« CORAGGIO! ALZATI, TI CHIAMA »
24 OTTOBRE – XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.(Anno C)
« CORAGGIO! ALZATI, TI CHIAMA »
La fede che noi celebriamo nell’Eucaristia ci avvicina al banchetto eucaristico e in esso noi ci cibiamo del Corpo e del Sangue del Signore. Questa fede si fonda sulle parole dette da Gesù, nell’Ultima Cena, sul pane e sul vino, dandoli a noi come segno della sua presenza: « Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi » e « Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me ». Nell’Eucaristia vi è il sacrificio che Gesù ha offerto come « sacerdote giusto e compassionevole », « la tenerezza del Padre celeste, che ci invita al banchetto del Figlio, preparato per noi ». Per opera dello Spirito Santo, riceviamo la grazia che alimenta in noi la vita divina, rendendoci capaci di amare alla maniera di Cristo e di confidare nella misericordia del Padre. Tutto questo lo possiamo vivere nella fede, che se mancasse, renderebbe il nostro incontro eucaristico domenicale senza efficacia, frutto della nostra iniziativa gratificante solo psicologicamente, senza ricevere il dono che Dio ci fa donandoci il suo Figlio.
Nella preghiera iniziale della Colletta ci rivolgiamo al Padre celeste dicendo: « O Dio, Padre buono, che nel tuo Figlio unigenito ci hai dato il sacerdote compassionevole verso i poveri e gli afflitti, ascolta il grido della nostra preghiera e fa’ che tutti gli uomini vedano in lui il dono della tua misericordia ».
Prima Lettura : Ger 31,7-9.
Il profeta Geremia invita il popolo, riferendo le parole del Signore: « Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e di dite: “ Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto di Israele ”».
Ancora. Geremia ricorda che Dio riunirà « il suo popolo dalle estremità della terra, il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente e ritorneranno in gran folla ». Tutti questi, dopo essere partiti nel pianto, sarebbero stati riportati tra le consolazioni e condotti a fiumi ricchi d’acqua attraverso una strada dritta: è il ritorno degli esuli, il resto che Dio ha salvato dopo la schiavitù di Babilonia.
Così l’amore di Dio avrebbe rinnovato l’esodo dei riscattati, non per i loro meriti, ma perché Egli è un « Padre per Israele, Efraim il suo primogenito ». Tutto questo si è realizzato pienamente con Gesù, che è venuto a rivelarci la tenerezza dell’amore del Padre celeste, la sua paternità che genera dall’eternità il Figlio, Gesù Cristo. Per mezzo di lui, apparso tra noi, come uno di noi, come nostro Salvatore e Redentore, Dio ci rende partecipi di questa figliolanza adottiva per opera dello Spirito Santo. Così noi non siamo più estranei a Dio, ma divenuti per suo dono figli, godiamo della sua provvidenza paterna che ci segue con il suo amore e ci aspetta per accoglierci nella sua comunione eterna.
Seconda Lettura: Eb 5,1-6.
La lettura dalla Lettera agli Ebrei, ci ricorda che ogni sommo sacerdote scelto tra gli uomini, è costituito per loro, per le cose che riguardano la divinità, « per offrire doni e sacrifici per i peccati propri e del popolo ». Anche Gesù, come sommo Sacerdote, scelto tra gli uomini, essendosi rivestito di debolezza, è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore. A causa di questa non deve offrire sacrifici per i peccati suoi e del popolo, come facevano i sacerdoti della religione israelitica, ma solo per quelli del popolo, poiché Gesù non si è attribuito da se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferita il Padre che gli ha detto: « Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato » e in un altro passo della Scrittura : « Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchisedek » e non secondo quello levitico.
Gesù, per noi, è il sommo Sacerdote che offre al Padre se stesso in sacrificio sulla croce per espiare le colpe degli uomini, con una immolazione ormai valida per tutti e per sempre. Gesù, Figlio di Dio, in quanto uomo « è preso tra gli uomini, per cui sente « giusta compassione » per le debolezze nostre. Per questa sua compassione e l’infinito valore del suo sacrificio, noi nutriamo ferma confidenza nell’amore di Dio e nella sua grande misericordia, avendo dato il suo Figlio come vittima di riconciliazione.
Vangelo: Mc 10,46-52
Il figlio cieco di Timeo, Bartiméo, saputo che Gesù passava per le vie di Gerico, si mise a gridare verso di lui : « Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me! ». Ma, poiché lo rimproveravano perché non gridasse, egli gridava ancora più forte: « Figlio di Davide, abbi pietà di me! ». Gesù comanda di chiamarlo e quelli che sono vicini gli dicono: « Coraggio! Alzati, ti chiama! ». Bartiméo, allora, getta via il mantello, balza in piedi e si avvicina a Gesù, che gli dice: « Cosa vuoi che io faccia per te? ». E lui:« Rabbunì, che ci veda di nuovo!». Gesù gli dice: « Va’, la tua fede ti ha salvato ». Il cieco ci vide e segue Gesù lungo la strada. Gesù guarisce il cieco per la sua fede. E se anche gli viene impedito di implorare Gesù, questi comanda di chiamarlo e gli dona la luce degli occhi e gli illumina il cammino per seguirlo. Gesù è colui che ridà la vista spirituale a tutti quelli che lo implorano nella ricerca della verità e di Dio, illuminando il cammino della liberazione da ogni forma di cecità umana: attraverso la guarigione del corpo Gesù tocca e guarisce il cuore.
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IMITARE GESÚ CHE È VENUTO A SERVIRE LA CAUSA DELL'UOMO.
17 OTTOBRE - XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno B)
IMITARE GESÚ CHE È VENUTO A SERVIRE LA CAUSA DELL'UOMO.
Servire come il Signore « che ha dato la sua vita in riscatto per tutti » è la preghiera della Chiesa nella Colletta di questa Domenica. Sull’esempio di Gesù, che si offre al Padre sulla croce, noi dobbiamo imparare a vivere il nostro rapporto con Dio, nel compiere la sua volontà. Dall’Eucaristia che celebriamo possiamo attingere la forza per imitare Gesù e così poter vivere in conformità con il disegno di Dio, quotidianamente e fino in fondo, anche quando questo cammino si fa arduo, impegnativo ed esigente. Così l’Eucaristia viene realizzata pienamente nella vita. Se serviamo Dio veramente dobbiamo anche porci al servizio del prossimo per realizzare il bene di tutti, come ha fatto Gesù, che ha detto di essere venuto non per essere servito, ma per servire.
Nella preghiera della Colletta diciamo a Signore: « O Dio della pace e del perdono, che hai inviato il tuo Figlio nel mondo per dare la sua vita in riscatto per tutti, concedi alla tua Chiesa di servire l’umanità intera a immagine di Cristo, servo e Signore ».
Prima Lettura: Is 33,10-11.
Il profeta Isaia, in questo brano, esprime ciò che il Signore farà al Messia prostrandolo con dolori, quando egli « offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce della risurrezione e « si sazierà della sua conoscenza ». Egli, il servo giusto, giustificherà molti, perché ha preso su di sé le iniquità di tutti.
Gesù, Messia ( il Cristo ), che i cristiani riconoscono come colui in cui si sono realizzate le profezie dei profeti, facendosi uomo come noi, porta i peccati di tutti e, avendo imparato l’obbedienza dalle cose che patì, è divenuto causa di salvezza eterna per tutti quelli che gli obbediscono. La vita del Cristo, che sembra consumata e dissolta, è divenuta viva e giustificante, sorgente feconda. Davanti alla figura del Servo sofferente, siamo presi da stupore e sorpresa, poiché in lui si compie il progetto salvifico della volontà del Signore e la redenzione dal peccato. Davanti a questa realtà salvifica, dal nostro cuore sale a Dio il nostro inno di ringraziamento, perché Gesù nella sua passione e morte, nel « suo intimo tormento », da cui è venuta la risurrezione e la Chiesa, giustifica tutti coloro che si lasciano coinvolgere da questo evento.
Seconda Lettura: Eb 4,14-16.
Il brano di questa lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei, ci esorta a tenere viva la nostra professione di fede in Gesù, il Figlio di Dio, che, come sommo Sacerdote, intercede per noi al cospetto del Padre. Egli, essendo divenuto uno di noi in tutto, eccetto il peccato, « sa prendere parte alle nostre debo-lezze », poiché è stato provato come noi. Ancora. A nutrire piena fiducia che, accostandoci al trono della grazia, possiamo « ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno ». Gesù è simile a noi in tutto, anche nelle sofferenze e nelle debolezze, per cui possiamo sentirlo intimamente vicino e anche essere sostenuti nella professione della fede, anche quando la prova può essere dolorosa, come nel martirio.
Se Dio è al nostro fianco non dobbiamo deprimerci. La fraternità di Gesù è più forte dei nostri demeriti, per cui possiamo accostarci « al trono della grazia ». Per mezzo e l’intercessione di un tale sommo mediatore siamo sicuri di essere accolti dal Padre celeste. Se ci ha dato suo Figlio, « Come vittima di espiazione, come non ci donerà ogni cosa per suo mezzo? », ci ricorda San Paolo.
Vangelo: Mc 10,35-45.
Nel Vangelo di oggi, i fratelli Giacomo e Giovanni chiedono a Gesù di fare loro quello che gli chiedono, cioè di sedere, nella sua gloria, uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. Ma Gesù risponde loro: « Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato? ». Ed essi rispondono di poter fare ciò che Gesù dice loro. Allora Gesù, rispondendo, dice: « Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato ». Anche agli apostoli, che si sono indignati con i due fratelli, avendo sentito la richiesta fattagli, Gesù ribadisce che, se i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono, nel suo regno, essi non devono operare allo stesso modo. Continua loro:« Chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti ».
La volontà di primeggiare e avere i primi posti sono tentazioni che ogni uomo sperimenta, compreso il cristiano. La richiesta fatta da Giacomo e Giovanni è in contrasto con la mentalità di Gesù, per il quale la grandezza del potere sta nel servizio da rendere agli altri, o il primato sta nel porsi all’ultimo posto. E come Gesù è venuto per servire e consegnare la sua vita per noi, così anche i suoi discepoli devono servire i fratelli e gli uomini più che cercare di primeggiare sugli altri. Criteri sconvolgenti le logiche umane sono quelli di Gesù. Solo se si è capaci di bere il calice della passione, che Gesù ha bevuto, ed essere battezzati nel suo battesimo, realtà che si fa fatica a comprendere e accettare facilmente, si può partecipare alla sua stessa gloria.
Celebrando l’Eucaristia, che è il memoriale della passione e risurrezione di Gesù, che pur essendo il Maestro e Signore si è posto al servizio dell’uomo e ha dato la sua vita per la nostra liberazione , e comprendendola a pieno, noi, imitandolo come suoi discepoli in terra, potremo partecipare anche della sua gloria. L’Eucaristia è pienamente valida se ci aiuta a dare la vita per Dio e per i fratelli.
SEGUIAMO GESÙ CRISTO, SAPIENZA DI DIO.
10 OTTOBRE - XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
FESTA DELLA MADONNA DELLA CATENA
Nell’Eucaristia che celebriamo noi, comunicando con il Corpo e Sangue di Gesù, ci alimentiamo alla stessa vita del Figlio di Dio. Più che di un rito esteriore o dell’assunzione dei simboli di Cristo, noi ci nutriamo del Corpo e del Sangue del Signore, della sua stessa Persona, realmente presente nel pane e nel vino, per opera dello Spirito Santo che viene invocato.
Dobbiamo allora prepararci degnamente a questo « banchetto della vita eterna ». Bisogna indossare l’abito nuziale, cioè essere nella grazia e nella carità di Dio e dei fratelli. E per questo, al Signore che scruta i pensieri e i sentimenti del cuore dell’uomo, prima di partecipare a questo banchetto, chiediamo perdono per le nostre colpe, per liberarci delle nostre ricchezze illusorie e poterci arricchire della sua presenza divina.
Nella preghiera della Colletta diciamo al Signore: « O Dio, nostro Padre, che conosci i sentimenti e i pensieri del cuore, donaci di amare sopra ogni cosa Gesù Cristo, tuo Figlio, perché, valutando con sapienza i beni di questo mondo, diventiamo liberi e poveri per il tuo regno ».
Prima Lettura: Sap 7,7-11.
La lettura dal Libro della Sapienza ci esorta a chiedere al Signore la prudenza e lo spirito della sapienza. Prudenza e sapienza che bisogna preferire davanti a onori, potere, ricchezze, perché più preziose delle gemme inestimabili. E bisogna amarle più « della salute e della bellezza », preferendole alla stessa luce, perché il loro splendore non tramonta. Anzi dalla sapienza provengono tutti i beni. Questa sapienza che viene da Dio è preferibile a quella ingannevole del mondo, che dice San Paolo, è stoltezza agli occhi di Dio. La Parola di Dio è fonte della vera sapienza e le cose e i beni del mondo perdono il loro valore al suo confronto. Con ciò non si devono demonizzare i beni terreni, materiali, che devono essere usati come mezzi e non come fini della propria vita, devono servire a beneficio di tutti e non solo a beneficio del proprio interesse egoistico. Possedere questa sapienza, che ci fa conoscere la volontà di Dio e lasciarsi guidare da essa, significa essere veramente saggi.
Seconda Lettura: Eb 4,12-13.
La Parola di Dio, ci dice la Lettera agli Ebrei, è più tagliente di una spada a doppio taglio, penetrante fino al punto di divisione dell’anima e dello Spirito, fin nelle parti più intime del nostro essere, perché essa conosce e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore degli uomini. Davanti a Dio nulla è possibile nascondere, perché ai suoi occhi tutto è manifesto, dovendo ognuno rendere conto a lui di tutta la nostra vita, delle opere compiute, sia in bene che in male, scrive san Paolo. La Parola di Dio è una voce che non possiamo eludere né restare indifferenti davanti ad essa. E’ un giudizio che ci penetra fin nelle profondità e scruta i nostri più intimi sentimenti. Sulla parola di Dio, non solo ogni uomo deve modellare la propria esistenza, essendo stati creati a sua immagine e somiglianza, ma soprattutto il cristiano, che è fatto oggetto della rivelazione di Dio, deve modellare la propria esistenza. Su Gesù Cristo, che è la Parola eterna del Padre, fatta carne, modello della nostra figliolanza divina, il cristiano deve verificare la propria vita, per conformarsi sempre di più alla sua.
Vangelo: Mc 10,17-30.
In questo brano del Vangelo di Marco, Gesù, ad un tale che gli si getta ai piedi e, rivolgendosi a lui, lo interroga: « Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna », risponde, dopo aver ribadito che solo Dio è buono, di osservare i comandamenti, che certo conosce: « Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre ». Al che, quell’uomo risponde dicendo che, fin dalla sua giovinezza li ha osservati. Gesù allora, « lo fissò, lo amò e gli disse: “ Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi !” ». Ma quell’uomo, facendosi scuro in volto e rattristandosi, poiché possiede molti beni, se va!. Gesù, allora, volgendo intorno lo sguardo, dice ai discepoli : «Quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio ! ».
Davanti allo sconcerto per queste parole, Gesù continua dicendo: « Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio ! E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio ». Essi, stupiti, allora dicono tra loro: « E chi può essere salvato ? ». Ma Gesù ribatte: « Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio ».
A Pietro, che rivolgendosi a Gesù gli dice di aver lasciato tutto per seguirlo, egli risponde: « In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato case o fratelli o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case, fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà ».
Gesù, a quell’uomo che gli dice di aver osservato i comandamenti della legge antica e di desiderare di entrare nella vita eterna, chiede di accogliere, con generosità e distacco, Lui e il suo Vangelo, preferendolo ai beni e ai tesori terreni, a cui spesso sì è troppo legati e dai quali non è tanto facile liberarsi. Ci vuole coraggio a distaccarsene o, di più, a vendere tutto per mettersi alla sequela del Signore. A quel tale, come ad ognuno di noi, è brillato il volto nel desiderio di voler raggiungere la felicità della vita eterna, ma davanti alla richiesta di Gesù il suo volto si fa triste. Così Gesù ci mette in guardia dicendoci che le ricchezze di questo mondo sono un pericolo per l’anima. E’ possibile, allora, all’uomo entrare nella vita? Se è impossibile per l’uomo per la condizione in cui si trova, continuamente insidiato dal desiderio di possedere, non è impossibile a Dio, se ci affidiamo alla sua forza divina, come dice Gesù. Dio ci aiuta a seguire Gesù e il suo Vangelo, purché accogliamo sinceramente l’invito a rinnovarci con il suo perdono e la sua grazia e se desideriamo ardentemente, in futuro, entrare nella vita del Regno dei cieli. Seguire il Signore, anche se in mezzo alle persecuzioni, è fonte di ricchezza spirituale e gusto di una vita di gioia, arricchita già ora, cento volte tanto, di quelle realtà da cui ci si è distaccati.
UOMO E DONNA NEL PROGETTO DIVINO.
3 OTTOBRE – XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nel giorno del Signore, la comunità cristiana, è riunita dal Padre attorno a Gesù Cristo e, come figli, siamo uniti dallo Spirito del Padre e del Figlio. Preghiamo non un Dio lontano, anonimo, ma ci rivolgiamo a Lui con la confidenza e la fiducia di figli. L’amore del Padre ci avvolge con la sua misericordia e ci dona le grazie che vanno al di la dei nostri desideri e dei nostri meriti.
Nella preghiera della Colletta ci rivolgiamo a Dio con queste parole: « O Dio, che hai creato l’uomo e la donna perché i due siano una carne sola, dona loro un cuore sempre fedele, perché nella santità dell’amore nulla separi quello che tu stesso hai unito ».
Prima Lettura: Gn 2,18-24.
Dio, dopo aver creato l’uomo e vedendo che non era bene che l’uomo fosse solo, volle creare un aiuto che gli fosse simile, poiché nessuno degli esseri creati, animali selvatici, pesci, gli era simile. A questi esseri l’uomo impose nomi, ma egli in essi non trovò un aiuto che gli corrispondesse. « Così il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “ Questa volta è osso delle mie ossa, carne della mia carne. La si chiamerà donna , perché dall’uomo è stata tolta”. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno un’unica carne ». Dio, nel suo disegno creativo, volle che l’uomo e la donna fossero a costituire, in una sola carne, la realtà familiare, realizzando una vita sponsale fondata su un vincolo profondo, con pari dignità e riconoscimento reciproco in un’unica carne. Sta allora in questa volontà divina la bellezza e la grandezza del matrimonio: unione intima che Gesù riproporrà nel suo insegnamento, ribadendo che al principio non era come gli scribi e i farisei gli obiettavano per metterlo alla prova, citando Mosè, che aveva permesso al marito di poter ripudiare la propria moglie.
Seconda Lettura: Eb 2,9-11.
L’autore della Lettera agli Ebrei ci presenta Gesù che, fatto poco meno degli angeli, per la morte che ha sofferto, a vantaggio di tutti, è coronato di gloria. Così Dio, « per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose », ha reso perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza: infatti Colui che santifica e quelli che sono santificati provengono tutti da una stessa origine, rendendoli così fratelli. Per la croce e la sofferenza, sofferta a vantaggio di tutti, Gesù è giunto alla gloria, ponendo una profonda solidarietà e condivisione tra lui e noi. Con noi e per noi Gesù è divenuto solidale e, poiché abbiamo una stessa origine, non si vergogna di chiamarci fratelli, non gli siamo più estranei e veniamo fatti eredi e partecipi della sua stessa eredità. Egli intercede per noi presso il Padre, per cui possiamo accostarci con « Piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno »( Eb 4,16). Questo rapporto con Cristo è un’amicizia che va sempre rinnovata.
Vangelo: Mc 10,2-16.
Gesù, ribadendo che Dio, all’inizio, ha creato l’uomo, maschio e femmina li ha creati, e « Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto », ai discepoli che, a casa, di nuovo lo interrogano, dice: « Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio ». Così Gesù, oltre che richiamare il valore del Matrimonio come Dio lo ha predisposto, con la prerogativa della sua indissolubilità, in esso inscritta, rispetto al permesso di Mosè, che solo l’uomo può ripudiare la propria moglie, come gli obiettano i farisei, specifica che anche la moglie, qualora ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio contro di lui. Il divorzio, allora, come tolleranza, indica una china di decadenza del matrimonio, e per il discepolo di Gesù è una via che non dovrebbe percorrersi. Se ci si mette in ascolto della parola di Cristo, il divorzio appare, di conseguenza, in contrasto con il disegno posto da Dio per il matrimonio. E il discepolo di Cristo, che accoglie con la disponibilità di un bambino, con fiducia e senza riserve, il Regno di Dio, dovrà, certo, porre con atto libero e responsabile, con tutte le conseguenze che derivano, umanamente, socialmente, civilmente e religiosamente, la scelta d’amore matrimoniale e perseverare in un cammino di fedeltà, impegno, sacrificio, mutua donazione e di indissolubilità, così da imitare l’amore sponsale di Cristo per la Chiesa, che è precipua caratteristica della scelta di realizzare e vivere il Sacramento del Matrimonio.
IMITIAMO LA GENEROSITÀ DI DIO CHE DONA TUTTO.
26 SETTEMBRE – XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
IMITIAMO LA GENEROSITÀ DI DIO CHE DONA TUTTO.
La domenica siamo invitati da Dio, riuniti nel nome della Santa Trinità, a prendere parte al memoriale della passione del suo Figlio. Nella sua misericordia Dio manifesta la sua onnipotenza donandoci il suo perdono. Pur essendo noi peccatori, il Padre celeste ci accoglie e ci fa partecipi, come commensali, del banchetto eucaristico, in cui dona il suo Figlio, come cibo e bevanda di vita. Attorno a Cristo, assisi alla stessa mensa, non possiamo più ammettere ingiustizie, separazioni, discriminazioni, disprezzo per un qualunque fratello. Non possiamo sentirci tranquilli restando nel nostro egoismo e non condividendo la provvidenza di Dio con chi è nel bisogno. L’Eucaristia ci fa aprire verso i beni dell’eredità eterna che godremo con Cristo nel cielo, ma che già pregustiamo in questo convito domenicale. Da questa sorgente deriva per la Chiesa ogni benedizione.
Nella preghiera iniziale della Colletta diciamo: « O Dio, che in ogni tempo hai parlato al tuo popolo per bocca dei profeti, effondi il tuo Spirito, , perché ogni uomo sia ricco del tuo dono, e a tutti i popoli della terra siano annunziate le meraviglie del tuo amore ».
Prima Lettura: Nm 11,25-29.
Il Signore dona il suo spirito ai settanta anziani di Israele che profetizzano nel suo nome. Anche su Eldad e Medad che sono tra gli iscritti, ma non sono andati alla tenda, viene effuso lo spirito, che li fa profetizzare nell’ accampamento. A Mosè, che è informato da un giovane del fatto, Giosuè chiede di impedire ai due di continuare a profetizzare. Ma Mosè gli dice: « Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito ». Dio dispensa i suoi doni ad ognuno e non bisogna essere gelosi del doni degli altri, perché non siamo noi a stabilire e fissare il tempo, lo spazio e quali doni di grazia Dio debba dare ad ognuno.
Al contrario, quando vediamo un dono di Dio nel nostro fratello dobbiamo rallegrarcene e non essere invidiosi, perché in questo caso ricercheremmo noi stessi e non la gloria di Dio, il servizio al prossimo e il bene della Chiesa. Come Mosè, anche noi dobbiamo augurarci che Dio effonda il suo spirito di profezia su ogni uomo e pregare perché nessuno lo rifiuti o lo trascuri e invece si lasci trasportare dalla sua azione.
Seconda Lettura: Gc 5,1-6.
Anche nel nostro tempo, come allora, le parole forti e sferzanti della seconda lettura di oggi, tratta dalla Lettera di San Giacomo, interpellano, noi credenti e ogni uomo, a ripensare il rapporto che bisogna avere con le ricchezze che, se usate con egoismo e superbia, accumulate con latrocinio e ingiustizie, con sfruttamento e oppressione, rendono marcio il cuore.
L’oro, l’argento, gli abiti di lusso, i tesori accumulati per gli ultimi giorni, ecc. sono consumati dalle tarme e dalla ruggine, che si alzeranno ad accusare coloro che li avranno usati con atteggiamento egoistico e divoreranno le loro carni. E ancora: « Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente. Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage ». Come non ripensare in queste invettive la Parabola del ricco epulone?
Il linguaggio dell’apostolo non è raffinato, ammorbidito, soft, è rude e duro. Forte dell’insegnamento di Gesù, Giacomo ci ricorda che le ricchezze egoisticamente possedute si dissolveranno, non potremo portarle con noi dopo la nostra morte e saranno motivo di condanna nel giorno del giudizio.
Con ciò non si devono demonizzare i beni di questo mondo, che servono perché ogni uomo possa condurre una vita dignitosa e di cui nessuno deve essere privato, purché procurati con onestà, con lavoro e impegno diligente, usati con rispetto dei diritti degli altri, con generosa liberalità ed escludendo ogni forma di spreco. Le ricchezze possono insidiare il nostro cuore e, con attenzione, dobbiamo evitare che esse lo rendano schiavo, arido di sentimenti di fraternità e condivisione.
Vangelo: Mc 9,38-43.45.47-48.
Gesù agli apostoli, che volevano impedire ad uno di scacciare i demoni perché non li seguiva e non era uno di loro, dice: « Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa ». Prosegue dicendo che non bisogna scandalizzare nessuno, fosse anche il più piccolo di coloro che credono in lui. E’ meglio amputarsi di una mano, di un piede, privarsi di un occhio, se questi organi sono motivo di scandalo per i fratelli, che andare nella Geenna e nel suo fuoco inestinguibile con il nostro corpo integro e privarsi di entrare nel regno di Dio.
Gesù esorta a non lasciarsi prendere dell’invidia, dall’ impulsività, dalla gelosia, ma avere uno spirito di longanimità, di accoglienza di coloro che hanno bisogno e vengono nel suo nome. Ammonisce severamente a non scandalizzare nessuno e a trattare con onore e rispetto i piccoli, gli umili, aiutandoli a crescere nella fede con il buon esempio, avendo per se stessi la capacità di sorvegliare sui propri gesti e sentimenti e vivere le scelte decisive della vita con la fedeltà al Vangelo.