9 LUGLIO – XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Nella preghiera della colletta di oggi chiediamo al Signore dicendo: «O Dio, che ti riveli ai piccoli e doni ai poveri l’eredità del tuo regno, rendici miti e umili di cuore, a imitazione del Cristo tuo Figlio, perché,  portando  con lui il giogo soave della croce,  annunziamo  al mondo la gioia che viene da te ». La gioia che viene dal Signore, che si rinnova con  la grazia che Dio ci dona nella domenica, pasqua settimanale della Chiesa, ci fa essere capaci di imitare Gesù, essere poveri, liberi esultanti anche nel portare la croce e di annunziarla a tutti.

La condizione di questa gioia è che dobbiamo essere « liberi dall’oppressione della colpa », dal giogo del peccato che, facendoci chiudere nel nostro egoismo,  ci immiserisce sempre più.  « Il giogo soave della croce », che ci sgombra il cuore, ci fa imitare  Cristo nella sua « umiliazione », e quindi ci rende disponibili, proprio perché non saremo più attaccati a noi stessi, a portare « in ogni ambiente di vita la parola d’amore e di pace », il Vangelo che è annunzio ed esperienza di gioia pasquale.

Le letture della liturgia di oggi ci parlano di un Messia umile. Secondo le parole del profeta Zaccaria egli si manifesta al mondo cavalcando un asino. E’ Gesù il Messia, mite ed umile di cuore annunziato dal profeta, che chiama a sé gli affaticati e porta la salvezza del Padre.

Prima  Lettura:  Zc 9,9-10.

Il profeta Zaccaria invita la figlia di Sion, la figlia di Gerusalemme, ad esultare e giubilare, annunziando che il suo re, giusto e vittorioso, umile, cavalcante un asino, viene a lei. Egli farà sparire la guerra, l’arco di guerra sarà spezzato e verrà annunziata la pace alle nazioni. Il suo dominio sarà esteso fino ai confini della terra.

Non nella prepotenza o con le armi ma nella giustizia e nella pace si realizzerà la vittoria di Colui che Dio manda in Gerusalemme, poiché sarà un re mite ed umile, senza segni che appartengono alla mentalità  terrena. La sua non sarà una regalità mondana, come l’aspettava Israele, saranno la mitezza, l’umiltà, la giustizia e la pace a trasformare gli uomini..

Sarà Gesù di Nazaret, che entra  in Gerusalemme con questi segni, cavalcando un puledro, a realizzare questa profezia di Zaccaria e a portare la pace, la  giustizia e la regalità di Dio, che non sono di questo mondo come dice Gesù a Pilato.

Seconda Lettura: Rm 8,9.11-13.

San Paolo scrive ai Romani, che essendo diventati figli di Dio attraverso il battesimo, animati dal suo Spirito appartengono a Cristo e non sono più sotto il dominio della  carne, e li esorta a vivere secondo lo Spirito di Dio che abita in loro.« E se lo Spirito di Dio » continua « che ha risuscitato Gesù dai morti,  abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita an- che ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi ». Dunque, conclude, che non sono più  debitori verso la carne per vivere secondo i desideri carnali che conducono alla morte, ma mediante lo Spirito devono far morire le opere della carne per avere la vita divina in loro.

L’appartenenza a Cristo dell’uomo, rinato dallo Spirito di Dio, gli assicura la risurrezione del suo corpo mortale a condizione che egli faccia vivere in lui le opere dello Spirito di Cristo. Liberato dal potere della carne, con la grazia che Dio gli offre, l’uomo può, dunque, vivere la vita divina e attendere, nella speranza, la risurrezione finale che lo introdurrà nella realtà eterna di Dio. Tutta la condotta  del cristiano deve manifestare questa novità di vita secondo lo Spirito di Dio, attraverso i frutti dello Spirito che sono amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé, come scrive ancora san Paolo ai Galati. Far morire le opere della carne non vuol dire far morire  la vita nella sua corporeità fisica, ma quella vita di male che conduce alla morte spirituale.

L’uomo di carne è inteso, secondo il pensiero di san Paolo, non come  corpo  o nella  sessualità, ma in tutta la sua realtà di fragilità, di debolezza, di condizione di schiavitù sotto il potere del peccato e in quanto si oppone a Dio, alla sua azione e alla sua  signoria.

Il dominio della carne si manifesta quando la superbia, l’orgoglio, peccati difficili da riconoscere e più pericolosi, possono rivestirsi esteriormente di devozione  e inducono l’uomo a ridurre Dio ad oggetto del proprio pensiero, manipolandolo, possedendolo e dominandolo,  pervertendo così ledimensio-ni più nobili dell’animo umano.

L’uomo spirituale  invece che è abitato dallo Spirito di Cristo, è  colui che vive nel regno della grazia, che vive unito a Cristo, gli appartiene e Il Signore gli  assicura la risurrezione con lui. La condotta del cristiano deve rivelare la  presenza in lui dell’azione dello Spirito di Cristo e manifestare l’assoluta novità del suo modo di vivere.

Vangelo: Mt 11,25-30.

Gesù, nel brano del Vangelo di oggi, ringrazia e loda il Padre celeste perché, nella sua benevolenza, ha deciso di nascondere ai sapienti e ai dotti della terra i misteri del regno dei cieli, mentre li ha rivelati ai piccoli. Avendo il Padre dato a lui tutto, dice Gesù,  nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui a cui questi lo rivela.

Gesù ancora esorta tutti coloro che sono stanchi ed oppressi ad andare a lui per trovare ristoro; a prendere su di sé il suo  « giogo » che è dolce e il suo « pe- so » leggero  e ad imparare da lui che è mite ed umile di cuore, se si vuole trovare ristoro nella propria vita.

Nella relazione con Dio l’uomo spirituale riconosce che tutto gli viene per grazia e, nel percepire la sproporzione della gratuità, diventa cosciente del dono di sé che Dio, immeritatamente, gli offre.

In un contesto di rifiuto della rivelazione che Gesù fa e delle sue opere, la fede  dei piccoli, degli umili, più che essere conquista  deve essere libera risposta dell’uomo alla Parola che lo raggiunge, lo interpella e lo coinvolge e non orgogliosa presunzione di sapere su Dio, che si rivela ai semplici, ai piccoli e agli umili nella  « sua benevolenza »(Mt11,26).

Chi è superbamentgonfio di sé, nei propri pregiudizi, nella propria bravura e nella propria illusoria giustizia, non riesce a comprendere il mistero di Gesù e della sua unità col Padre. Non riesce a conoscerlo e ad amarlo. La rivelazione di Gesù è concessa come grazia « ai piccoli », agli umili, aperti alla Parola di Dio. Questi, affidandosi a Cristo nei loro affanni, nella loro situazione di dolore, di disagio, di rifiuto da parte dei potenti, di prova, trovano serenità e pace.Nella ricerca teologica o nell’accogliere la rivelazione di Dio da parte di qualunque credente, è necessario un atteggiamento di umiltà, la consapevolezza della propria piccolezza in ragione della sproporzione che vi è fra lui e Dio. Il Vangelo non è un giogo che schiaccia, ma un sollievo per chi lo viva con sincerità e coerenza.