26  SETTEMBRE – XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.

IMITIAMO LA GENEROSITÀ DI DIO CHE DONA TUTTO.

La domenica siamo invitati da Dio, riuniti nel nome della Santa Trinità, a  prendere parte al memoriale della passione del suo Figlio. Nella sua misericordia Dio  manifesta la sua onnipotenza donandoci il suo perdono. Pur essendo noi peccatori, il Padre celeste ci accoglie e ci fa partecipi, come commensali, del banchetto eucaristico, in cui dona il suo Figlio, come cibo e bevanda di vita. Attorno a Cristo, assisi alla stessa mensa, non possiamo più ammettere ingiustizie, separazioni, discriminazioni, disprezzo per un qualunque fratello. Non possiamo sentirci tranquilli restando nel nostro egoismo e non condividendo la provvidenza di Dio con chi è nel bisogno. L’Eucaristia ci fa aprire verso i beni dell’eredità eterna che godremo con Cristo nel cielo, ma che già pregustiamo in questo convito domenicale. Da questa sorgente deriva per la Chiesa ogni benedizione.

Nella preghiera iniziale della Colletta diciamo: « O Dio, che in ogni tempo hai parlato al tuo popolo per bocca dei profeti, effondi il tuo Spirito, , perché ogni uomo sia ricco del tuo dono, e a tutti i popoli della terra siano annunziate le meraviglie del tuo amore ».

Prima Lettura:  Nm 11,25-29.

Il Signore dona il suo spirito ai settanta anziani di Israele che profetizzano nel suo nome. Anche su Eldad e Medad che sono tra gli iscritti, ma non sono andati alla tenda, viene effuso lo spirito, che li fa profetizzare nell’ accampamento. A Mosè, che è informato da un giovane del fatto, Giosuè chiede di impedire ai due di continuare a profetizzare. Ma Mosè gli dice: « Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito ». Dio dispensa i suoi doni ad ognuno e non bisogna essere gelosi del doni degli altri, perché non siamo noi a stabilire e fissare il tempo, lo spazio e quali doni di grazia Dio debba dare ad ognuno.

Al contrario, quando vediamo un dono di Dio nel nostro fratello dobbiamo rallegrarcene e non essere invidiosi, perché in questo caso ricercheremmo noi stessi e non la gloria di Dio, il servizio al prossimo e il bene della Chiesa. Come Mosè, anche noi dobbiamo  augurarci che Dio effonda il suo spirito di profezia su ogni uomo e pregare perché nessuno lo rifiuti o lo trascuri e invece si lasci trasportare dalla sua azione.

Seconda Lettura: Gc 5,1-6.

Anche nel nostro tempo, come allora,  le parole forti e sferzanti della seconda lettura di oggi, tratta dalla Lettera di San Giacomo, interpellano, noi credenti e ogni uomo, a ripensare il rapporto che bisogna avere con le ricchezze che, se usate con egoismo e superbia, accumulate con latrocinio e ingiustizie, con sfruttamento e oppressione, rendono marcio il cuore.

L’oro, l’argento, gli abiti di lusso, i tesori accumulati per gli ultimi giorni, ecc. sono consumati dalle tarme e dalla ruggine, che si alzeranno ad accusare coloro che li avranno usati con atteggiamento egoistico e divoreranno le loro carni. E ancora: « Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente. Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage ». Come non ripensare in queste invettive la Parabola del ricco epulone?

Il linguaggio dell’apostolo non è raffinato, ammorbidito, soft, è rude e duro. Forte dell’insegnamento di Gesù, Giacomo ci ricorda che le ricchezze egoisticamente possedute si dissolveranno, non potremo portarle con noi dopo la nostra morte e saranno motivo di condanna nel giorno del giudizio.

Con ciò non si devono demonizzare  i beni di questo mondo, che  servono perché ogni uomo possa condurre una vita dignitosa e di cui nessuno deve essere privato, purché procurati con onestà, con lavoro e impegno diligente, usati con rispetto dei diritti degli altri, con generosa liberalità ed escludendo ogni forma di spreco. Le ricchezze possono insidiare il nostro cuore e,  con attenzione, dobbiamo evitare che esse lo rendano schiavo, arido di sentimenti di fraternità e condivisione.

Vangelo: Mc 9,38-43.45.47-48.

Gesù agli apostoli, che volevano impedire ad uno di scacciare i demoni perché non li seguiva e non era uno di loro, dice: « Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa ». Prosegue dicendo che non bisogna scandalizzare nessuno, fosse anche il più piccolo di coloro che credono in lui. E’ meglio amputarsi di una mano, di un piede, privarsi di un occhio, se questi organi sono motivo di scandalo per i fratelli, che andare nella Geenna e nel suo fuoco inestinguibile con il nostro corpo integro e privarsi di entrare nel regno di Dio.

Gesù esorta a non lasciarsi prendere  dell’invidia, dall’ impulsività, dalla gelosia, ma avere uno spirito di longanimità, di accoglienza di coloro che hanno bisogno e vengono nel suo nome. Ammonisce severamente a non scandalizzare nessuno e a trattare con onore e rispetto i piccoli, gli umili, aiutandoli a crescere nella fede con il buon esempio, avendo per se stessi la capacità di sorvegliare sui propri gesti e sentimenti e vivere le scelte decisive della vita  con la fedeltà al Vangelo.