26 FEBBRAIO – 1a DOMENICA DI   QUARESIMA.

La Quaresima è un segno sacramentale della nostra conversione. I giorni e i riti che in essi celebriamo devono esprimere  il nostro impegno a rivedere la vita e a confrontarla con  le  esigenze del Vangelo.

La Quaresima è un « tempo favorevole per la nostra salvezza ». Benché tutti i tempi sono portatori di grazia e siamo invitati ad attingere la redenzione della vita, in Quaresima le esortazioni diventano più pressanti e appassionate: la meditazione sui nostri comportamenti poco conformi alla Parola di Dio si fa più prolungata; la meditazione sulla passione e morte in  croce di Cristo pone la Chiesa tutta davanti al suo Signore perché ne segua le orme; essere in ascolto  attento  della Parola di Dio conduce il credente ad accostarsi al mistero pasquale con più consapevolezza. Tutti questi giorni sono tutti un cammino  verso la Pasqua di risurrezione, i cui misteri sono al centro dell’anno liturgico e al culmine della storia della salvezza.

Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, che conosci la fragilità della natura umana ferita dal peccato, concedi al tuo popolo di intraprendere  con la forza della tua parola il cammino quaresimale, per vincere le tentazioni del maligno e giungere alla Pasqua rigenerato  dello Spirito ».

Prima Lettura: Gn 2,7-9. 3,1-7.

Questo testo  non è una narrazione storica, ma vi troviamo il perché del peccato che, fin dalle origini, induce l’uomo ad ogni forma di male, è il modello delle tentazioni che l’uomo sperimenta continuamente. E’ obbligo morale del- l’uomo superare questo limite che non bisogna accettare passivamente e pigramente: tutti siamo chiamati in quanto creature a ricercare il bene nostro  e di tutto l’uomo, a perfezionarci e assolvere al compito di maturazione umana. Ma ci ritroviamo con un limite insuperabile che è costitutivo della creatura: quello di accettarsi nello stato di creatura e riconoscersi nella giusta relazione con Dio. Il desiderio di  oltrepassare questo limite spinge l’uomo  nel tentativo di equipararsi a Dio, di volersi sostituire a Lui. Le parole del serpente, il più astuto di tutte le bestie create: « E’ vero che Dio ha detto:” Non dovete mangiare di alcun  albero del giardino?”» sollecitano la donna che risponde al serpente dicendo: « Del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “ Non dovete mangiarne e non lo dovere toccare, altrimenti morirete”». Ma  il serpente allora insiste nella tentazione, con parole più suadenti e più subdole, inculcando in Eva il sospetto che Dio abbia proibito di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male non perché sarebbero morti, ma perché: « Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male ». Così a motivo del demonio e del consenso dell’uomo a tale suggestio- ne, l’uomo stesso diviene peccatore. Il peccato è un atto di diffidenza nei confronti di Dio, di autocompiacenza, di volontà di essere come Dio, misconoscendo la propria condizione di creatura. Invece di fare della creazione motivo  di gioioso rendimento  di grazie, l’uomo se ne accaparra, “avventandosi su di esse”,  scrive sant’Agostino nelle Confessioni, come se ne fosse l’autore. Dio viene presentato come nemico della sua creatura. Così con la disobbedienza la relazione armonica e fiduciosa tra Dio e l’uomo viene sostituita da un atteggiamento di rivalsa contro Dio, che lo avrebbe ingannato malevolmente.

Il frutto diventa, così, appetibile sotto tutti gli aspetti e il mangiarlo avrebbe fatto superare il limite creaturale: cadere nella tentazione di mangiarlo non apporta certo in Adamo ed Eva la sazietà del loro desiderio. Così l’uomo si rivolge anche verso le altre creature di Dio non con il giusto rapporto di amministratore della creazione ma come padrone e possessore!

Il risultato è che  l’uomo viene sì  a conoscere, ma che cosa? La propria nudità, simbolo della propria miseria, che infonde rossore, timore e vergogna.. Ogni nostro peccato conferma  e continua il primo peccato.

Ma ormai il pensiero del peccato deve’essere intimamente congiunto con quello della misericordia, cioè con quello della croce di Gesù, dove egli muore, per riportare l’uomo alla vita di figlio  di Dio per il dono della grazia. Così Cristo, recuperando  l’identità dell’uomo che ha disobbedito al creatore,  con la sua obbedienza, da creatura lo rende figlio del Padre celeste e restaura un nuovo rapporto tra Dio e l’umanità.

Seconda Lettura: Rm 5,12-19.

Il  cammino dell’uomo nelle vie del peccato inizia da Adamo, e porta nel mondo la morte. Tutti gli uomini, per propagazione,  nascono con l’impronta di quella colpa originale e della sua  conseguenza: la morte, che avrebbero evitato se non ci fosse stata la disobbedienza. Ma questo non è il destino vero e ultimo dell’uomo. Al peccato di disobbedienza di uno, cioè di Adamo, sopravviene, ben più potente ed efficace, l’obbedienza di Cristo, che compiendo la volontà del Padre celeste e sacrificandosi per noi ci ha meritato il perdono e la misericordia di Dio. Così « la grazia di Dio,  e il dono concesso  in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti ». Se per la ribellione del primo uomo è venuto il giudizio sul male e il peccato, e di conseguenza la condanna, invece per l’obbedienza del secondo, di Cristo Gesù, ci è venuto «il dono di grazia da molte cadute, ed è per la giustificazione », che ci permette di riaccostarci a Dio e ritornare, accogliendo il suo perdono, alla comunione con lui. « Se per la caduta di uno solo la morte ha regnato su tutti, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo » Nella vita dell’uomo deve sopravvenire, dopo  la conseguenza del primo peccato e dei peccati personali che, purtroppo, intessono e disfanno la nostra vita, l’abbondanza della grazia e del perdono di Dio. In questi giorni dobbiamo quindi ricomprendere il significato della croce, sulla quale Gesù ci ha riscattato dal peccato e, riversando sul- l’umanità la giustificazione del Padre, ci ha ridato la vita di Dio..

Vangelo : Mt 4, 1-11.

Al contrario del primo Adamo, Gesù « Condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo » non si lascia suggestionare da Satana. Dopo il lungo digiuno di quaranta giorni, Gesù, sperimentando nella tentazione del diavolo il limite delle creature ( aver fame, mettere alla prova Dio correndo un rischio e adorare colui che promette potere e onori), forte della Parola di Dio e della preghiera, non si lascia vincere dal tentatore e ci insegna così che anche noi possiamo vincere le stesse tentazioni. Non cede come  ha fatto Adamo e come  ha fatto Israele lungo il suo peregrinare nel deserto.

Entrambi, Gesù e Satana si basano sulla Scrittura, il secondo per tentarlo alla disobbedienza e l’altro per respingerlo, interpretandola come criterio della sua relazione filiale.

Queste  tentazioni del deserto  sono, come tutta intera la sua esistenza, una continua messa alla prova fin sulla croce, su cui la sua obbedienza al Padre è confermata ed è sconfessata la disobbedienza  dei progenitori. Così Gesù manifesta la sua conformità alla volontà salvifica del Padre  riconciliando l’umanità disobbediente con la  sua obbedienza sulla  croce, dove appare spoglio di gloria e di potere: ma è quella la via misteriosa della salvezza del mondo.

In questa Quaresima da Cristo riceviamo la forza di vincere le tentazioni, piccolo e grandi che siano , poiché tutte si risolvono  in quelle tre  che Gesù ha decisamente superato per sé e per noi, dandocene un esempio..