30 GENNAIO–IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. ANNO C

ACCOGLIENZA O RIFIUTO DI GESÙ COME IL CRISTO E FIGLIO DI DIO.

Nell’incontro che i cristiani, come popolo di Dio, viviamo la Domenica, accettando la salvezza che Dio Padre ha disposto nel suo Figlio, esprimiamo la nostra adesione a Lui e l’impegno a portare con coraggio l’annunzio missionario del Vangelo al mondo. Nella adorazione del Signore, nella professione della  nostra fede, vissute con l’intimità del nostro cuore e con tutta la nostra anima e con l’Eucaristia a cui ci accostiamo, riceviamo la forza e il coraggio di una testimonianza che realizza con parole e opere l’annunzio della salvezza.

Nella preghiera della colletta preghiamo dicendo: « Signore Dio nostro, che hai ispirato i profeti perché annunciassero senza timore la tua parola di giustizia, fa’ che i credenti in te non arrossiscano del Vangelo, ma lo annuncino con coraggio senza temere l’inimicizia del mondo ».

Prima Lettura: Ger 1,4-5.17-19.

Il profeta Geremia, nel brano di oggi, per la parola che il Signore gli rivolge, ci da testimonianza della missione profetica,  a cui il Signore lo ha chiamato e stabilito, avendolo conosciuto prima che venisse formato nel grembo materno e consacrato prima di venire alla luce. La missione profetica lo im-pegna ad adempiere e, cinto con la veste ai fianchi, simbolo della forza che riceve  dal Signore, a dire a coloro a cui è mandato tutto quello che il Signore gli pone sulle labbra.

Nel profeta consacrato e inviato vi è la forza di Dio, per cui , anche dinanzi alle difficoltà, egli non può deprimersi o temere. La certezza che Dio l’accompagna lo sostiene nella sua missione. Anche gli apostoli e coloro che sono chiamati a essere messaggeri di Dio e partecipano del ministero di Cristo, sostenuti dalla forza che viene da Dio, devono adempiere alla missione che Egli affida loro. Il Signore se invia ad adempiere una missione, dà anche l’energia per portarla a compimento. I santi sono riusciti a compiere opere da farli sembrare folli agli occhi umani.

Secondo Lettura: 1 Cor 12,31-13,13.

San Paolo ai Corinzi, ai quali espone quali carismi e doni possiamo ricevere da Dio, ( parlare le lingue, avere il dono della profezia, conoscere i misteri e tutta la conoscenza, possedere tanta fede da trasportare le montagne, dare in cibo tutti i propri beni o consegnare il proprio corpo per essere bruciato, ecc.) dice che tutti questi carismi non valgono nulla se non si ha la carità. Questa è la via più sublime che bisogna percorrere se si vuole essere fedeli al Signore.

Passa poi ad enumerare le caratteriste della carità, che deve essere magnanime, non invidiosa, che non si vanta né si gonfia d’orgoglio, è rispettosa, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto,  non gode delle ingiustizie, ma si rallegra della verità. E mentre tutti i carismi, insieme con la fede e la speranza, non ci saranno più nella vita futura del cielo,  solo la carità rimarrà quando verrà ciò che è perfetto. Paragona poi questa vita terrena come quando si è bambini, quando, cioè,  si ragiona da bambini. Divenuti adulti, tutto ciò che è da bambini viene meno, perché quando saremo adulti, cioè perfetti in Dio, lo vedremo faccia a faccia, non più in modo confuso e come in uno specchio. Allora conosceremo Dio perfettamente come noi siamo conosciuti perfettamente.

Conclude dicendo che ora « rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità: ma la più grande di tutte è la carità ». Quando manca la carità tutto quello che si fa, non ha alcun valore, anche se sono cose strepitose e mirabolanti. La fede, che trasporta le montagne, la condivisione dei beni distribuiti ai poveri, pur anche il martirio che ci fa sperare l’ottenimento delle promesse, ecc. tutto vale poca cosa senza la carità, che si manifesta come magnanimità, gratuità, sopportazione,  misericordia, umiltà, fiducia, mitezza, ecc.

Vangelo: Lc 4,21-30.

Nella sinagoga di Nazaret, dopo la lettura della profezia di Isaia sul Messia fatta da Gesù, conclusasi con le parole : « Oggi si è compiuta  questa Scrittura che voi avete ascoltato », Egli aveva meravigliato i suoi concittadini « per le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca ». Ma poiché essi, conoscendolo  come il figlio di Giuseppe,  probabilmente gli hanno chiesto di compiere a Nazaret ciò che aveva fatto altrove, Gesù aggiunse: « In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria ». Citando, inoltre, l’esempio della straniera vedova di Sarepta, scelta da Dio tra le vedove di Israele per aiutare Elia, e di Naaman il Siro, guarito dalla lebbra per l’intervento del profeta Eliseo, rispetto ai molti lebbrosi presenti in Israele, « tutti - risentendosi per quelle parole - nella sinagoga si riempirono di sdegno, si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù ». Ma Gesù passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Per l’incredulità e lo scetticismo degli abitanti di Nazaret Gesù non compie nessun miracolo: in essi manca la fede e, credendo di sapere chi è Gesù, come il figlio di Giuseppe, chiudono il loro cuore ad accoglierlo come l’inviato di Dio, cioè come il Cristo. La reazione violenta avuta verso di lui rappresenta il rifiuto di Israele e di tutta l’umanità ad accogliere la prospettiva universale della salvezza che egli è venuto a realizzare: è difficile per la logica umana accettare che un Dio possa essersi fatto uomo, nella semplicità e povertà di Betlemme e nell’ignominia della croce, per essere a accolto come Salvatore. Bisogna accogliere il mistero del Figlio di Dio attraverso l’umanità di Cristo: Egli è qualcosa di più di un grande uomo, di un rappresentante esemplare dell’umanità, a cui è possibile anche opporgli un rifiuto. E, forse, lì dove non è stato ancora annunziato Cristo e la sua opera salvifica, Egli  troverebbe un’accoglienza più gioiosa e più coerente. La sua presenza, come rileva il vecchio Simeone: « Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, … affinché siano svelati i pensieri di molti cuori », esprime una presenza che mette in crisi e pone l’uomo nella scelta di accoglierlo o rifiutarlo, come quelli di Nazareth nell'oggi della nostra vita.