31  LUGLIO – XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.

Nella celebrazione della Eucaristia non basta offrire al Padre il sacrificio della croce, Gesù, vittima gradita a Dio, è necessario che anche  faccia parte di questa offerta la nostra vita, che viene trasformata insieme come offerta perenne. I segni del sacrificio del Cristo devono diventare anche i nostri segni, perché ogni aspetto della vita porti le impronte dell’amore di Cristo. Anche il lavoro e le attività quotidiane, se svolti con spirito di carità e di fraternità verso i poveri e i sofferenti, come ha fatto Cristo, esprimeranno il nostro servizio verso tutti gli uomini. Così ci rivolgiamo al Padre nella preghiera iniziale: «O Dio, fonte della carità, che in Cristo tuo Figlio ci chiami a condividere la gioia del regno, donaci di lavorare con impegno in questo mondo, affinché liberi da ogni cupidigia, ricerchiamo il vero bene della sapienza ».

Prima Lettura: Qo 1,2.2,21-23.

Nella lettura di oggi, dal libro di Qoèlet, siamo invitati a riflettere sulla vanità delle azioni che l’uomo compie: tutto, afferma Qoèlet, è la vanità: è un gran male. E’ vanità, se  il lavoro che uno ha fatto con sapienza, scienza e successo, dovrà poi  essere lasciato tutto ad un altro, che non vi ha faticato. Quale profitto viene all’uomo dalle sue fatiche e preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna? I suoi giorni sono dolori e fastidi e neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo  è vanità. Poiché le realtà terrene sono inconsistenti e caduche  e le attività dell’uomo sono intrise  di inquietudine e affanno, perché l’uomo è tentato di appoggiarsi alle creature, di affannarsi vanamente, se tutto dovrà essere lasciato? Con ciò non bisogna pensare di darsi alla pigrizia, all’accidia o al pessimismo e allo scetticismo, ma bisogna pensare che solo affidandosi a  Colui che non passa, che resiste alle mutevolezze delle vicende terrene, noi potremo pensare di non legare il cuore ad esse e ricercare  invece tesori che non passano, che nessuno può rubare, né essere consumate dalle ruggine o dalla tignola, come dice Gesù.

Seconda Lettura: Col 3,1-5.9-11.

San Paolo scrivendo ai Colossesi, ci esorta, se siamo risorti con  Cristo, ad una nuova mentalità, a non pensare alle cose della terra, ma a quelle del cielo, di lassù, dove è Cristo, assiso alla destra di Dio. Poiché come  discepoli del Signore siamo morti alle « opere del mondo e della carne » e la nostra  vita è nascosta con Cristo in Dio, allora crediamo che quando Cristo, nostra vita, si sarà manifestato, anche noi appariremo con lui nella gloria. Esorta ancora a far morire in noi  ciò che appartiene alla terra: impurità, passioni, desideri cattivi e ogni forma di cupidigia, per cui idolatriamo le realtà terrene. Ancora. Essendoci svestiti dell’uomo vecchio, con le sue azioni  ed essendoci rivestiti dell’uomo nuovo, dobbiamo rinnovarci, con piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato. Così in Cristo è scomparso ogni distinzione di razza, nazionalità, di circoncisione o in circoncisione, di condizione sociale, e Lui è tutto in tutti.

Attraverso il battesimo, dunque, c’è in noi il germe della risurrezione, anche se lo sarà pienamente nella eternità di Dio. E’ già una realtà nascosta che attende di essere manifestata nella gloria. Il nostro sguardo intanto deve essere rivolto ad un orizzonte che va oltre questa terra: cioè la nostra condotta  deve essere modellata avendo come principio Cristo risorto e nella mortificazione di tutto quello  che è  « terreno », in tutti quegli aspetti di peccato e che costituiscono il comportamento tipico dell’« uomo vecchio », che è dentro di noi e  di cui il credente in Cristo si è spogliato, perché in lui ormai opera l’uomo risorto con Cristo. Accogliere questa mentalità nel battesimo, riscoprirla giorno per giorno, assaporarne il gusto spirituale, fa passare le realtà terrene in secondo ordine. La vita cristiana è allora attesa e anticipo della vita eterna.

Vangelo: Lc 12,13-21.

Gesù, in questo brano del Vangelo, partendo da una domanda che un tale della folla gli rivolge, chiamandolo a dirimere una questione di eredità che egli ha con il fratello, Gesù gli risponde: « O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi? ». E continua, rivolgendosi alla folla, a fare attenzione e a tenersi lontano da ogni cupidigia, perché la propria vita non dipende dall’abbondanza da ciò che si possiede. Racconta quindi la parabola dell’uomo ricco, i cui terreni avevano dato un raccolto abbondante, per cui pensa di demolire i magazzini esistenti e costruirne altri di più grandi per conservare tutto il grano e i beni. Mentre pensa, però, in se stesso:« Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti! », Dio gli dice: « Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? ». Così conclude Gesù è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce davanti a Dio.

L’avidità, la cupidigia, il desiderio smodato a possedere sempre di più e chiudere il proprio cuore egoisticamente, senza aprirsi alla solidarietà e con i fratelli che sono nel bisogno, significa non usare i beni, che la provvidenza di Dio ci dona, secondo l’esempio di Cristo che si è fatto uno di noi, povero, per arricchirci della sua divinità  e dei beni eterni.

Gesù, con la beatitudine proclamata: « Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli », vuole indicarci una via e una mentalità, che ci faccia vivere il rapporto con le realtà terrene, le ricchezze, non come fine del nostro quotidiano affanno, ma come mezzi che ci aiutino a realizzare, per tutti quanti gli uomini, condizioni che consentano di vivere dignitosamente la quotidianità della vita, facendo sì che si possa, al di là di questa esistenza terrena, accumulare i beni spirituali ed eterni che sono quelli che ci ritroveremo nella vita in Dio. E’ illusorio e stolto, quindi, affidarsi alle ricchezze, che per la loro instabilità  e insicurezza, hanno una radicale vanità. Si può sembrare ricchi materialmente, ed essere nella miseria estrema, mentre invece chi, a giudizio del  mondo, sembra essere povero, possiede la vera ricchezza: la grazia e l’amore di Dio, la santità, le opere di carità, ricchezze che resistono all’usura del tempo e non sono soggette alla volubilità e alla inconsistenza delle cose del mondo.