11 SETTEMBRE – XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.

Nell’ Eucaristia, ricevendo il Corpo e il Sangue di Cristo, i cristiani entrano in comunione con lo Spirito Santo, che rende presente nel pane e nel vino il loro Signore.

La potenza di Cristo e l’azione del suo Spirito trasformano non solo questi doni ma anche noi e, con i nostri sentimenti, le nostre tendenze, veniamo trasfigurati in lui. E’ lo Spirito Santo, che viene invocato nelle preghiere eucaristiche, a trasformare i nostri semplici doni nel Cristo e raccogliere e formare anche la Chiesa, unendola a lui in maniera intima.

L’assemblea liturgica, attraverso il perdono che viene chiesto, è rigenerata con un cuore nuovo dallo Spirito, che apre i credenti al pentimento e alla conversione e dà loro la forza di perdonare a loro volta e di dare la vita per salvarla, come fa Cristo. Il dono dello Spirito non è meritato da noi ma dall’intercessione del Signore Gesù, mediatore di grazia , che ci unisce a sé quando nel suo nome siamo riuniti per rendere grazie al Padre.

Nella colletta iniziale, rivolti al Signore lo supplichiamo dicendo: « O Padre, che in Cristo ci hai rivelato la tua misericordia senza limiti, donaci di accogliere la grazia del perdono, perché la Chiesa si rallegri insieme agli angeli e ai santi per ogni peccatore che si converte ».

Prima Lettura: Es 32,7-11.13-14.

Mentre Mosè è sul monte, il Signore gli dice  di scendere perché il popolo, liberato dall’Egitto, si è pervertito, si è allontanato dalla via indicata da Lui avendosi fatto un vitello d’oro, davanti al quale offre sacrifici, e gli attribuisce la liberazione dalla schiavitù. Ancora: il Signore dice a Mosè che il popolo è di dura cervice e, perciò, nella sua ira, ha deciso di distruggerlo, mentre di lui ne avrebbe fatto una grande nazione.

Mosè, allora, si rivolge al Signore  supplicandolo: « Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto…? Ricordati di Abramo, di Isacco, di Giacobbe…ai quali hai giurato per te stesso e hai detto” Renderò la vostra posterità numerosa… e tutta questa terra la darò ai tuoi discendenti che la possederanno per sempre ». Così il Signore si pente del male che ha minacciato di fare al popolo.

Davanti all’infedeltà e alla pervertimento del popolo,  oggetto della sua predilezione, che si è dato ad adorare un vitello, il quale  non è così esigente come lo è il Dio dell’alleanza, il Signore, per la preghiera di Mosè, storna la sua ira, perché la sua misericordia è più grande e più forte: Dio per la sua promessa di salvezza e in ricordo dell’alleanza, accogliendo l’intercessione di Mosè, concede il suo perdono.  Ora che con la nuova ed eterna alleanza in Cristo, mediante il suo sacrificio sulla croce, è stabilita l’universale riconciliazione dell’umanità con il Padre,  dobbiamo aver fiducia nel  suo perdono e nella sua grande misericordia.  Nella Messa, memoriale che  realizza nel tempo della Chiesa, per opera dello Spirito e della potenza di Dio, la salvezza, è il Figlio stesso che intercede presso il Padre per la remissione dei peccati e per essere partecipi delle benedizioni celesti.

Seconda Lettura: 1Tm 1,12-17.

San Paolo, scrivendo a Timòteo e ricordando la sua vita di bestemmiatore, persecutore e violento, ringrazia Cristo Gesù che lo ha reso forte e, nella sua misericordia, lo ha giudicato degno di porlo al suo servizio. Mentre nel suo agire precedente era prevalsa l’ignoranza e  la lontananza dalla fede, ora la grazia  di Cristo ha sovrabbondato in lui insieme alla fede e alla carità. Così egli proclama che tutti debbano accogliere Cristo Gesù, venuto nel mondo per salvare i peccatori, di cui egli si riconosce, per la sua vita passata, di esserne il primo. Avendo, quindi,  dal Signore  ottenuto misericordia per la sua conversione a lui,  Gesù  ha voluto in lui, per primo, dimostrare tutta la sua magnanimità, perché fosse « di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna ». Paolo riconosce che il  ministero di apostolo, affidatogli direttamente da Cristo, è una grazia singolare: proclamare la magnanimità del Signore, speranza di salvezza per tutti gli uomini peccatori. Per questo l’apostolo esorta a rendere onore e gloria al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio nei secoli dei secoli.

Vangelo: Lc 15,1-32.

Gesù, davanti alle mormorazioni di farisei e scribi perché accoglie i peccatori e mangia con loro, racconta la parabola del pastore che, contando le pecore e accorgendosi che ne manca una, lascia al sicuro nell’ovile le novantanove e va in cerca della smarrita e  trovatala, pieno di gioia se la pone sulle spalle,  va a casa, invita amici e vicini, e dice:  « Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che era perduta »;  della donna che, se ha dieci monete e ne perde una, accende  la lampada, spazza la casa e la cerca accuratamente finché non la trova e trovatala chiama amiche e vicine e dice: « Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduta ». Infine Gesù racconta la parabola del  « Figlio prodigo », che,  chiedendo al padre di dargli la sua parte di eredità e  allontanandosi dalla casa paterna, sperpera tutto il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Trovandosi quindi nel bisogno, ridotto in estrema povertà, si mette al servizio di uno degli abitanti della regione che lo manda a pascolare i porci e avrebbe voluto, per la fame, saziarsi delle carrube; ma nessuno gli dava nulla. Ripensando infine all’abbondanza che vi era nella casa del padre e a lui che muore di fame,  decide di alzarsi, ritornare da suo padre e dirgli, pentito, di aver peccato verso il Cielo e davanti a lui, di non essere più degno di essere chiamato suo figlio e di essere trattato come uno dei tanti salariati. Così, alzandosi, decide di tornare da suo padre. Quando questi lo scorge da lontano, vedendolo, ne ha compassione, gli corre incontro, gli si getta al collo e lo bacia. Ai servi ordina di vestirlo con il vestito più bello, mettergli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Ancora: di prendere un vitello grasso, ammazzarlo per mangiare e far festa, perché: « mio figlio – dice -  era morto ed è  tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato ».

Ma il figlio maggiore, saputo il motivo della festa organizzata per il ritorno del fratello, che  è ritornato sano e salvo,  non ascoltando neanche la supplica del padre, non vuole entrare a far festa. Inoltre, dice al padre che,  pur essendo lui sempre in casa, avendolo servito da tanti anni e non averlo mai disobbedito, non gli ha mai dato un capretto per far festa con i suoi amici, mentre invece per il figlio, che ha dilapidato e  divorato le sue sostanze con le prostitute, per lui ha ammazzato il vitello grasso. Il padre gli risponde:« Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato ».

Conclude Gesù le parabole dicendo che « ci sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione …. E che vi è gioia davanti agli angeli  di Dio per un solo peccatore che si converte ».

L’amore di Dio Padre è disposto a perdonare, nella sua misericordia, qualunque peccato che ci allontana da lui, purché si ritorni a lui sinceramente pentiti.

Dio viene incontro all’uomo, che si allontana da lui con il peccato. Con la premura del pastore  cerca, trova e porta la pecorella smarrita all’ovile; si  dà da fare con la preoccupazione e l’ ansia di quella donna che non si dà pace finché non ci riporta al suo amore; che ci aspetta, con la tenerezza invincibile del padre finché, come figli prodighi, non ritorniamo al suo abbraccio e,  ricolmandoci di tutti i suoi beni, ci riporta  alla dignità di figli. Il comportamento del Padre celeste, come anche il perdono che Gesù dà, nel suo potere divino, ai peccatori e che la Chiesa è chiamata ad esercitare per suo comando,  può suscitare, in coloro che si credono, illudendosi, di essere giusti, scandalo. Invece Gesù esorta coloro che vogliono essere veramente giusti e amorevoli verso i fratelli, come lo è Dio, a gioire perché i peccatori si convertono e a chiederci se peccatori non lo siamo proprio noi. E se ci convertiamo avremo accresciuto la gioia in cielo.