13 MARZO – II  DOMENICA  DI  QUARESIMA

« È BELLO PER NOI ESSERE QUI »

Nella trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor il Padre manifesta il suo Fi-glio, l’amato, e ci chiede di aderire a lui e ascoltarlo. La nostra vita, allora, deve essere programmata sulla sua parola. Egli, apparendo agli occhi degli apostoli con Mosè ed Elia, conclude l’Antico Testamento con la sua legge e la profezia e, iniziando una nuova realtà di vita, ci chiede di assumere nella nostra vita il mistero della croce sulla quale egli si è consegnato. Così  noi possiamo avere la remissione dei nostri peccati e seguirlo, portando anche noi la nostra croce dietro a lui, se vogliamo essere suoi discepoli. La sequela di Gesù è un cammino difficile che dobbiamo compiere nella fede e nella speranza, intravvedendo nella trasfigurazione di Gesù, che oggi la liturgia ci fa contemplare, un riverbero della gloria del Risorto, a cui devono pervenire tutti i discepoli  che seguiranno il Signore sulla via della croce.

Nella Colletta iniziale dell’Eucaristia preghiamo dicendo: « O Padre, che hai fatto risplendere la tua gloria sul volto del tuo Figlio in preghiera, donaci un cuore docile alla sua parola perché possiamo seguirlo sulla via della croce ed essere trasfigurati a immagine del suo corpo glorioso ».

Prima Lettura: Gn15,5-12.17-18.

Ad Abramo Dio promette una lunga e numerosa  discendenza dopo avergli fatto guardare il cielo e contare le stelle, se ci fosse riuscito.

« Abramo credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia ». Dio, così, non per meriti di Abramo, stringe con lui un’alleanza e gli promette anche di dargli una lunga discendenza e  il possesso della terra dove lo ha condotto. Alla richiesta di Abramo di sapere se ne avrà il possesso, Dio gli chiede di offrire un sacrificio di una giovenca, di una capra, un ariete,  una tortora e una colomba, animali che egli divide in due parti collocandone ogni metà l’una di fronte all’altra, eccettuando di dividere gli uccelli. Poiché su questi cadaveri si avventano gli uccelli rapaci, Abramo li scaccia. Ma al tramontar del sole un profondo torpore prende Abramo e un terrore e un’oscurità grande lo assale. Quando, tramontato il sole e si fa buio, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi e il Signore  «In quel giorno conclude quest’alleanza con Abram: “ Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate ».

Abramo aderendo al Signore  è giustificato davanti a lui e, ponendo  la vita alle sue  dipendenze, entra in un rapporto di solidarietà e di comunione con Dio. Quello che Abramo fa con gli animali, il terrore che lo assale, il torpore da cui è preso, da una parte, esprimono il misterioso linguaggio del sacrificio e il fuoco che brucia le vittime, dall ’altra, esprime la presenza di Dio che sancisce l’alleanza e la comunione con il patriarca, che si impegna ad essere fedele al Signore fino alla morte. Con Cristo, Dio, non più con vittime sacrificali ma con il suo stesso Figlio, offerto e consumato nel sacrificio della croce, sancirà una nuova, eterna e indistruttibile alleanza con l’umanità. La salvezza e il possesso del regno dei cieli, terra promessa da Dio, dipendono sempre dalla fede e dall'affida- mento, nella speranza, al Padre celeste.

Seconda Lettura: Fil 3,17-4,1.

San Paolo esorta i Filippesi e, ripetutamente, li scongiura « con le lacrime agli occhi », ad imitare lui e coloro che si comportano secondo il suo esempio e non quelli che si comportano da nemici della croce di Cristo. Incorrono nella perdizione coloro che si vantano e non si vergognano di aver fatto del loro ventre il proprio dio o pensano solo alle cose terrene. Quelli che hanno accolto Cristo sono diventati cittadini del cielo e aspettano che dal cielo venga Cristo, Signore e Salvatore, quando  « trasfigurerà il nostro misero corpo per con- formarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose ». Infine li esorta, loro che sono sua « gioia e corona », a rimanere saldi nel Signore Gesù.  Chi sono, secondo Paolo, i nemici della croce di Cristo? Sono coloro che passano l’esistenza dediti ad una « vita godereccia », materialistica, alla ricerca dei  piaceri allegri, anche se peccaminosi. I cristiani, pur vivendo in questo mondo, devono pensare alla patria celeste, di cui sono divenuti cittadini e  in cui li attende  Cristo risorto nella gloria, quando,  alla fine dei tempi, verrà per trasfigurarci e renderci come lui, anche nel nostro corpo mortale. Le fragilità, le debolezze, le pesantezze della materialità del nostro corpo e del nostro essere ancora mortale possono facilmente farci adagiare nella concupiscenza che ci fa inclini al male. Se pensiamo che già, fin da ora, c’è in noi il germe della risurrezione, depositatovi dallo Spirito del Signore, con l’Eucaristia e i sacramenti, allora, dobbiamo vivere sempre più dediti alla vita divina, in cui dobbiamo crescere.

Vangelo: Lc 9,28-36.

Luca, in questo brano odierno, ci fa contemplare la visione della trasfigurazione avvenuta sul Tabor, dopo l’annunzio fatto da Gesù sul viaggio verso Gerusalemme e la sua imminente passione e morte ad opera degli scribi e dei farisei. Salito con Pietro, Giacomo e Giovanni, sul monte Tabor, mentre Gesù prega, il suo volto cambia d’aspetto, la sua veste diviene candida e sfolgorante e  appaiono con  lui nella gloria, Mosè ed Elia, che conversano con lui sull’ esito che sta per compiersi a Gerusalemme. Pietro e gli altri due sono oppressi dal sonno, ma svegliandosi vedono la sua gloria e i due che stanno con lui. Nel momento in cui  Gesù e i due si stanno separando, Pietro, estasiato, dice a Gesù: « Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia ». Mentre parla così una nube li copre e la paura li prende. Ma dalla nube una voce proclama: « Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo! ». Cessata la voce, Gesù rimane solo. Scendendo dal monte, Gesù intima loro di non riferire niente a nessuno di ciò che hanno visto.

Gesù, con la sua trasfigurazione, rivela il mistero della sua identità e della sua gloria, dell’intimità che egli vive con il Padre e in cui Dio lo manifesta come Figlio, l’eletto, che gli uomini devono ascoltare: il Figlio è Parola del Padre, rivelazione visibile del Padre, inviato per realizzare  il progetto di salvezza e redenzione dell’umanità. I segni del volto luminoso e la veste candida simboleggiano questa realtà divina, che non lo sottrae alla passione e alla morte. Con Mosè ed Elia, rappresentanti della legge, il primo, e della profezia, il secondo,  Gesù discorre del suo imminente esodo che avverrà a Gerusalemme. Se vogliano contemplare Gesù nella visione del cielo, qui sulla terra,  nella realtà della sua passione e morte, Gesù, come Figlio, deve essere ascoltato e imitato.