21 GIUGNO – XII DOMENICA DEL  TEMPO ORDINARIO.

Nella celebrazione della memoria della Pasqua del Signore celebriamo il suo sacrificio di espiazione in cui Gesù si è offerto al Padre per riconciliare l’umanità con il Padre celeste. L’Eucaristia ci rende partecipi di questa riparazione, poiché la nostra vita segnata dal peccato ha continuo bisogno di riconciliazione e di riparazione, in quanto molte cose, come la ricerca del successo, la nostra superbia ed esaltazione, i cedimenti davanti alle esigenze del Vangelo, sono realtà che esigono purificazione.

Nell’Eucaristia oltre a questa espiazione  e alla fedeltà  per confessare la nostra fede, troviamo e sono condivise anche la lode innalzata da Gesù che si immola sulla croce, l’adorazione e il ringraziamento al Padre celeste.

Nel giorno del Signore la nostra lode deve sgorgare dal cuore in maniera più intensa e prolungata, alimentata dalla Parola di Dio che ci dà testimonianza della salvezza che Gesù ha operato  e continua a renderla presente nella  nostra storia, come con i due discepoli di Emmaus.

Nella preghiera iniziale diciamo a Dio: « Rendi saldo, o Signore, la fede del popolo cristiano, perché non ci esaltiamo nel successo, non ci abbattiamo nelle tempeste, ma in ogni evento riconosciamo che tu sei presente e ci accompagni nel cammino della storia ».

Prima Lettura: Gb 38,1.8-11.

Il Signore  a Giobbe, che è afflitto dal suo male, riafferma la sua presenza nel mondo e la sua vicinanza a lui, fin da quando con la sua potenza chiudeva tra due porte il mare, quando lo vestiva di nubi e lo fasciava di una nuvola oscura, quando gli ha fissato un limite mettendogli un chiavistello e dicendo : « Fin qui giungerai e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde ». Così Dio dice a Giobbe che nella opera creatrice Egli precede sempre l’opera dell’uomo e la sua stessa esistenza, poiché  come creatura è  limitata nella sua capacità di conoscere e dominare la natura. E il dolore che inquieta Giobbe, e tutto il mondo è certamente un mistero per lui. Ma Dio nella sua Provvidenza non abbandona l’uomo, il quale si deve abbandonare totalmente in lui come Gesù, Signore dell’universo, da cui i nostri misteri e le nostre oscurità vengono illuminati e con la sua croce si scioglie l’enigma del dolore.

Seconda Lettura: 2 Cor 5, 14-17.

San Paolo dice ai Corinzi che l’amore di Cristo ci possiede, poiché egli è morto per tutti e noi non viviamo più per noi stessi ma per « colui che è morto ed è risorto per loro ». Così non guardiamo più a Cristo alla maniera umana, ma con la fede. Essendo ormai in Cristo, siano nuove creature, le cose vecchie e la nostra vita di peccato sono passate e ne sono nate di nuove. Siamo ancorati a questa certezza di fede che, cioè, in Cristo siamo completamente creature nuove? Per cui la nostra adesione non deve essere labile e insicura per non essere incoerenti. Con il Battesimo siamo stati rinnovati e la nostra relazione con il peccato, con il demonio è stata eliminata nella sua forma originale, anche se permane ancora in noi l’inclinazione a ricadere nel peccato. Ma tutto però deve essere vissuto con una mentalità nuova e con nuovo modo di giudicare le cose e gli eventi della vita. La novità della vita si esprime, come dice Gesù, nell’amore verso gli altri vedendo in loro lui stesso. Quest’amore porta, alla maniera di Gesù,  «che è morto per tutti », a dare la vita per gli altri. Le proprie scelte e i propri atteggiamenti, allora, dice San Paolo, devono ispirarsi  al « non vivere più per se stessi ». Il cristiano sa che vivere per Cristo significa accogliere  tutti gli uomini come egli ci ha accolti nella sua carità. La considerazione del prossimo è cambiata nella prospettiva di Gesù, perché l’amore al prossimo non dobbiamo portarlo tenendo conto del giudizio e delle simpatie puramente naturali, ma dal fatto che  tutti siamo stati  amati dal Signore nella sua donazione sulla croce.

 

Vangelo: Mc 4,35-41.

Oggi Gesù, nella traversata del lago, sconvolto dalla tempesta, è sulla barca insieme ai discepoli. Egli dorme e i discepoli, sconvolti dalla paura e agitati, gli dicono terrorizzati: « Maestro, non t’importa che siamo perduti? ».E Gesù destatosi « minaccia il vento e dice al mare: “Taci, calmati!”». Ritornata la bo-naccia dice loro: « Perché avete paura? Non avete ancora fede? ». I discepoli timorosi si chiedono:« Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono? ». Il mare in burrasca è il simbolo del mondo che è agitato e in disordine per i mali che lo affliggono. Gesù, Creatore come il Padre, impone con la sua potenza alle forze e agli elementi della natura i suoi comandi. La sua Signoria sull’universo e sulla storia è così ristabilita e riconosciuta, perché egli è colui che dà senso e valore, significato e ordine alle realtà. Attraverso la fede bisogna affidarsi a Cristo senza timore anche in mezzo alle vicende difficili e tempestose della vita: la barca della nostra esistenza può essere a volte agitata e la paura può prendere il sopravvento e giungere allo scoraggiamento e quasi possiamo sentirci sopraffatti dalle situazioni. Le nostre travagliate situazioni, le nostre tempeste si placano se ci affidiamo a Cristo. La certezza che il Signore dell’universo è con noi e  la confidenza in lui, che anche a noi dice: « Perché avete paura? », devono farci riprendere coraggio e continuare la traversata della nostra vita, sicuri che nessuna forza di male ci può inghiottire.

Ultimo aggiornamento (Sabato 20 Giugno 2015 20:48)