FARSI PROSSIMO PER ASSOMIGLIARE A CRISTO.
10 LUGLIO – XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
La testimonianza concreta del Vangelo da parte dei discepoli di Gesù.
L’essere cristiani più che una etichetta ci impegna a vivere secondo lo stile di vita del Vangelo, seguendo Cristo che ci indica la via per condurre una vita secondo la sua mentalità e il suo esempio.. Si deve allora respingere ciò che è contrario a questo nome e seguire ciò che gli è conforme. Nella Orazione di questa domenica preghiamo Dio dicendo: « Padre misericordioso, che nel comandamento dell’amore hai portato a compimento la legge e i profeti, donaci un cuore capace di misericordia affinché, a immagine del tuo Figlio, ci prendiamo cura dei fratelli che sono nel bisogno e nella sofferenza ».
Questa esigenza della testimonianza, con la forza dello Spirito, non si rende concreta solo parlandone o insistendovi nella Liturgia, ma vivendo concretamente questo stile di vita. Ma la consistenza delle opere non sempre è adeguata alla insistenza con cui ne parliamo.
Prima Lettura: Dt 30,10-14. Mosè parlando al popolo lo esorta ad obbedire alla voce del Signore, osservare i suoi comandi e decreti e a convertirsi al Signore, con tutto il cuore e con tutta l’anima. Dice ancora che il comando del Signore non è « Troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica”: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?” Non è al di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?” ». La Parola di Dio, dice Mosè, è dentro il cuore dell’uomo, nella sua profonda coscienza e bisogna praticarla. Accondiscendere ad essa, specie alla Parola, che per l’evangelista Giovanni è il Verbo che si è fatto carne ed è venuto ad abitare tra noi, nella fede significa seguirla perché ci induce alla conversione continua, a ritornare al Signore con « tutto il cuore e con tutta la mente ». Gesù infatti inizierà la sua missione invitando gli uomini a convertirsi, cosicché gli uomini siano intimamente trasformati.
Seconda Lettura: Col 1,15-20.
L’apostolo Paolo, ai Colossesi, proclama che Gesù Cristo è immagine, sacramento, visibile del Dio invisibile e primogenito di tutte le cose create nei cieli e sulla terra, sia di quelle visibili che di quelle invisibili, perché tutto è stato creato per mezzo di lui e in vista di lui. Ancora: tutte le cose sussistono in lui, che è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è il principio e il primogenito di coloro che risorgono dai morti, perché lui ha il primato su tutte le cose. Il Padre ha fatto abitare nel Cristo ogni pienezza, perché per mezzo di lui e in vista di lui ha riconciliati a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, sia le cose della terra sia quelle che stanno nei cieli.
Paolo, come la Chiesa proclama solennemente nella professione di fede domenicale, pone il Signore Gesù come sostegno di tutto l’universo, primogenito di tutta la creazione, perché tutto è creato per mezzo e in vista di lui, che è ragione di tutto, il principio e la fine di tutto, il Primo e l’Ultimo. La Chiesa, comunità di Dio, ha in lui la sua consistenza, perché egli ne è il Capo e perché per il suo sacrificio ha rappacificato tutto con il Padre. La morte del Cristo più che un fallimento è l’espressione della potenza salvifica di Dio, che ha riconciliato nel suo Figlio l’umanità con sé. La sua risurrezione, principio e risurrezione della Chiesa, suo Corpo, è resa presente nel mondo per la presenza dello Spirito, effuso nei nostri cuori, e per opera di essa. Le affermazioni dell’apostolo illuminano molti aspetti della nostra vita quotidiana, che avvolta dalle sue banalità, dalle sue meschinità o piccolezze, non sempre riusciamo a collegare in un corretto rapporto tra Dio, il Cristo e le cose create. L’amore di Dio, di cui noi siamo fatti oggetto, anche se immersi nelle tribolazioni, nei travagli della vita, nelle sofferenze, ci apre, allora, l’orizzonte della gloria della risurrezione, come lo è stato per Cristo, Capo. Il sacrificio di Cristo, celebrato nell’Eucaristia domenicale diventa una anticipazione e una caparra della gloria futura.
Vangelo: Lc 10,25-37.
Gesù ad un dottore della legge, che per metterlo alla prova gli chiede cosa deve fare per ereditare la vita eterna, risponde: « Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi? ». Poiché quegli risponde bene dicendo che è necessario: amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le proprie forze e con tutta la mente, e amare il prossimo come se stessi, Gesù lo esorta a fare come ha detto e avrebbe ereditato la vita eterna. Il Dottore della Legge, volendo giustificarsi, gli chiede: « E’ chi è il mio prossimo?».
Gesù allora, attraverso la parabola del Buon Samaritano, concretamente lo mette nelle condizioni di comprendere che il prossimo è colui a cui si deve prestare aiuto, come nel caso di quell’ uomo che, dopo essere stato derubato e lasciato mezzo morto, non viene soccorso né dal sacerdote, che per caso passa da quel luogo, né dal levita, ma da un samaritano che, passandogli accanto ne ha compassione. Così, facendoglisi vicino, ne fascia le ferite versandogli olio e vino, caricandolo sulla sua cavalcatura lo porta in un albergo e il giorno seguente, dando due denari all’ albergatore perché si prenda cura di quell’ uomo, dice che al suo ritorno avrebbe pagato ciò che avesse speso in più. Quando, a conclusione della parabola, Gesù chiede al dottore della legge chi dei tre sia stato il prossimo per quell’ uomo, caduto in mano ai briganti, e quegli risponde: chi ha avuto compassione di lui, Gesù lo esorta, invitandolo, a comportarsi anche lui allo stesso modo del samaritano.
Cristo è il buon samaritano della nostra umanità, che spesso è derubata dei beni spirituali, umani, psicologici, sociali, ambientali dallo spirito del male e da chi arreca danno all’ uomo sotto ogni forma. Egli si prende cura dell’uomo, fasciando le ferite di colui che è “reso morto” spiritualmente con ogni forma di peccato, e lo affida alla Chiesa e ad ognuno di coloro che si sentano Chiesa in lui, perché se ne prendano cura, con “operoso amore”, attraverso le opere di carità spirituali e materiali, sapendo che ogni atto d’amore verso il prossimo è un proseguimento dell’amore di Gesù e sicuro che, al suo “ritorno nella gloria”, darà la ricompensa per ciò che avremo speso a favore dei fratelli. Il cristiano, come il buon samaritano, che non ha guardato all’ uomo lasciato lungo la strada, se sia giudeo o suo connazionale, deve aver cura dell’uomo e farsi suo prossimo al di la di ogni forma di situazione sociale, etnica, razziale in cui il fratello si trova.