4  SETTEMBRE – XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.

GESÚ CI CHIEDE DI SEGUIRLO SENZA COMPROMESSI: MESSAGGIO FELICE MA NON FACILE!

Nella celebrazione della Messa ci accostiamo a due mense: « quella della Parola di Dio » e « quella del pane della vita ». Entrambi questi doni sono lui stesso. E’ Cristo la Parola, la sapienza che è diffusa nella Scritture e soprattutto nel Vangelo, che  ci guida e illumina nella vita quotidiana con il suo insegnamento, per una continua ricerca della volontà di Dio Padre, così come è il Pane della vita, datoci in cibo. In segno di riconoscenza a Dio per questi doni, noi celebriamo nella Messa il nostro ringraziamento e la nostra lode con la preghiera. Come figli lodiamo, adoriamo ed esprimiamo la pietà dei « figli adottivi, resi partecipi della vita divina, destinati alla vita eterna ed eredi  del regno di Dio, pur nella nostra povertà  e piccolezza ». Tutto questo lo condividiamo con i fratelli, con cui siamo uniti dalla stessa sorte, secondo quanto ci ha insegnato Gesù con il comandamento dell’amore fraterno, che compendia tutta la legge e i profeti.

Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, che ti fai conoscere da coloro che ti cercano con cuore sincero, donaci la sapienza del tuo Spirito, perché possiamo diventare veri discepoli di Cristo tuo Figlio, vivendo ogni giorno il Vangelo della Croce ».

Prima Lettura: Sap 9,13-18.

Nessuno, ci dice il Libro della Sapienza, può conoscere il pensiero di Dio, né cosa Egli vuole. Timidi sono i ragionamenti dell’uomo e incerte le sue riflessioni, perché il suo corpo corruttibile e d’argilla appesantisce l’anima e rende la mente piena di preoccupazioni. Chi può conoscere le cose celesti se a stento immaginiamo le terrene e  fatica conosciamo  quelle a portata di mano?. E’ per la sapienza data da Dio all’uomo e avergli inviato dall’alto il suo santo spirito che l’uomo può conoscere il suo volere. Per questo sono stati raddrizzati  i sentieri di chi cammina sulla terra: gli uomini sono stati istruiti su ciò che è gradito al Signore e vengono salvati per mezzo della sapienza.

Seguire la sapienza di Dio, posta da lui nell’uomo, può farlo giungere alla salvezza. La sapienza è un dono di Dio e frutto dello Spirito Santo. Da solo, allora, l’uomo, con le sue sole forze, fa fatica a raggiungere la salvezza,  perché nella sua fragilità non ne è facilmente capace. La venuta del suo Figlio, Sapienza eterna, ha portato agli uomini, nella pienezza dei tempi, la parola e la strada sicura per giungere alla salvezza.

Seconda Lettura: Fm 9,10.12-17.

Paolo,  scrive a Filèmone, che  ha messo a disposizione dell’apostolo in catene lo schiavo  Onèsimo, e lo esorta ed  invita a trattarlo bene, perché  l’apostolo lo ha generato per il battesimo come figlio ed è divenuto  a lui caro. Pur desiderando tenerlo ancora con sé per assisterlo,  rimandandolo a Filèmone  perché rimanga per sempre con lui, gli scrive: « Non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario». Ancora: lo esorta ad averlo non più come schiavo, ma come fratello carissimo: « in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore ». E se considera Paolo amico, accolga Onèsimo come se accogliesse lui. Discrezione e tenerezza caratterizzano le parole di Paolo nel ringraziare Filèmone per aver messo a sua disposizione Onèsimo e nell’invitarlo a considerare questi, divenuto ormai cristiano da lui generato per il battesimo, come fratello nel Signore. La fede e la grazia, che ci rigenerano come figli di Dio, in Cristo Gesù, sono a fondamento della libertà e della fraternità cristiane, di cui sono insigniti i cristiani, che quindi agiscono con la libertà, la spontaneità e la validità derivanti dall’amore e non dalla costrizione.

Vangelo: 14,25-33.

Gesù, alla folla numerosa che lo segue, dice: « Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita non può essere mio discepolo » e prosegue ancora: « Colui che non porta la propria croce e non viene dopo a me, non può essere mio discepolo ». Parole forti e impegnative quelle del Signore, che non vogliono dire che non si debbano amare coloro che sono vicini a noi negli affetti, ma che questi affetti non devono precedere l’amore per lui e il seguirlo da discepoli. Attraverso due brevi parabole, della torre da costruire o del re che deve andare in guerra contro un altro re, Gesù insegna che bisogna ponderare le possibilità che ognuno ha, prima di intraprendere un’impresa, se può portarla compimento, per evitare di restare a metà dell’opera e di essere deriso, o di mandare un’ambasceria al nemico per chiedere la pace, se le sue forze militari sono inferiori e non rischiare la sconfitta. E conclude:  « Così  chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi avere,  non può essere mio discepolo ». Per seguire il Signore sono necessarie determinazione, coerenza, ponderatezza e, in aggiunta, si richiede distacco da tutto, avendo solo Cristo come l’assoluto, a cui non anteporre nessun altro. Ogni altro legame, che non può essere trascurato, deve essere vissuto in lui. Seguire Cristo significa condividere il suo stesso destino, morto sulla croce: seguirlo portando ognuno dietro a lui la propria croce, che non manca a nessuno e, partecipando alle sue sofferenze,  completare ognuno, nel proprio corpo, ciò che manca ai suoi patimenti a favore della Chiesa, come scrive Paolo. Alimentare il coraggio  e seguirlo con la pazienza dei figli di Dio possiamo farlo vivendo il sacramento della Croce, l’Eucaristia.