13 AGOSTO-XIX DOMENICA del TEMPO  ORDINARIO    Á

Soprattutto la  domenica, in cui Dio Padre ci raduna insieme come famiglia dei credenti e di figli adottivi, possiamo con il Figlio Gesù sperimentare la sua paternità e, nella fede, ricevere la grazia di sentire la sua azione nella nostra vita e in quella degli uomini tutti, così da poter superare le prove di ogni giorno: egli è sempre presente nella vita delle sue creature e dei suoi figli.

Affrontare con la serenità dei figli di Dio, ad imitazione di Gesù, le prove quotidiane,  vuol dire vivere le  difficoltà, i travagli della vita e, anche la sofferenza, con la fiducia e la certezza che il Signore ci è vicino. Egli   accompagna ogni sua creatura, tutti i suoi figli,  la sua Chiesa in mezzo ai marosi nel mondo, finché non giungiamo alla contemplazione della luce del volto di Dio nel cielo.  Nel giorno del Signore, vivere il nostro incontro con lui  accresce il desiderio  del cielo, pregustando fin d’ora la gioia  che ci sarà data in pienezza nell’ eternità.

Nella preghiera della Colletta diciamo a Dio:« O Dio, Signore del cielo e della terra, rafforza la nostra fede e donaci un cuore che ascolta, perché sappiano riconoscere la tua parola nella profondità dell’uomo, in ogni avvenimento della vita, nel gemito e nel giubilo del creato ».

Prima Lettura: 1 Re 19,9.11-13.

Nel lungo cammino nel deserto, fortificato dal cibo che Dio gli provvede, Elia giunge sul monte Oreb, dove incontra Dio che gli si manifesta, non nell’esperienza eclatante del vento impetuoso e gagliardo, non nel terremoto o nel fuoco, come lo fu per Mosè, ma  in una brezza leggera e, al suo passaggio, si copre il volto con il mantello. Così Elia riceve la conferma della  missione a cui Dio lo manda.. E,’ quella di Elia, un’esperienza misteriosa di intimità e di quiete. Pur stando Elia  « alla presenza  del Signore » e avvertirne lo ferma all’ingresso della caverna. Solo con la rivelazione che il Figlio fa del Padre è possibile vedere il volto di Dio, perché, dice Gesù,  chi vede lui vede il Padre.

Seconda Lettura: Rm 9,1-5.

Paolo avverte nell’ animo  un’angosciosa sofferenza, tanto da voler essere, se potesse, anatema, cioè staccato da Cristo, che egli pur ama intensamente, a vantaggio dei suoi fratelli israeliti a lui consanguinei. Questo perché essi, che « Sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo », non l’hanno accolto come il Messia, pur essendo anch’egli israelita secondo la generazione umana, venuto per realizzare le promesse divine. L’apostolo, di questo misterioso ed enigmatico comportamento non sa darne una spiegazione, ma si affida a Dio, che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli, certo che la sua misericordia divina si manifesta verso tutti e sopra tutti. Sia questo consegnarsi all’ insondabile disegno di Dio, sia questa passione per la conversione dei fratelli israeliti, deve spingere i credenti nel Cristo come i fratelli ebrei, più che ad atteggiamenti di inimicizia e di ostilità, a vivere momenti di fraternità e accoglienza e di collaborazione.

Vangelo: Mt 14,22-33.

Dopo la moltiplicazione dei pani, per cui la folla ammirò la  straordinaria potenza di Gesù, egli costringe i discepoli a precederlo sull’ altra riva del lago e  « sapendo che venivano per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo, a pregare ». Nel Vangelo di Matteo la moltiplicazione dei pani era stata un segno della sua messianicità, anche se fraintesa da parte dei discepoli e da quelli che avevano assistito all' evento , volendolo fare re. Così congeda la folla e li costringe a partire, affinché non cedessero alla tentazione della gloria.

Nella sua  pedagogia Gesù vuole insegnare ai suoi discepoli che non ci si deve appropriare dei segni della benevolenza di Dio, né di chi ha sperimentato un evento o un dono di grazia di Dio, per ottenere, a proprio beneficio o interesse, il consenso o soddisfare la propria sete di dominio sugli altri.

Ancora. Nella preghiera solitaria e a contatto con il Padre celeste, Gesù vuole vincere la tentazione di rivelarsi nella sua identità di Messia e di Figlio di Dio, perché vuole ancora una volta insegnarci che il bene, che i suoi discepoli fanno, deve portare gli uomini a dare gloria al Padre celeste e a porre Dio al centro della propria testimonianza e non alla  ricerca  di gloria o di successi propri: tentazione sempre presente nella vita di ognuno e della sua Chiesa,  a cui difficilmente si sfugge, se si perde il vero senso del rapporto con Dio che, nella preghiera e nel rapporto intimo con lui, ci fa riscoprire la nostra identità di figli nella sua giusta luce.

Essere saliti sulla barca di Cristo, la sua Chiesa,  e trovarsi in mezzo al lago della storia, agitato da forte  vento e da onde paurose, è certamente anche un altro  momento che ci può cogliere come discepoli di Gesù e di credenti in lui, lungo la nostra vita e nella vita della Chiesa. Se allora Gesù è assente, come lo era nella barca, nell’ episodio del vangelo di oggi, la comunità del Signore è incapace di compiere serenamente la traversata verso l’altra riva e si è presi facilmente dalla paura degli eventi più o meno sconvolgenti che agitano la nostra e la vita della Chiesa e del mondo. Solo se si crede alla reale presenza di Gesù in mezzo alla vita degli uomini e della sua Chiesa, e non lo si crede un fantasma, e se ascoltiamo  la sua parola: « Coraggio, sono io, non abbiate paura! », con cui manifesta   la sua identità divina, allora la sua presenza ci dà coraggio e serenità.

E anche quando come Pietro, rassicurati dalla sua presenza e dal calmarsi dei travagli e  delle vicende tormentate  della nostra esistenza, gli chiediamo di camminare verso di lui, chiamandoci  a svolgere una missione, non dobbiamo perdere la nostra fede in lui e non aver paura, perché rischiamo  di affondare.

In quel momento, solo rivolgendoci a lui e non pensando alle difficoltà e ai travagli in cui versiamo, gridando come Pietro: « Signore, salvami! », potremo aggrapparci alla mano che Gesù ci tende e trovare salvezza nella rinnovata fiducia in Lui..

Con la presenza di Gesù tra noi, ogni tempesta si placa, ogni dissidio si risolve, ogni difficoltà si supera, ogni turbamento si rasserena e, facendo esperienza della sua presenza anche a noi ci viene spontaneo rinnovare   la stessa professione di fede degli apostoli: « Davvero tu sei il Figlio di Dio ». Dall’ accogliere nella fede questa identità di Gesù ci viene la nostra serenità e la forza per vincere ogni forma di  timore che può sorprenderci nella “traversata della vita nostra, della Chiesa e dell'umanità tutta”.