5 FEBBRAIO-V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.(A)

Cristo, luce del mondo, ci illumina e chiede di essere luce.

Nello spirito delle Beatitudini, che sono la via più viva e credibile dell’annunzio del Vangelo, la Chiesa non è chiamata ad essere potente, ad avere successo, ma a seguire la logica di Dio e, poiché i criteri del mondo non sono quelli del Regno di Dio, può essere osteggiata e anche perseguitata. Certo, la marginalità,  l’essere osteggiati, perseguitati può mettere in crisi la fede e la speranza, ma le parole di Gesù del vangelo di oggi vogliono essere di incoraggiamento a non venir meno nell’impegno di essere sale e luce nel mondo.

Identità e missione.

Gesù, rivolgendosi a coloro che vogliono seguirlo, dice: « Voi siete il sale della terra… siete la luce del mondo…» e chiede che l’ “ identità ” che devono avere non esprime tanto un desiderio o osservare un precetto morale. Questa identità è però frutto della grazia, che opera per la potenza dello Spirito Santo nel nostro cuore.

Nella Colletta iniziale dell’Eucaristia di oggi preghiamo dicendo: « O Dio, che fai risplendere la tua gloria nelle opere di giustizia e di carità, dona alla tua Chiese di essere  luce del mondo e sale della terra, per testimoniare con la vita la potenza di Cristo crocifisso e risorto ».

Prima Lettura: Is 58, 7-10.

La vita religiosa, che il cristiano deve vivere, non può essere, secondo l’insegnamento che viene dal brano di Isaia che la liturgia oggi ci fa a- scoltare e che Gesù fortemente richiama, una pratica cultuale sganciata da una vita di « fede ardente  e da una instancabile carità » Si rende culto a Dio non attraverso delle pratiche solo esteriori, come digiuni, preghiere o altro, per assolvere  ad un precetto. Chi divide il pane con il prossimo che ha fame, chi veste l’ignudo senza trascurare i propri cari, chi ha spirito di comprensione e di perdono, trova il Signore, incontra la sua misericordia, « la tua luce sorgerà come l’aurora, davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà ». Allora quando si invocherà il Signore e si implorerà il suo aiuto egli dirà: « Eccomi ! ». Il profeta ancora continua esortando : « Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio…, se sazierai l’afflitto di cuore » si avrà il cuore illuminato  dalla luce divina e le proprie tenebre si diraderanno. La preghiera che salga da un animo duro, aspro, impietoso non è ascoltata da Dio. La domenica è anche il giorno della carità fraterna. Se no, non è nemmeno il giorno del Signore.

Seconda Lettura: 1 Cor 2, 1-5.

Paolo dice ai Corinti che la sua predicazione è stato Gesù Cristo crocifisso e non mostrare loro la sua bravura nel parlare, la sua  sapienza. Egli si è presentato a loro « nella debolezza e con molto timore e trepidazione» Egli sostiene che chi  ha prodotto la conversione del loro cuore è stato la mani- festazione dello Spirito Santo e la potenza di Dio, perché su questa fosse fondata la loro  fede. E’ sempre così: non le belle prediche, ma la grazia apre il cuore. La preghiera per la conversione degli uomini è certamente necessaria per impetrare da Dio che sia lui ad aprire il cuore all’accoglienza del messaggio della salvezza. Possiamo meritare per noi e per gli uomini la conversione  se ci stacchiamo  dalle belle parole che accontentano l’orecchio ma non cambiano  la nostra vita.

Vangelo: Mt 5, 13-16.

I discepoli di Gesù, uomini come tutti gli altri, vivono e operano in mezzo al mondo; eppure ciò che li distingue dagli altri è la loro fede e la loro carità, che  li rendono  sale e luce del mondo. Questa, se da una parte è una identità nuova,  è anche la nostra missione, poiché Dio agisce nella storia attraverso le nostre scelte quotidiane. Il sale dà sapore, rende gradevole il cibo. Così deve essere un cristiano: capace di conferire il vero sapore della sapienza, dono dello Spirito di Dio. Testimoniare questa sapienza è la missione che il Signore ci affida, anche quando essa è osteggiata ed estranea alla logica del mondo. Dio, come dice Gesù, ci dona la sua forza e quando siamo sfiduciati, demotivati e stanchi, rivolgiamoci a lui per avere nuova gioia e nuova forza.

Gesù, ancora, attraverso la metafora della  luce, si proclama Luce del mondo, che rivela le cose nella luce di Dio e indica all’uomo il cammino da seguire, illuminato dalla giusta luce divina. Anche il popolo di Israele, vivendo la vera fede, avrebbe dovuto essere luce, così come noi che, vivendo le Beatitudini, siamo luce se e nella misura in cui partecipiamo della luce di Cristo, da cui deriva la nostra missione profetica, affidata a tutti i credenti in lui,  di illuminare tutta l’umanità.

Richiamando  anche la necessità  del buon esempio delle opere con l’immagine della luce, si noti, che Gesù parla della  glorificazione del Padre. Esse infatti sono come il segno della presenza di Dio in mezzo agli uomini e, nella loro storia, non devono essere solo espressione di religiosità sterile e ipocrita. Chi fa il bene rende presente Dio e conduce a lui.

Identità cristiana: incarnazione della Parola e missione.

Il sale della sapienza evangelica e la luce che deve risplendere devono esprimere l’identità cristiana per continuare il mandato profetico che Gesù assegna ai suoi discepoli e alla sua Chiesa. La Parola di Dio, efficace nella testimonianza dell’apostolo e nel cuore di chi riceve l’annuncio, ha la priorità. Essa, seminata da Dio nel cuore degli uomini, se da una parte deve essere contemplata e testimoniata da chi l’annunzia, dall’altra deve portare alla missione, cosicché venga incarnata non come mera propaganda ma come realizzazione del regno di Dio anche in chi l’accoglie.

Paolo, nel riconoscere la propria debolezza, fa affidamento alla potenza della  Parola e assume la logica della croce, ritenendo di « non sapere altro in mezzo ai Corinzi  se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso » (1 Cor 2,2).

La missione, animata dalla contemplazione,  rende testimoni e si diventa credibili se si vive nella propria esperienza di vita, con le parole e le opere,  ciò che si è visto e si annunzia, per cui sant’ Ignazio d’Antiochia diceva scrivendo agli Efesini: « E’ meglio essere cristiano senza dirlo, che professarlo senza esserlo ».