8 AGOSTO – XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.(Anno B)

La  Domenica i figli di Dio rinnovano la gioia di ritrovarsi insieme e riscoprono la grazia e la gioia di invocare Dio, “Abba, Padre” e sentirsi, in forza del dono dello Spirito ricevuto, “figli adottivi”. In virtù di questa paternità e figliolanza riceviamo la fede e la forza per avvertirlo presente in tutti gli avvenimenti della nostra vita e della storia, anche quando siano chiamati ad affrontare con serenità le prove della vita, con tutte le difficoltà a volte ad essa connesse. Siamo chiamati ad affrontare le situazioni difficili, quali malattie, avversità varie, sofferenze, con la fiducia e la certezza che il Signore ci è vicino e che, come dice a san Paolo, davanti alle difficoltà da affrontare per l’annunzio del Vangelo: “Ti basta la mia grazia”.

Il Signore accompagna la sua Chiesa, sua Sposa, nel suo pellegrinare terreno, in attesa della contemplazione del volto dello Sposo nella Gerusalemme celeste. Quando ci raduniamo per celebrare i misteri della salvezza nel giorno del Signore accresciamo il desiderio  della patria celeste e non per evadere dai nostri impegni quotidiani o perdere il  nostro tempo, che crediamo prezioso per le cose passeggere ed effimere, che dobbiamo pur contro  nostra voglia lasciare. Spesso dimentichiamo che dobbiamo vivere da figli di Dio e avere sempre fissi i nostri sguardi ai beni celesti verso cui siamo incamminati.

Nella preghiera iniziale di questa domenica diciamo:« O Padre, che guidi  la tua Chiesa pellegrina nel mondo, sostienila con la forza del cibo che non perisce, perché,  perseverando nella fede e nell’amore,  giunga a contemplare la luce del tuo volto ».

Prima Lettura: 1 Re 19,4-8.

Il profeta Elia, fuggendo perché perseguitato, dopo una giornata di cammino nel deserto, stanco e desideroso di morire, dice al Signore: « Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri ». Si addormenta. Ma l’angelo del Signore, toccandolo, gli dice: « Alzati, mangia». Vedendo vicino « alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua, mangiò e bevve », riaddormentandosi. Di nuovo l’angelo lo invitò a mangiare e a bere perché aveva ancora da fare un lungo cammino. « Con la forza di quel cibo il profeta camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb ». Si sentiva sconfitto ed esaurito nelle sue forza il profeta nella lotta ingaggiata contro l’idolatria del re d’Israele e dei suoi profeti e l’infedeltà del suo popolo. Ma Dio non vuole che il suo profeta rassegni le sue dimissioni, e pur nel deserto interviene a dargli vigore. E come aveva nell’esodo dato la manna, le quaglie e l’acqua al suo popolo per sfamarlo, poiché Dio non abbandona nessuno, specie chi lo onora e lo serve,  anche se abbiamo l’impressione di essere lasciati soli, ora al profeta egli provvede pane e acqua.

A parte il pane quotidiano che chiediamo al Signore per tutti e che con la condivisione generosa dei beni della terra la Provvidenza di Dio non verrebbe meno, per i credenti, oggi, il nostro pane quotidiano, nel deserto dell’esistenza, è anche Gesù Cristo nell’Eucaristia, e la nostra acqua è il dono dello Spirito. Con questi alimenti possiamo affrontare il cammino, anche se irto di difficoltà, fino a giungere al monte di Dio che, a conclusione della vita, è arrivare a contemplare il volto di Dio faccia a faccia nell’ eternità di  una esistenza da lui rinnovata, ad immagine del suo Figlio risorto e glorioso.

Seconda Lettura: Ef 4,30-5.2.

San Paolo esorta gli Efesini e anche noi a non rattristare lo Spirito Santo con il quale si è stati segnati per il giorno della redenzione e a vivere allontanando ogni asprezza, sdegno, ira, maldicenza, grida e ogni forma di malignità dal comportamento. Seguendo invece lo Spirito avere sentimenti di benevolenza  vicendevole, di misericordia, di perdono reciproco, imitando Dio che in Cristo ci ha perdonato . Ancora. Propone  di essere imitatori di Dio e a camminare nella carità, imitando Cristo che ci ha amati  e ha dato se stesso per noi, essendosi donato a Dio Padre in sacrifico di soave odore.

Nel giorno del nostro Battesimo, giorno di liberazione e di Pasqua, abbiamo ricevuto lo Spirito di cui portiamo in noi l’impronta, il sigillo. Se allora non si vive secondo lo Spirito del Signore, nella carità, lontano da ogni malignità, malvagità, maldicenza, risentimento o peggio dall’odio, non si è coerenti rispetto all’amore di Cristo, che con il suo esempio ci indica un percorso da seguire, non si imita Dio Padre nella sua misericordia e non ci si ama « come Cristo ci ha amato  e  ha dato se stesso per noi ». Una meta ardua quella che il Signore ci propone e che possiamo sforzarci di raggiungere con la forza del suo Spirito.

Vangelo: Gv 6,41-51.

I Giudei, credendo di conoscere Gesù come il figlio del falegname e conoscendone anche la madre, fanno fatica ad accettare le parole dette da Gesù: « Io sono il pane disceso dal cielo ». Gesù risponde alla loro mormorazione dicendo: « Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò  nell’ultimo giorno ». Citando il detto profetico che “tutti saranno istruiti da Dio, continua dicendo: « Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna ». E affermando solennemente : “ Io sono il pane della vita”, invita ad accogliere « il Pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia », a differenza degli ebrei che hanno mangiato la manna e sono morti.

Se uno mangia di lui, Pane vivo disceso dal cielo vivrà in eterno e il pane che avrebbe dato, come ha detto a quelli che lo avevano seguiti,  è la sua carne per la vita del mondo. Ma come i Giudei, anche noi, oggi, non siamo facilmente docili ad accogliere la parola e la realtà di Cristo, pane di vita, e a farci guidare interiormente da Dio. Non ci lasciamo facilmente attrarre dal Padre e restiamo increduli di fronte a colui che il Padre ha mandato. Chi crede riceve Cristo « pane vivo disceso dal cielo », mangia la sua carne data in sacrificio per la vita del mondo e ha la caparra della vita eterna.

Avere fede è la prima condizione  per prendere parte alla mensa del Signore e partecipare dell’Eucaristia degnamente, stabilendo così un’intimità con Gesù,  il cui mistero è quello di essere non solo uomo, ma soprattutto il Figlio di Dio, inviato dal Padre.