7  AGOSTO – XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.

La  Domenica i figli di Dio rinnovano la gioia di ritrovarsi insieme e riscoprono la grazia e la gioia di invocare Dio, “Abba, Padre” e sentirsi, in forza del dono dello Spirito ricevuto, “figli adottivi”. In virtù di questa paternità e figliolanza riceviamo la fede e la forza per avvertirlo presente in tutti gli avvenimenti della nostra vita e della storia, anche quando siano chiamati ad affrontare con serenità le prove della vita, con tutte le difficoltà a volte ad essa connesse. Siamo chiamati ad affrontare le situazioni difficili, quali malattie, avversità varie, sofferenze, con la fiducia e la certezza che il Signore ci è vicino e che, come dice a san Paolo, davanti alle difficoltà da affrontare per l’annunzio del Vangelo: “Ti basta la mia grazia”.

Il Signore accompagna la sua Chiesa, sua Sposa, nel suo pellegrinare terreno, in attesa della contemplazione del volto dello Sposo nella Gerusalemme celeste. Quando ci raduniamo per celebrare i misteri della salvezza nel giorno del Signore accresciamo il desiderio  della patria celeste e non per evadere dai nostri impegni quotidiani o perdere il  nostro tempo, che crediamo prezioso per le cose passeggere ed effimere, ma che dobbiamo, pur contro  nostra voglia, lasciare. Spesso dimentichiamo che dobbiamo vivere da figli di Dio e avere sempre fissi i nostri sguardi ai beni celesti verso cui siamo incamminati.

Nella Colletta della Messa di oggi preghiamo dicendo: « O Dio  fedele alle tue promesse, che ti sei rivelato al nostro padre Abramo, donaci di vivere come pellegrini in questo mondo, affinché, vigilanti nell’attesa, possiamo accogliere  il tuo Figlio nell'ora della sua venuta ».

Prima Lettura: Sap 18,6-9.

Il Libro della Sapienza, oggi, ci dice che gli eventi della liberazione furono preannunziati ai padri, i quali, avendo con coraggio prestato fedeltà al giuramenti del Signore e atteso la salvezza dei giusti, sono stati glorificati e chiamati dal Signore. «I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero , concordi, questa legge divina: di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacre lodi dei padri ».

Meditare sulle opere di Dio, i suoi interventi di grazia, la liberazione pasquale, gesti con cui Dio guida il suo popolo, è per i giusti un rinnovare la fedeltà al Signore, che premia i giusti e punisce chi si oppone al suo disegno. La speranza dei giusti è fondata sulla fedeltà di Dio, che non abbandona. Partecipare, allora, per i cristiani, lungo il loro pellegrinare terreno, agli eventi pasquali della salvezza operata da Cristo, non solo con la memoria ma rendendo grazie e celebrando, immergendovisi,  il suo mistero di morte e di risurrezione, significa riprendere coraggio e rinnovare la fede, rafforzarsi nell’impegno di testimoniare il Signore, come avvenne con i discepoli di Emmaus: Cristo Eucaristia ci guida lungo questo glorioso pellegrinare.

Seconda Lettura: Eb 11,1-2.8-19.

La fede dei Padri, ci dice la Lettera agli Ebrei, « è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede ». Per questa fede essi sono stati approvati da Dio. Così Abramo per fede, chiamato da Dio, partì per ricevere da lui  la  terra promessa in cui soggiornò, sotto la tenda, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Ancora: Abramo aspettava la città dalle salde fondamenta, costruita da Dio stesso e Sara, anche lei per fede, pur essendo in tarda età, ebbe la possibilità di divenire madre, avendo ritenuto degno  di fede colui che glielo aveva promesso. Così, dal solo Abramo, pur segnato anche lui dalla morte, nacque   una numerosa discendenza più numerosa delle stelle del cielo. Tutti questi padri nella fede  morirono senza aver ottenuto i doni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano pur dichiarandosi stranieri e pellegrini sulla terra. Sono quindi alla ricerca di una patria, non quella lasciata in cui potevano ritornare, ma aspirano ad una patria migliore, la celeste. .

La fede contrassegna gli amici di Dio e, per essa, si è approvati da lui che rende giusti ai suoi occhi. La fede comporta l’obbedienza al Signore. Essa fa sperare in Colui che è fedele, attendendo sulla sua infallibile parola ciò che Egli promette. La fede ci fa camminare, desiderare, ricercare la patria celeste come Abramo che fu messo alla prova, avendogli Dio chiesto di sacrificargli il figlio, poiché era convinto che « Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo ». Il credente è colui che fa l’esperienza della morte e della vita e si affida a Dio, il quale non mente  e dà quello che promette, come è stato per suo Figlio, sacrificato per noi ma divenuto segno di risurrezione  e  primizia di vita eterna per tutti. Spesso però siamo tentati  di diffidare, di non credere, di trattenerci nelle buone intenzioni senza abbandonarci fino in fondo al volere di Dio.

Vangelo: Lc 12,32-48.

Gesù ci esorta a vivere distaccati dalle cose terrene e a preparare un tesoro sicuro nei cieli, dove i ladri non arrivano né il tarlo consuma, ma a cui dobbiamo legare il nostro cuore. Per questo il Signore chiede di essere come servi svegli e vigilanti,  pronti ad accoglierlo, quando egli viene a chiamarci, in qualunque momento della notte o del giorno o prima dell’alba. Se  ci troverà così saremo beati e ci introdurrà con sé a vivere con lui nel suo regno. E come un padrone non si lascerebbe scassinare la casa se sapesse a quale ora il ladro lo farebbe, così dice a tutti Gesù: « Tenetevi pronti perché nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo ».

Alla domanda di Pietro, che chiede a Gesù se questo ammonimento lo ha detto per loro o per tutti, il Signore risponde che  un servo  sarà da ritenersi beato se come amministratore, fidato e prudente,  messo dal  padrone a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a suo tempo,  sarà trovato da lui, che arriva all’improvviso, ad agire secondo la volontà del padrone, perché lo porrebbe a capo di tutti i suoi averi.

Se  invece quel servo, illudendosi che il padrone tarda a venire, trattasse male i servi e le serve,  mangiasse,  bevesse e si ubriacasse, il padrone, arrivando in un giorno o in un’ora in cui non se l’ aspetta, lo punirebbe  severamente, infliggendogli la sorte che meritano gli infedeli.

Gesù, allora, conclude dicendo: « Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli  di percosse, ne riceverà poche ». perché « A chiunque fu dato molto, molto sarà richiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più ».

I cristiani, anche se pochi, non devono sentirsi trascurati, perché ai piccoli, dice Gesù,  sono rivelati i misteri del Regno preparato per loro dal Padre. Esso appartiene ai poveri e agli umili e per essere discepoli di Gesù bisogna distaccarsi dai beni terreni e porre il proprio cuore a preparare un tesoro celeste che nessuno può rubare e a cui deve legare il cuore: Cristo Gesù.

Allora il cristiano deve essere vigile  e pronto, amministrare bene ciò che il Signore ci dona e non farsi prendere dal sonno ed essere indisposti: allora sarà Gesù stesso a invitarlo al banchetto celeste e a servirlo. Occorre essere fedeli e saggi. Se questo ammonimento vale per tutti, a maggior ragione vale per chi nella Chiesa assolve ad una precisa responsabilità che il Signore chiede di attuare.