13 GIUGNO – XI  DOMENICA  del TEMPO ORDINARIO.

Nell’Eucaristia noi rendiamo grazia a Dio per i suoi benefici e con l’offerta del pane e del vino, che saranno trasformati dalla Spirito Santo nel Corpo e Sangue di Cristo, rendiamo grazie a lui. Questi doni trasformati diventano Sacramento che ci unisce a Cristo e viene edificata la Chiesa nell’unità e nella pace. L’unione a Cristo diventa più piena quando come lui viviamo nella osservanza della volontà di Dio, quando rendiamo la nostra vita una testimonianza conforme alla fede che professiamo: così questi doni trasformati e ricevuti li viviamo  le scelte  quotidiane, in coerenza con la fede. Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia di oggi chiediamo al Padre celeste: « O Padre, che a piene mani semini nel nostro cuore il  germe della verità e della grazia, fa’ che lo accogliamo con umile fiducia e lo coltiviamo con pazienza evangelica ben sapendo che c’è più amore e più giustizia ogni volta che la tua parola fruttifica nella nostra vita ». I cristiani, come popolo profetico e sacerdotale, devono farsi annunciatori e testimoni del Vangelo e  diffondere nel mondo la Parola che riconcilia con Dio e tra noi e crea la pace.

Prima Lettura: Ez 17,22-24.

Ezechiele paragona  Israele ad un cedro, da cui Dio strapperà un  ramoscello e lo pianterà sopra «  un monte alto ed imponente …  che metterà rami e farà frutti, diventerà un cedro magnifico e sotto i suoi rami gli uccelli dimoreranno e riposeranno », mentre umilierà l’albero alto e farà seccare l’albero verde e germogliare il secco. Dio esalta gli umili e abbassa i superbi, canta Maria nel Magnificat.

Ezechiele si riferisce alla Casa di Davide che verrà restaurata, ma non come potenza umana, ma come Colei da cui nascerà Gesù, il Cristo,  Figlio di Davide. Non è l'orgoglio o la nostra forza che salva, ma la grazia di Dio. Quello che l’uomo disprezza, per Dio è colui che  compirà le meraviglie di Dio. Quello che  ’uomo considera potenza è da Dio considerato impotenza, nullità. Allora,  oltre all’ umiltà,  è la fiducia in Dio quella che il credente deve avere: nessuna potenza o resistenza umana potrà opporsi alla realizzazione del piano salvifico del Signore.

Seconda Lettura: 2 Cor 5,6-10.

San Paolo, esortando  i Corinzi e noi a  riporre la nostra fiducia nel Signore finché viviamo in questo esilio terreno lontani da lui, ci dice che su questa terra dobbiamo camminare nella fede e non nella visione delle realtà celesti che siamo chiamati a conseguire. Per cui « sia abitando nel corpo sia andando in esilio dal corpo, dobbiamo sforzarci  di essere a lui graditi », per abitare nel Signore, davanti al cui tribunale dobbiamo comparire « per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male ». Per quanto sulla terra ognuno si sforzi di star bene non mancano le tribolazioni, le ansie, le avversità della vita. In tale stato il cristiano è chiamato a credere che la vera patria a cui deve tendere è l’essere in Dio, il quale non chiede di alienarsi da questa terra, ma di impegnarsi quaggiù secondo la sua volontà e avere i nostri sguardi rivolti alle realtà celesti: siamo in esilio lontani dal Signore. Nella Eucaristia, sacramento della presenza del Signore, egli è vicino a noi, ma ancora questa presenza non è quella pienamente beatificante e gloriosa del cielo. Se camminiamo nella fede, ci avviciniamo a lui, per poi contemplarlo nella gioia eterna. Dobbiamo nutrire questo desiderio e questa speranza di raggiungerlo. Nell’ attesa non possiamo vivere nella pigrizia o peggio perseguendo una vita di peccato. Non dobbiamo dimenticare che prima della visione dobbiamo affrontare il   giudizio del suo tribunale, in cui sarà valutato il bene o il male compiuto finché abbiamo vissuto su questa terra. Deponiamo allora ogni illusione: la ricompensa o il castigo dipenderanno dalla verità delle nostre quotidiane scelte. Siamo invitati ad essere più pensosi che preoccupati: sappiamo infatti già in anticipo su cosa saremo giudicati.

Vangelo: Mc 4,26-34.

Gesù parla del Regno di Dio e lo paragona al seme che il contadino sparge nel campo. Sia che il contadino dorma o vegli, il seme si sviluppa nelle varie fasi. Così è per il Regno di Dio, perché a dargli incremento è la potenza del Signore. Anche il seme di senape, che è il piccolo di tutti i semi, quando cresce permette agli uccelli di riposarsi alla sua ombra o farvi il loro nido. Gesù con la sua presenza rende presente il regno di Dio ed è la sua potenza a farlo crescere nel cuore dell’uomo, non siamo noi a sostenerlo o ad alimentarlo. Le vie che il Signore segue per farlo crescere non ci sono perfettamente note, sono avvolte nel silenzio e nel mistero. Il Regno cresce con il crescere della grazia e dell’amore di Dio, della sua regalità nel cuore dell’uomo, al di là delle apparenze e dei rumori del mondo. La legge dell’umiltà e della pochezza sono alla base del suo sviluppo, non tanto nelle capacità umane.  Così siamo invitati a non affidarci ad appoggi  terreni come se fossero quelli che contano. Tutto ciò non toglie che  noi dobbiamo essere operosi, anche silenziosamente come altrettanto avviene con il lavorio della grazia. Non è quello che si impone  di più o è gradito di più che conta. Il mondo della grazia è in atto, ma non ce ne accorgiamo: l’ ultimo giudizio sarà una sorpresa, perché nel regno di Dio vi si trovano anche tanti che non ci aspetteremmo di trovarvi.

Ultimo aggiornamento (Sabato 12 Giugno 2021 19:37)