaurato nel cuore degli uomini e nella creazione, sarà sottomesso al Padre, « Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto un tutti ». Ma a chi allude Paolo, quando dice : « E’ necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi, compresa la morte? ». Certo allude ai demoni e a coloro che ostinatamente lo hanno rifiutato non accogliendolo.
Vangelo: Mt 25,31-46.
La parabola del Giudizio universale del Vangelo ci richiama alla mente e alla nostra riflessione quello che avverrà alla fine dei tempi, « quando il Figlio dell’ uomo verrà nella gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui saranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra ». In questo giudizio, Cristo, il Figlio dell’Uomo, rivelerà la sua signoria, che nella storia rimane velata, pur essendo già all’ opera. L’esame del giudizio che egli farà agli uomini verterà su ciò che avremo fatto o non fatto, durante i nostri giorni terreni, ai fratelli poveri, ai piccoli, ai deboli e agli emarginati in cui egli si identifica. Saremo, quindi, giudicati sulla carità dimostrata concretamente e nella verità di opere ordinarie, semplici, sia a livello materiale che spirituale.
Egli ci giudicherà, come fatti a lui, sulla generosità e l’interesse che abbiamo avuto per gli altri. Di conseguenza, a coloro che lo hanno riconosciuto e amato davanti agli uomini, cioè ai “ giusti ”, egli darà di partecipare alla “ vita eterna”, mentre toccherà la maledizione, l’esclusione e la lontananza da questa vita, nel “ supplizio eterno ”, per coloro che non lo hanno riconosciuto e amato nei suoi fratelli.
In maniera semplice possiamo sapere quale sarà la materia del giudizio su cui saremo giudicati e verso quale realtà futura ci incamminiamo continuamente nei nostri giorni terreni. Gesù con questa parabola vuol farci comprendere che si è oggi uniti con lui nell'amore e lo si sarà nella sua gloria se siamo oggi solidali con i fratelli, perché in essi egli vuole essere riconosciuto e amato: chiudendo il cuore e la nostra carità ai fratelli, li chiudiamo anche al Signore Gesù.
DOVREMO RENDERE CONTO DI QUELLO CHE ABBIAMO FATTO, FINCHE' SIAMO STATI IN QUESTA TERRA.
15 Novembre - XXXIII DOMENICA del Tempo Ordinario
Vivere sempre pronti e vigilanti per l’incontro con il Signore.
Nella Colletta iniziale dell’Eucaristia di questa Domenica chiediamo a Dio, che affida alle « mani dell’uomo tutti i beni della creazione e della sua grazia », di fare in modo che la nostra buona volontà moltiplichi i frutti della sua Provvidenza, rendendoci « sempre operosi e vigilanti in attesa del tuo ritorno, nella speranza di sentirci chiamare servi buoni e fedeli e così entrare nella gioia del tuo regno».
Domandiamo a Dio che l’offerta del Corpo e Sangue del Signore, con la grazia di servirlo quindi con fedeltà e amore, ci faccia fruttare i doni che egli nella sua bontà ci dona, perché così, come i servi della parabola del Vangelo di oggi, possiamo essere introdotti, essendo stati servi buoni e fedeli, nella gioia del suo regno. Nell’Eucaristia, allora, da cui attingiamo la forza di essere « operosi nella carità » e la pazienza, con cui affrontiamo le prove delle vicende liete e tristi della vita, alimentiamo la speranza, nell’attesa del suo avvento, di raggiungere e godere il frutto « dell’eternità beata ».
Prima Lettura: Prv 31,10-.13.19,20-23.30.
Il Libro dei Proverbi, nella lettura che oggi riflettiamo, fa le lodi della donna forte, il cui valore la rende superiore alle perle, perché, ella teme Dio, in lei può confidare il cuore del marito, a cui dà felicità e non dispiaceri. E’ dedita alla casa lavorando volentieri lana e lino con le sue mani, è previdente e generosa verso il misero e il povero, e non fa tanto affidamento sul suo fascino o sulla sua fugace bellezza fisica, a cui, purtroppo, oggi si tiene molto. Con tutto ciò la Scrittura non vuole porre la donna in una condizione di inferiorità rispetto all’uomo, perché Dio, creando « l’UOMO, a sua immagine e somiglianza, maschio e femmina li creò », quindi in pari dignità e con gli stessi diritti e doveri, anche se con ruoli diversi in vari aspetti della vita. Un esagerato femminismo, forse oggi, svaluta alcuni aspetti del ruolo della donna, fondandoli su un « concetto assoluto di libertà e di emancipazione ».
Seconda Lettura: 1 Ts 5,1-6.
La Parola di Dio di queste ultime domeniche dell’anno liturgico ci esorta a guardare al giorno del giudizio in cui il Signore verrà d’improvviso, come un ladro di notte. Essa, più che descrivere gli eventi futuri, cioè escatologici, in maniera precisa di come accadranno e di cui non possiamo fare né calcoli né illusioni, mette in evidenza la necessità di prepararsi a quella fine, facendo fruttare i doni di Dio, vigilando e vivendo con sobrietà per non essere appesantiti nel sonno dello spirito da vari adagiamenti, per non essere sorpresi nel giorno in cui il Signore, certo, verrà per introdurci nella sua luce e nella gioia del suo regno.
La vita terrena dei cristiani, così come di tutti gli uomini, è da considerarsi vigilia di “una esistenza diversa” o vigilia del “nulla”? Attesa operosa per il bene proprio e dell’intera umanità in vista di un traguardo in Dio o esistenza senza senso per sé e per gli altri, e solo per il perseguimento di mete terrene e fugaci? Se diciamo di amare il Signore, dice un padre della Chiesa, non dobbiamo aver paura della sua venuta, perché, diversamente, che razza di amore sarebbe il nostro? Allora perché non impegnarci a vivere con cuore attento e attività operosa, con il vivo desiderio di incontrare il Signore che viene, anche se non ne conosciamo il momento e l’ora? L’atteggiamento vigilante non deve farci perdere l’attenzione e la consapevolezza della nostra vita e della storia.
Vangelo: Mt 25,14-30.
La parabola del Vangelo ci esorta a riflettere sui doni che Dio ci dà, per collaborare al suo progetto di salvezza, e su come li abbiamo fatto fruttare per realizzare la nostra esistenza, non solo a nostro beneficio ma anche per gli altri. Nel giudizio finale ognuno dovrà rispondere personalmente dell’impegno posto durante la vita a rendere tutti i doni di Dio, pochi o molti che siano, non solo la propria vita e le doti personali ma anche quelli comunitari, sociali e ambientali, i doni di grazia, fruttuosi per sé e i fratelli, mettendoli continuamente in gioco valorizzandoli. Possiamo anche seppellirli o rifiutarli non capendo così il significato che essi hanno per noi e gli altri, come ha fatto il servo pigro e infingardo. La fedeltà e la laboriosità devono, invece, contraddistinguere l’agire del credente e di ogni uomo di buona volontà, perché, volenti o nolenti, dobbiamo rendere conto a Colui che ce l’ha dati da amministrare. Per il buon uso di essi, possiamo attendere il plauso di Dio e la sua accoglienza nella gioia del suo regno. Certamente la pigrizia, la negligenza colpevole o l’atteggiamento del servo, che ha sotterrato il talento e lo ha restituito al padrone con insolenza accusatoria, non possono essere premiati. Gesù ci esorta, dunque, a prendere, nel presente della nostra vita, l’impegno per il Regno di Dio, con fedeltà creativa al suo insegnamento, se vogliamo nel futuro partecipare alla gioia della comunione con Lui nella gloria
ALIMENTIAMO, NELLA PREGHIERA E VIVENDO SECONDO LA SAPIENZA DI DIO, LA SUA ATTESA.
8 NOVEMBRE – XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Prepararsi all’incontro con il Signore.
La celebrazione della passione gloriosa del Signore, Figlio di Dio, non è un avvenimento del passato, ma è reso presente dall’azione dello Spirito e noi, partecipandovi con fede, ne veniamo coinvolti. Assumendo con impegno il Corpo e Sangue di Cristo, che si è offerto per la nostra salvezza, noi impariamo a donarci per la salvezza dell’umanità. Alla passione del Signore è seguita la sua gloriosa risurrezione per cui, con l’Eucaristia che noi celebriamo, viene alimentata la speranza della gloria futura. Ma dobbiamo vivere nella vigilanza tale attesa, così da essere trovati, alla venuta del Signore, pronti per entrare, come le vergini prudenti, con lui nel banchetto celeste.
Nella preghiera iniziale diciamo: « O Dio, la tua sapienza va in cerca di quanti ne ascoltano la voce, rendici degni di partecipare al tuo banchetto e fa’ che alimentiamo l’olio delle nostre lampade, perché non si estinguano nell’attesa, ma quando tu verrai siamo pronti a correrti incontro, per entrare con te nella festa nuziale ».
Prima Lettura: Sap 6,12-16
In questa prima lettura sono delineate alcune caratteristiche della sapienza: essa è splendida, si lascia vedere da coloro che la amano, trovare da coloro che la cercano e previene coloro che la desiderano facendosi conoscere.
« Chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà, la troverà seduta alla sua porta ». Riflettere su di essa significa acquisire un’intelligenza perfetta e sarà senza affanni chi veglia a causa sua; lei stessa va in cerca di coloro che sono degni di lei, apparendo loro benevola in ogni circostanza.
Cosa è la sapienza ci potremmo chiedere? E’ la Parola di Dio, la sua legge, il suo spirito. Bisogna allora cercarla, desiderarla, amarla. La si trova se la si chiede a Dio e se ci si rende degni di lei. Cristo Gesù, la Sapienza increata, generata dall’eternità, il Verbo di Dio del prologo del Vangelo di Giovanni è Colui che l’uomo dovrebbe ricercare, accogliere, amare e ispirarsi continuamente a lui, perché « il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi…. E noi dalla sua pienezza abbiamo ricevuto: grazia su grazia » (Gv 1,14.16).
Seconda Lettura: 1Ts4,13-18
San Paolo, scrivendo ai Tessalonicesi per istruirli a proposito di coloro che sono morti, li esorta a non essere tristi come coloro che non hanno speranza, perché se i discepoli di Cristo credono che Gesù è morto e risorto, Dio, per mezzo di Gesù, li radunerà rendendoli partecipi della sua resurrezione.
Per confortarli davanti alla realtà della morte, continua, ancora, dicendo che, alla venuta del Signore, coloro che sono ancora in vita non avranno alcuna precedenza su quelli che sono morti: quando il Signore si manifesterà, prima risorgeranno tutti i morti in Cristo e, quindi, anche coloro che saranno ancora in vita verranno rapiti insieme con loro per andare incontro al Signore e così essere sempre con lui. Per l’apostolo quello che importa è credere nel Signore risorto dai morti, causa e fondamento della risurrezione di tutti, per essere sempre con lui nella gloria e, come dice nella parabola del Giudizio universale, «nel regno preparato per loro fin dalla fondazione del mondo ». I discepoli del Signore allora vedono la morte nella prospettiva della resurrezione di Cristo, il quale è « causa e primizia » della risurrezione di tutti.
Vangelo: Mt 25,1-13.
Nella parabola del Vangelo di oggi delle vergini, che attendono lo sposo, Gesù riprende il tema dell’incontro che gli uomini vivranno alla venuta del Signore nella gloria. Nell’attesa dello sposo che tardava, dice Gesù, sia le cinque vergini prudenti che avevano preso dell’olio di riserva per le loro lampade, sia le cinque vergini stolte che non avevano provveduto a prende- re dell’olio di riserva, si assopirono e si addormentarono. A mezzanotte, al grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”, tutte le vergini si destarono e prepararono le lampade. Le stolte, allora, dissero alle sagge: “ Dateci un po’ del vostro olio, perché le lampade si spengono”. Le sagge, avendo risposto che l’olio sarebbe venuto mancare ad entrambe, invitarono le stolte ad andare a comprarlo. Arrivando lo sposo, però, le vergini che erano pronte entrarono alla festa di nozze e la porta fu chiusa. Ritornando le altre vergini cominciarono a dire: “Signore, Signore, aprici! ”. Ma fu loro risposto: “ In verità io vi dico: non vi conosco ”.E Gesù, concludendo la parabola, esorta gli uditori a vegliare ed essere preparati perché non si sa né il giorno né l’ora in cui ognuno dovrà incontrare il Signore. Non bisogna, allora, farsi sorprendere senza olio nella lampada, cioè senza la fede, la speranza, la carità se vogliamo partecipare al suo convito, che consiste nel vivere nell’intimità gioiosa con il Signore. Non dobbiamo farci trovare assopiti in comportamenti di calcoli imprudenti e insipienti, presi dalla tentazione di rimandare a domani l’impegno a vivere serenamente l’attesa del Signore, camminando nelle sue vie e vivendo la nostra fedeltà a lui.
Ultimo aggiornamento (Sabato 07 Novembre 2020 16:58)
LA SPERANZA NON DELUDE, IN CRISTO ABBIAMO LA VITA !
2 NOVEMBRE –COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI.
La preghiera e la comunione con i fratelli defunti.
Quando un padre, una madre, un familiare, un parente, un amico ci lascia definitivamente con la morte, al di là della sofferenza per la loro perdita, sappiamo che con il passar del tempo nulla cambia. Il vuoto lasciato rimane, perché nulla può restituirci le persone care, con loro affetti, gesti e sguardi d’amore, le loro tenerezza, la loro presenza vigile ecc. Spesso, davanti a morti premature o catastrofi naturali, rimangono i nostri interrogativi su questi eventi tristi e dolorosi. La domanda che sgorga dalle nostre labbra è: « Che senso ha un tale evento? ». La vita e la morte sono realtà davanti alle quali ogni giorno dobbiamo fare i conti.
Il mistero della morte illuminato dalla parola di Dio.
Davanti alla drammatica realtà della morte né le parole umane né le consolazioni che ci vengono offerte da parenti, amici o conoscenti sono sufficienti. Solo la Parola di Dio può darci una risposta che, pur non risolvendo il problema nella sua emotività, diede ai sapienti d’Israele il profondo convincimento che, oltre la morte, l’uomo deve attendere la salvezza che Dio dà. Il libro della Sapienza afferma con solennità: « Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio e nessun tormento le toccherà ». Questa certezza si fonda sulla fede in Jahvè, nella esperienza della fedeltà di Dio che non abbandona chi crede e spera in Lui.
E Isaia preannunzia le promesse di Dio, il quale « preparerà un banchetto per tutti i popoli ed eliminerà la morte per sempre… » e « farà nuove tutte le cose » (Ap ).
La soluzione che la fede cristiana da per questi eventi tragici o come anche per una vita ben riuscita secondo il modo di pensare umano, partendo da quanto afferma San Paolo che tutta quanta la creazione, compreso l'uomo nella sua corporeità e non nello spirito, è stata sottoposta da Dio nella caducità, cioè sottoposta alla variabilità delle situazioni che la natura può porre o a quelle di cui l'uomo può essere responsabile, è che Dio trasformerà questa creazione alla maniera del Cristo risorto, in una vita trasformata e senza le variabilità ( lunghezza, malattie, dolori, lacrime ecc.), di cui facciamo esperienza giorno per giorno.
Per noi Cristiani, quindi, la risurrezione di Cristo, che non muore più e preannunzia la nostra risurrezione e la vita eterna che vivremo in Dio, testimonia che la morte non è l’esito finale della nostra esistenza, ma solo un passaggio. Paolo davanti alla realtà della morte esclama:« Dov’è o morte il tuo pungiglione ? Dov’è o morte la tua vittoria ?». Con la sua morte e risurrezione Gesù ha aperto il passaggio da questo mondo all'altro per tutti gli uomini, dando a tutti noi la possibilità di avere accesso alla vita divina ed eterna in Dio.
Questa nostra fede non cancella né elimina gli aspetti misteriosi e dolorosi della morte, né la sofferenza del distacco dai cari che essa comporta, ma ci apre alla speranza e alla certezza che esiste una vita, un incontro per noi e per i nostri cari nella realtà dell’esistenza divina, con Dio e tra noi.
Dopo la morte si attua la vera nascita dell’uomo.
Secondo la Parola di Dio, per il cristiano, la morte è una nuova nascita: come l’uomo con la nascita viene espulso dal grembo per la vita terrena, così, attraverso la morte, egli viene espulso da questa vita terrena per una nuova vita, per una esistenza trasformata e misteriosa, che verrà vissuta in Dio. Questa nuova esistenza, che non è vissuta nel tempo e nello spazio, di cui non ne abbiamo esperienza, ci spaventa e incute timore. E’ il mondo di Dio con la sua pienezza di vita che darà piena soddisfazione all’uomo: nella risurrezione finale anche il nostro corpo, risorto, vi parteciperà senza più avvertire la sua dimensione corruttibile, ed esso non sarà più un limite nei rapporti con gli altri e con Dio.
La nostra vita non ci è tolta, ma trasformata. Il non morire sarebbe per l’uomo il non giungere mai alla sua piena realizzazione.
Nella morte cadono tutti i limiti della condizione terrena e si è liberi, in maniera definitiva, dalle nostre esperienze terrene, per ritrovare la nostra esistenza nella completa esperienza spirituale di Dio.
Per i credenti in Cristo, la nostra morte non è la fine, ma il fine con cui raggiungiamo la meta di una vita giunta nella sua pienezza. Il distacco dal mondo creato con la morte non è una disgrazia, ma una uscita dalla vita biologica e terrena, pur personale, per una esistenza che raggiunge la sua pienezza.
Con la celebrazione odierna celebriamo la nostra vita in Dio.
Dio realizza il suo progetto di vita e di beatitudine che ci promette rendendoci partecipi della sua divinità e della dimensione incantevole del suo amore: tutto ciò è dono gratuito di Dio, che ne dispone la modalità e i tempi. Tutto ciò che di bene, con la sua grazia e aiuto, noi siamo stati capaci di realizzare anche solo parzialmente, aprendoci al suo amore e all’amore verso gli altri, per la sua bontà, Dio lo porta a compimento, perché nulla è stato costruito invano, nessun gesto d’amore va perduto.
Tutto ciò che di bene nella vita terrena era provvisorio, davanti a lui che giudicherà la nostra esistenza, diventerà definitivo, e ciò avverrà quando egli dividerà le vite realizzate, per averlo riconosciuto e aiutato nei fratelli, da quelle fallite, perché non lo hanno né riconosciuto né amato negli altri.
La morte, che ci svela la provvisorietà dell’esistenza terrena in cui nulla è possibile vivere pienamente, ci apre una prospettiva in cui viene recuperato il bene compiuto per essere reintegrato nella dimensione infinita ed eterna di Dio. La preghiera per i nostri morti vuole impetrare da Dio che tutti coloro che sono stati a « Lui graditi », come dice San Paolo, per la sua bontà e purificati dalla sua misericordia, siano ammessi a contemplare il suo volto e a vivere nella piena comunione dei Santi, realtà a cui anche noi aspiriamo dopo questo esilio terreno.
Viviamo, quindi, questa commemorazione dei fratelli defunti non con la nostalgia di chi li pensa perduti per sempre, ma con la speranza di chi li crede viventi in Cristo, destinati alla risurrezione gloriosa con lui.
Oggi richiamiamo la morte nella luce della Pasqua di Cristo, della sua morte e della sua risurrezione, fondamento della nostra speranza. Oggi affidiamo i nostri fratelli defunti alla misericordia di Colui che è morto in croce per la remissione dei peccati e per la nostra riconciliazione al Padre. Ma questo ricordo dei morti deve essere anche ammonimento salutare per noi che ancora viviamo: la vita passa in fretta, e le opere buone vanno compiute adesso. Poi viene il giudizio di Dio e, secondo la nostra condotta, ci verrà dato il premio o il castigo.
Prima Lettura: Sap 3,1-9.
La morte dei giusti non è tragedia senza scampo, dissoluzione per sempre: Dio li sostiene, li fa entrare nella sua pace e nella vita immortale. Le loro sofferenze, irrise dagli increduli, cono una prova che li purifica e che, sopportata con speranza, sarà motivo di gloria. C’ è in questo della sapienza la speranza di quanti vivono e muoiono nel Signore.
Seconda Lettura : Ap 21,1-5.6.7.
Attraverso l’immagine del cielo e della terra nuovi, delle cose di prima che passano e delle altre che sono fatte, sentiamo che una condizione nuova ci attende, di cui non abbiamo esperienza, ma che sarà la piena salvezza. E’ la condizione di quanti risorgeranno con Cristo per la vita eterna.
Vangelo: Mt 5,1-12
Gesù promulga, come un nuovo Mosè, la Legge nuova, che si apre con le Beatitudini. Esse sono la situazione di gioia per quanti si dispongono nello spirito del Vangelo, e quindi fanno la scelta della povertà, della mitezza, della giustizia, della misericordia, della purezza, della pace e che, pur nella sofferenza, non cessano di sperare e di essere fedeli.
Le Beatitudini sono l’antitesi dello spirito del mondo, rovesciano le attese e le valutazioni terrene.