11 APRILE – SECONDA DOMENICA DI  PASQUA

Domenica in Albis o « della misericordia ».

«MIO SIGNORE E MIO DIO !».« BEATI QUELLI CHE NON HANNO VISTO E HANNO CREDUTO! »

In questa Domenica « in Albis », chiamata così per la veste bianca, ricevuta dai neo battezzati,  simbolo della rigenerazione avvenuta nel battesimo ricevuto la notte di Pasqua; o anche  « della divina Misericordia », per il mandato che Gesù dona agli apostoli, la sera della risurrezione, apparendo loro e dando lo Spirito Santo, la Chiesa ripensa all’opera di Cristo, morto per gli uomini, e ci fa riprendere coscienza del nostro Battesimo, che è stato il nostro ingresso nel suo mistero pasquale. Alle meraviglie operate da Dio in noi, alla rigenerazione operata in Cristo, mediante la nostra partecipazione alla sua morte e risurrezione, dobbiamo far corrispondere il frutto di una vita nuova, dando una testimonianza nelle nostre opere di Gesù Vivente.

Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia ci rivolgiamo al Padre dicendo: «O Dio, che in ogni Pasqua domenicale ci fai vivere le meraviglie della salvezza, fa’ che riconosciamo con la grazia dello Spirito il Signore presente nell’ assemblea dei fratelli, per rendere testimonianza della sua risurrezione ».

Prima Lettura: At 32-35.

Oggi la Parola di Dio dagli Atti degli Apostoli ci ripropone la testimonianza delle prime comunità cristiane, nate dall’evento della risurrezione del Signore, in cui tutti si amavano e ponevano tutto in comune, escludendo qualsiasi forma di discriminazione tra ricchi e poveri. I cristiani, anche oggi, devono avere  « un cuor solo e un’anima sola », cosicché, come allora « nessuno tra loro era bisognoso e fra loro tutto era comune », così essi esprimano questa fraternità nelle situazioni attuali di vita, incidendo e permeando la società con questa modalità di vita. Le leggi, certo, possono concorrere a tale finalità, ma non è con la costrizione esterna che ciò si può realizzare;  è necessaria la fede che deve generare la carità vicendevole  con opere di carità visibile.

Quando non apriamo il nostro cuore  ai fratelli che sono nel bisogno, condividendo ciò che possediamo, allora dobbiamo dubitare della consistenza del nostro amore e della autenticità della nostra fede.

Nella  Chiesa italiana, attraverso il sistema del Sovvenire, che consiste nella modalità con cui oggi i fedeli possono contribuire alle necessità della Chiesa, con l’8xmille e le offerte deducibili, oltre che con altre modalità di carità, si adempie con responsabilità e partecipazione libera alla realizzazione di quella fraternità che i primi cristiani vivevano anche economicamente, come espressione dell’amore fraterno, perché nessuno soffrisse il bisogno.

Seconda Lettura: 1Gv 5,1-6.

La fede in Gesù,  il Cristo, generato da Dio, ci dice San Giovanni, ci rende figli  di Dio e dobbiamo, come Gesù, amarlo da figli, osservando di conseguenza i suoi comandamenti, che non dobbiamo sentire come un peso. Se non si ama Dio non si amano neanche i fratelli, che da lui sono stati generati a figli. La consistenza dell’amore a Dio trova il suo criterio nell’amore al prossimo: queste due manifestazioni di amore non sono né giustapposte né in alternativa. L’amore a Dio è il primo e l’amore ai fratelli, che sono ad immagine di Dio, è una conseguenza del primo. San Giovanni ancora precisa che chi è generato da Dio e vive con la fede in Gesù, Figlio di Dio, venuto con acqua e sangue  in cui  gli uomini sono stati rigenerati con il dono dello Spirito,  vince il mondo come lo ha vinto Lui: la morte e la risurrezione di Cristo sono la vittoria sul mondo e  sul peccato, sul male e su Satana.

Vangelo: Gv 20,19-31.

Fissiamo la nostra attenzione su tre aspetti dell’incontro di Gesù risorto con i discepoli. Anzitutto il dono della pace, che è l’insieme dei beni che il mistero della Pasqua ha procurato agli uomini: la grazia divina, la gioia, la speranza.

Poi l’effusione dello Spirito, per cui ci possono essere rimessi i peccati: la Chiesa, con la missione affidata ad essa tramite il ministero degli apostoli, è il luogo e il sacramento della misericordia e del perdono, dal momento che in essa vive lo Spirito Santo. I ministri della Chiesa non trasmettono la propria santità ma lo Spirito che sa rinnovare  e purificare la vita. Infine notiamo la professione di fede  di Tommaso, il quale riconosce Gesù come Signore e Dio. Se noi, come dice Gesù a Tommaso, crediamo senza aver visto e sperimentato, saremo beati. E se  accogliamo i segni che sono stati scritti su Gesù e la sua opera, credendo che Egli  è il Cristo, il Figlio di Dio, allora avremo la sua vita divina nel suo nome.

Ecco chi è Gesù ed ecco a che cosa tende la predicazione e la narrazione stessa del Vangelo: a fare scoprire in lui il vero Dio e il Signore glorioso. Per questo siamo chiamati fedeli e discepoli. Solo che la nostra fede non deve vacillare.