L'OBBEDIENZA DELLA FEDE.
19 DICEMBRE – IV DOMENICA DI AVVENTO. ( ANNO C)
L’OBBEDIENZA DELLA FEDE
Per ricevere la grazia e entrare nel mistero del Natale sono necessarie queste tre condizioni: ascoltare la Parola di Dio, obbedire nella fede al Signore e aderire alla sua santa volontà, come ha fatto la Beata Vergine Maria, nel cui grembo il Figlio di Dio, Verbo eterno del Padre, ha rivestito la nostra carne per la virtù e la potenza dello Spirito Santo. Come Maria, la Chiesa, per azione dello Spirito, deve portare Cristo al mondo. Anche in noi, per la fede, Cristo nasce nei nostri cuori, con le nostre opere e la nostra testimonianza. Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, che per attuare il tuo disegno di amore hai scelto l'umile figlia di Sion, dona alla Chiesa di aderire pienamente al tuo volere, perché, imitando l'obbedienza del tuo Figlio, si offra a te in perenne cantico di lode ».
Prima Lettura: Mic 5,1-4.
Nella profezia di Micea viene preannunziato che da Betlemme di Éfrata, piccolo villaggio di Israele, sarebbe venuto colui che sarebbe stato il dominatore in Israele e le cui origini sono dall’antichità. Israele sarebbe stato in potere altrui fino a quando una vergine lo avrebbe partorito e il resto dei suoi fratelli sarebbe ritornato a riunirsi con Israele. Il Messia annunziato avrebbe pascolato con la forza e la potenza del Signore e la maestà del suo Dio; sarebbe stato grande fino agli estremi confini della terra, anzi è lui la pace in persona. Davanti a Dio, più che la visibilità terrena, vale ciò che il Signore compie per mezzo di persone o luoghi umili, come Betlemme, da cui sarebbe uscita la regalità di Davide, che nel Messia-pastore avrebbe avuto la massima realizzazione: questi avrebbe portato la liberazione, dato sicurezza e portato la pace in tutto il mondo. Alla sua nascita a Betlemme, gli angeli cantano: « Pace in terra agli uomini che il Signore ama ».
Seconda Lettura: Eb 10,5-10.
Il brano della Lettera agli Ebrei pone sulla bocca di Cristo la sua risposta di Figlio al Padre: « Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà ». Con questa piena adesione alla volontà del Padre, Gesù abolisce i sacrifici antichi e costituisce il nuovo sacrificio con l’offerta di se stesso. Mediante questa volontà salvifica gli uomini sono stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per tutte. I sacrifici antichi, costituiti dall’offerta di capri, agnelli e buoi, vengono sostituiti con l’offerta sacrificale del Figlio, che con un gesto unico dedica se stesso e la sua disponibilità a fare la volontà del Padre. Con il sacrificio della croce Gesù offre se stesso, in obbedienza al Padre e in amore per gli uomini, come vittima di espiazione dei nostri peccati. Tale gesto, compiuto da Cristo una sola volta, non ha bisogno di essere ripetuto: esso ha un valore eterno perché compiuto da Cristo, uomo-Dio. E l’Eucaristia rende presente, in ogni tempo e luogo, per la virtù e l’azione dello Spirito di Dio, questo evento salvifico.
Vangelo: Lc 1,39-45.
Dopo aver ricevuto l’annunzio dall’angelo per la sua divina maternità e aver saputo che la cugina Elisabetta, pur essendo in età avanzata, era al sesto mese della sua gravidanza, Maria si mette, prontamente, in viaggio per raggiungere, nella regione montuosa della Giudea, la cugina. Giunta da Elisabetta, non appena la saluta, il bambino della cugina esulta di gioia nel suo grembo. Elisabetta, allora, ripiena di Spirito Santo, esclama: « Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto ».
Elisabetta elogia Maria per la sua fede e per la sua adesione alla volontà di Dio. Riconosce in Maria la benedizione di cui Dio l’ha colmata essendo divenuta la madre del suo Figlio. La proclama beata perché Ella ha creduto alla parola di Dio e si è affidata totalmente alla sua volontà. Portando Maria Gesù nel suo grembo, con la sola vicinanza alla cugina, le fa sussultare di gioia il bambino che porta nel suo grembo, reso fecondo per il dono del Signore. Maria, nella sua umiltà, non riconosce alcun merito in sé, come canta nel Magnificat. Ciò che è avvenuto in lei è opera della benevolenza di Dio, che opera i suoi prodigi nei poveri e negli umili, in quelli che il mondo spesso emargina. Dio ha operato in Maria non per la sua grandezza ma per la sua umiltà.
L'OBBEDIENZA DELLA FEDE.
19 DICEMBRE – IV DOMENICA DI AVVENTO. ( ANNO C)
L’OBBEDIENZA DELLA FEDE
Per ricevere la grazia e entrare nel mistero del Natale sono necessarie queste tre condizioni: ascoltare la Parola di Dio, obbedire nella fede al Signore e aderire alla sua santa volontà, come ha fatto la Beata Vergine Maria, nel cui grembo il Figlio di Dio, Verbo eterno del Padre, ha rivestito la nostra carne per la virtù e la potenza dello Spirito Santo. Come Maria, la Chiesa, per azione dello Spirito, deve portare Cristo al mondo. Anche in noi, per la fede, Cristo nasce nei nostri cuori, con le nostre opere e la nostra testimonianza. Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, che per attuare il tuo disegno di amore hai scelto l'umile figlia di Sion, dona alla Chiesa di aderire pienamente al tuo volere, perché, imitando l'obbedienza del tuo Figlio, si offra a te in perenne cantico di lode ».
Prima Lettura: Mic 5,1-4.
Nella profezia di Micea viene preannunziato che da Betlemme di Éfrata, piccolo villaggio di Israele, sarebbe venuto colui che sarebbe stato il dominatore in Israele e le cui origini sono dall’antichità. Israele sarebbe stato in potere altrui fino a quando una vergine lo avrebbe partorito e il resto dei suoi fratelli sarebbe ritornato a riunirsi con Israele. Il Messia annunziato avrebbe pascolato con la forza e la potenza del Signore e la maestà del suo Dio; sarebbe stato grande fino agli estremi confini della terra, anzi è lui la pace in persona. Davanti a Dio, più che la visibilità terrena, vale ciò che il Signore compie per mezzo di persone o luoghi umili, come Betlemme, da cui sarebbe uscita la regalità di Davide, che nel Messia-pastore avrebbe avuto la massima realizzazione: questi avrebbe portato la liberazione, dato sicurezza e portato la pace in tutto il mondo. Alla sua nascita a Betlemme, gli angeli cantano: « Pace in terra agli uomini che il Signore ama ».
Seconda Lettura: Eb 10,5-10.
Il brano della Lettera agli Ebrei pone sulla bocca di Cristo la sua risposta di Figlio al Padre: « Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà ». Con questa piena adesione alla volontà del Padre, Gesù abolisce i sacrifici antichi e costituisce il nuovo sacrificio con l’offerta di se stesso. Mediante questa volontà salvifica gli uomini sono stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per tutte. I sacrifici antichi, costituiti dall’offerta di capri, agnelli e buoi, vengono sostituiti con l’offerta sacrificale del Figlio, che con un gesto unico dedica se stesso e la sua disponibilità a fare la volontà del Padre. Con il sacrificio della croce Gesù offre se stesso, in obbedienza al Padre e in amore per gli uomini, come vittima di espiazione dei nostri peccati. Tale gesto, compiuto da Cristo una sola volta, non ha bisogno di essere ripetuto: esso ha un valore eterno perché compiuto da Cristo, uomo-Dio. E l’Eucaristia rende presente, in ogni tempo e luogo, per la virtù e l’azione dello Spirito di Dio, questo evento salvifico.
Vangelo: Lc 1,39-45.
Dopo aver ricevuto l’annunzio dall’angelo per la sua divina maternità e aver saputo che la cugina Elisabetta, pur essendo in età avanzata, era al sesto mese della sua gravidanza, Maria si mette, prontamente, in viaggio per raggiungere, nella regione montuosa della Giudea, la cugina. Giunta da Elisabetta, non appena la saluta, il bambino della cugina esulta di gioia nel suo grembo. Elisabetta, allora, ripiena di Spirito Santo, esclama: « Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto ».
Elisabetta elogia Maria per la sua fede e per la sua adesione alla volontà di Dio. Riconosce in Maria la benedizione di cui Dio l’ha colmata essendo divenuta la madre del suo Figlio. La proclama beata perché Ella ha creduto alla parola di Dio e si è affidata totalmente alla sua volontà. Portando Maria Gesù nel suo grembo, con la sola vicinanza alla cugina, le fa sussultare di gioia il bambino che porta nel suo grembo, reso fecondo per il dono del Signore. Maria, nella sua umiltà, non riconosce alcun merito in sé, come canta nel Magnificat. Ciò che è avvenuto in lei è opera della benevolenza di Dio, che opera i suoi prodigi nei poveri e negli umili, in quelli che il mondo spesso emargina. Dio ha operato in Maria non per la sua grandezza ma per la sua umiltà.
RALLEGRIAMOCI NEL SIGNORE.
12 DICEMBRE - III DOMENICA DI AVVENTO - « GAUDETE »(ANNO C)
RALLEGRIAMOCI NEL SIGNORE.
A Natale il mistero della salvezza viene ricordato e vissuto realmente, perché nella fede il Cristo, mediante il suo Spirito, nasce nei nostri cuori e lo concepiamo spiritualmente.
La grazia della sua venuta si rinnova per noi: a seconda della disponibilità interiore a volerci far coinvolgere da Gesù, il salvatore, venuto a liberarci dal peccato. Ogni Natale deve essere segno della seconda venuta del Signore nella gloria, quando dobbiamo accoglierlo vigilanti e con cuore puro e generoso.
Nella Colletta preghiamo dicendo: « O Dio, fonte della vita e della gioia, rinnovaci con la potenza del tuo Spirito, perché affrettandoci sulla via dei tuoi comandamenti, portiamo a tutti gli uomini il lieto annunzio del Salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio. ».
Prima Lettura: Sof 3,14-17.
Il profeta esorta la figlia di Sion a rallegrarsi ed esultare perché il Signore ha revocato la sua condanna e ha disperso i suoi nemici. Il Signore è il re d’Israele e Gerusalemme non deve temere nessuna sventura, per cui non deve scoraggiarsi e abbattere, perché il Signore è in mezzo ad essa come salvatore potente. Egli gioirà per essa e gli rinnoverà il suo amore, esultando per lei con grida di gioia.
Se la Parola del profeta, allora, si rivolgeva a Gerusalemme, ora essa è rivolta alla Chiesa e ad ogni singolo fedele. La tristezza può essere presente nella nostra esistenza quotidiana, per tante situazioni di difficoltà: per la salute, per la precarietà, per le intime sconfitte, gli insuccessi e le umiliazioni. Ma se pensiamo che il Signore che viene ci dona la sua gioia, portandoci il perdono Padre e la riconciliazione con lui, allora anche per noi è annunziata la gioia, come disse l' angelo ai pastori: « Vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto io popolo: oggi, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore ». E il profeta ci ha detto: « Il Signore tuo Dio, in mezzo a te, è un Salvatore potente .
Seconda Lettura: Fil 4,4-7.
Anche San Paolo, scrive ai Filippesi esortandoli ad essere sempre lieti nel Signore, e a mostrare a tutti la loro amabilità, perché il Signore è vicino.
Ancora. Li esorta a non angustiarsi per nulla e in ogni occasione facciano presente a Dio le loro richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. Allora la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, li custodirà nei loro cuori e nelle loro menti in Cristo Gesù, perché gli angeli alla nascita del Salvatore cantarono : « Gloria a Dio e pace agli uomini, che egli ama ».
Vangelo: Lc 3,10-18.
Giovanni il Battista, precursore di Gesù, predica nel deserto del Giordano la conversione del cuore per la prossima venuta del Messia. Le folle che accorrono a sentirlo gli chiedono cosa devono fare. Egli risponde: « Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto ». Ai pubblicani dice: « Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato » e ai soldati che lo inter- rogano: « Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe ». Tra il popolo che è in attesa tutti si domandano in cuor loro se Giovanni non sia il Messia. Egli risponde: « Io battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile ».
Giovanni nella sua predicazione si prefigge di preparare tutti alla imminente venuta del Messia, e invita a dividere con gli altri, specie con i poveri, ciò che ognuno può avere a disposizione, ad osservare la giustizia, a rispettare il prossimo e non maltrattarlo. Per lui era urgente mettere in pratica quegli avvertimenti perché sarebbe venuto Gesù e con lui lo Spirito che purifica i cuori e brucia come il fuoco tutto quello che non è buon grano, ossia tutte le opere di male. Per questo il Natale che celebriamo è insieme un avvenimento che ci deve far sperimentare la misericordia di Dio, farci vivere rinnovati dalla grazia, praticare le opere di giustizia e di fraternità che ci rendono graditi al Signore e farci essere vigilanti nell’attesa di incontrarlo quando verrà a chiamarci per il suo giudizio.
Dai «Discorsi» del beato Isacco della Stella, abate
(Disc. 51; PL 194, 1862-1863. 1865)
Maria e la Chiesa
Il Figlio di Dio è il primogenito tra molti fratelli; essendo unico per natura, mediante la grazia si è associato molti, perché siano uno solo con lui. Infatti «a quanti l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1, 12). Divenuto perciò figlio dell’uomo, ha fatto diventare figli di Dio molti. Se ne è dunque associati molti, lui che è unico nel suo amore e nel suo potere; ed essi, pur essendo molti per generazione carnale, sono con lui uno solo per generazione divina.
Il Cristo è unico, perché Capo e Corpo formano un tutt’uno. Il Cristo è unico, perché è figlio di un unico Dio in cielo e di un’unica madre in terra.
Si hanno insieme molti figli e un solo figlio. Come infatti Capo e membra sono insieme un solo figlio e molti figli, così Maria e la Chiesa sono una sola e molte madri, una sola e molte vergini. Ambedue madri, ambedue vergini, ambedue concepiscono per opera dello Spirito Santo senza concupiscenza, ambedue danno al Padre figli senza peccato. Maria senza alcun peccato ha generato al corpo il Capo, la Chiesa nella remissione di tutti i peccati ha partorito al Capo il corpo.
Tutte e due sono madri di Cristo, ma nessuna delle due genera il tutto senza l’altra.
Perciò giustamente nelle Scritture divinamente ispirate quel ch’è detto in generale della vergine madre Chiesa, s’intende singolarmente della vergine madre Maria; e quel che si dice in modo speciale della vergine madre Maria, va riferito in generale alla vergine madre Chiesa; e quanto si dice d’una delle due può essere inteso indifferentemente dell’una e dell’altra.
Anche la singola anima fedele può essere considerata come Sposa del Verbo di Dio, madre, figlia e sorella di Cristo, vergine e feconda. Viene detto dunque in generale per la Chiesa, in modo speciale per Maria, in particolare anche per l’anima fedele, dalla stessa Sapienza di Dio che è il Verbo del Padre: Fra tutti questi cercai un luogo di riposo e nell’eredità del Signore mi stabilii (cfr. Sir 24, 12). Eredità del Signore in modo universale è la Chiesa, in modo speciale Maria, in modo particolare ogni anima fedele. Nel tabernacolo del grembo di Maria Cristo dimorò nove mesi, nel tabernacolo della fede della Chiesa sino alla fine del mondo, nella conoscenza e nell’amore dell’anima fedele per l’eternità.
LA PAROLA DI DIO VENNE SU GIOVANNI
6 DICEMBRE – IIa DOMENICA DI AVVENTO.(Anno C)
Dopo il peccato originale, da cui ne è derivato l’allontanamento da Dio dell'umanità, questa non è stata abbandonata a se stessa, nella sua miseria. Dio, nel suo grande amore e nella sua infinita misericordia, ha voluto ristabilire la comunione degli uomini con Sé attraverso il suo Figlio di cui, nel Natale, ricordiamo la sua nascita, storicamente avvenuta duemila anni fa, ma che spiritualmente noi, nella fede, riviviamo attraverso varie modalità, tra cui, soprattutto, l’Eucaristia, fonte e culmine della vita della Chiesa. In questo tempo di Avvento, attraverso la purificazione del cuore, prepariamo al Cristo, che attendiamo, lui « Sapienza che viene dall’alto », il nostro cuore.
Nell’ascolto delle profezie, delle esortazioni del Precursore Giovanni, ci disponiamo a crescere nei sentimenti e nella disposizione interiore del cuore, per far trovare al Signore una degna dimora. Se lasciamo spazio solo alle dissipazioni e alle preoccupazioni esteriori, ingombrando la nostra vita « di beni terreni, solo di divertimenti e svaghi, più o meno leciti, di lauti pranzi, di hobby più o meno inutili ( che non dobbiamo, certo, demonizzare del tutto!)», senza l’apertura del cuore alla pace con Dio, senza l’espressione della solidarietà con i fratelli più bisognosi, tradiremmo, ancora una volta, lo spirito della nascita del Signore tra noi. Il Signore che nasce è l’Emanuele, il Dio con noi, l’immenso bene che viene dall’alto, il Figlio che viene tra noi e ci è donato dal Padre celeste per riportarci alla comunione d’amore con Sé.
Nella preghiera della Colletta preghiamo dicendo: « O Dio grande nell’amore, che conduci gli umili alla luce gloriosa del tuo regno, donaci di raddrizzare i sentieri e di appianare la via per accogliere con fede la venuta del nostro Salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio ».
Prima Lettura: Bar 5,1-9.
Il profeta Baruc esorta Gerusalemme a deporre le vesti del lutto e dell’afflizione, del dolore e della schiavitù perché è arrivato il tempo della liberazione e a rivestirsi dello splendore della gloria che le viene da Dio.. Ancora. Ad avvolgersi nel manto della giustizia di Dio e a cingersi il capo con il diadema di gloria dell’Eterno, che mostrerà al ogni creatura lo splendore di Gerusalemme, che sarà chiamata « Pace di giustizia » e « Gloria di pietà ».
Esorta Gerusalemme a guardare verso oriente per vedere i suoi figli riuniti ed esultanti, dopo essersi allontanati da lei a piedi, incalzati dai nemici, poiché Dio li riconduce in trionfo come sopra un trono regale e toglie ogni ostacolo al cammino di Israele, spianando montagne e rupi, colmando valli, perché proceda sicuro sotto la gloria di Dio, il quale « ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui ».
Tutte queste realtà annunziate si avvereranno pienamente con « L’apparizione della bontà divina in Gesù Cristo », l’Emanuele, il Dio con noi, che il Natale deve ancora ricordarci, per operare con la mentalità e le esigenze del Signore.
Seconda Lettura: Fil i,4-6.8-11.
Paolo scrive ai Filippesi dicendo che prega con gioia Dio per la loro cooperazione alla diffusione del Vangelo, persuaso come è che colui che ha iniziato in loro quest’opera buona la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. Chiama inoltre Dio a testimone per l’amore che egli nutre per loro e lo prega perché la loro « carità cresca sempre più in conoscenza e pieno discernimento », perché possano distinguere ciò che è meglio ed « essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio».
Come ai Tessalonicesi, Paolo ripete la stessa esortazione ad essere « integri e irreprensibili » ai Filippesi che collaborano alla diffusione della Parola del Vangelo, poiché non si può pensare solo alla propria salvezza ma anche quella di tutti. Con l’esempio, la parola, la testimonianza e l’impegno della carità nella comunità tutti sono chiamati ad essere partecipi della missione di salvezza della Chiesa. Così si sarà ricchi di « frutti di giustizia e santità » che il Signore vuole dai suoi discepoli, fino al giorno del suo giudizio.
Vangelo: Lc 3,1-6.
L’evangelista Luca situa l’opera di Giovanni Battista nel deserto, dando precise referenze storiche attraverso il tempo dell’imperatore Tiberio Cesare, del governatore Ponzio Pilato in Giudea, del tetrarca Erode in Galilea … sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa.
Giovanni nella regione del Giordano predica un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, realizzando così la profezia di Isaia: « Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sa sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno dritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! ».
Entrambi gli annunzi di Baruc e Isaia delle meraviglie che Dio realizzerà per il suo popolo, per Luca sono rinnovati da Giovanni il Precursore, che prepara la strada per la venuta di Gesù, il Cristo, che deve essere accolto con un cuore convertito in un radicale cambiamento di vita. Esso consiste nell’abbassare l’orgoglio e la superbia, rettificare le proprie intenzioni anche le più nascoste, essere più sinceri e limpidi nel cuore e, ancora, colmare i vuoti e il distacco che ci fanno vivere nel disinteresse per i fratelli. Solo così è possibile vedere la gloria del Signore e la sua salvezza, in noi e nella nostra umanità, nel giorno del suo Natale che ci apprestiamo a celebrare.
DIO È FEDELE ALLE SUE PROMESSE
28 NOVEMBRE 1a DOMENICA D’AVVENTO. (ANNO C)
DIO È FEDELE ALLE SUE PROMESSE
Nel tempo dell’Avvento ripercorriamo il cammino dell’umanità dalle origini fino a Cristo. Così i cristiani vivono, attraverso i segni sacramentali, l’attesa del Signore. La Chiesa, Sposa di Gesù, attende il suo Sposo. In questo cammino non possiamo dissiparci, dimenticare Cristo che vuole continuare a rinascere in noi con i suoi sentimenti, i suoi comportamenti, mentre lo ricordiamo nell’avvenimento della sua nascita storica tra noi. Dobbiamo allora riprendere a vivere nella fedeltà a lui e attenderlo nella preghiera, nella fede, nella speranza, attraverso opere compiute nella vera giustizia divina, nella carità e fraternità, così come la Parola di Dio ci ripropone.
Nella Preghiera della Colletta preghiamo dicendo: « Padre santo, che mantieni nei secoli le tue promesse, rialza il capo dell’umanità oppressa dal male e apri i nostri cuori alla speranza, perché attendiamo vigilanti la venuta gloriosa del Cristo, giudice e salvatore ».
Prima Lettura: Ger 33,14-16.
Il profeta Geremia annunzia, nel nome del Signore, la realizzazione delle promesse di bene che Dio ha fatto alla casa di Israele e di Giuda. Farà infatti germogliare nella casa di Davide un « germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra ». Questi porterà salvezza a Giuda, Gerusalemme godrà tranquillità e si chiamerà « Signore-nostra-giustizia ».
Sarà Gesù il realizzatore di queste promesse preannunziate 400 anni dopo il Re Davide e 600 anni prima la venuta di Gesù Cristo. Egli, il giusto, uomo senza peccato, nasce in mezzo a noi, per portare la giustizia e la santità di Dio tra gli uomini: da lui verrà la grazia e l’innocenza per ogni uomo scaturita dalla sua morte e risurrezione, operata in quanto Messia e Figlio di Dio.
Seconda Lettura: 1 Ts 3,12-4.2.
L’apostolo Paolo, prendendo a paragone il suo amore per i Tessalonicesi, invoca il Signore che li « faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra loro e fra tutti », così ché i loro cuori siano saldi e irreprensibili nella santità della vita, sia davanti a Dio sia per la venuta del Signore Gesù. Inoltre si rivolge a loro « pregandoli e supplicandoli » nel Signore Gesù affinché possano progredire ancora di più, come hanno imparato da lui e come già fanno, « nel modo di comportarsi e di piacere a Dio », avendo dato loro delle norme di vita da parte del Signore.
Per il credente in Dio e per noi cristiani è necessario crescere nell’amore reciproco, essere trovati irreprensibili, non essere riprovati davanti Dio quando il Signore riapparirà per il giudizio con tutti i suoi santi. Bisogna solo preoccuparsi di piacere a Dio, di progredire per una buona condotta e nelle vie del bene per essere a lui graditi, perché « sia che viviamo sia che moriamo a lui apparteniamo ».
Vangelo: Lc 21,25-28.34.36.
Anche in questa prima domenica di Avvento, il brano del Vangelo di Luca ci porta a meditare sugli ultimi eventi escatologici, nei quali « Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra ». In quel giorno il Figlio dell’Uomo apparirà su una nube con grande potenza e gloria.
Quando tutte queste cose cominceranno ad accadere, dice Gesù, bisogna pensare che la nostra liberazione è vicina e bisogna essere pronti per comparire davanti al Figlio dell’Uomo per il giudizio. Il Signore Gesù esorta i suoi discepoli e tutti coloro che lo ascoltano a essere attenti così da non ap- pesantire i propri cuori « in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso » perché esso « come un laccio si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia della terra ».
Ancora. Il Signore ci esorta a vegliare pregando, per avere la forza di sfuggire a ciò che dovrà accadere perché si dovrà comparire davanti al Figlio dell’Uomo.
Ultimo aggiornamento (Sabato 27 Novembre 2021 18:21)