1 Marzo – IIa DOMENICA  DI  QUARESIMA

Oggi, il Signore, dopo aver annunziato di dover andare a Gerusalemme dove sarà condannato e messo a morte, sul monte Tabor si trasfigura e il Padre ci manifesta ancora una volta che Gesù è il Figlio amato ed è a lui che dobbiamo aderire: sulla sua parola la nostra esistenza deve essere programmata.  Apparendo con Gesù Mosè ed Elia, la legge e i profeti, si conclude l’Antico Testamento. Seguire Gesù significherà d’ora in avanti assumere « nella nostra vita il suo mistero di croce », su cui egli  è stato consegnato per potere noi avere la remissione dei peccati, poiché egli si è addossato le nostre iniquità. Questo cammino difficile bisogna compierlo nella fede e nella speranza e l’episodio della trasfigurazione  ci fa intravedere, dopo il nostro pellegrinaggio terreno, la gloria del risorto e della nostra futura risurrezione.

Prima Lettura: Gn22,1-2.9.10-13.15-18.

Nell’episodio di Abramo, chiamato da Dio a sacrificargli quell’unico figlio della promessa, la fede del Patriarca è messa alla prova, perché deve distaccarsi dalle attese suscitate in lui dalle promesse di Dio. Si è già separato dalla sua terra e dalla casa del padre e, ora, è chiamato, nella fede,  a distaccarsi da quel figlio nato per l’intervento di Dio e a cui è legata la promessa di una lunga discendenza. Abramo è pronto a sacrificarlo e, nella fede, prova angoscia e morte per il gesto che Dio gli chiede. Ma Dio, se  libera Isacco da quella vocazione di morte,  rinnova la benedizione ad Abramo che non si è rifiutato, con una obbedienza angosciante e misteriosa, ad  adempiere alla volontà di Dio: « Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu fai fatto questo e non hai risparmiato  tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò  molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare … Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito  alla mia voce ».

Seconda Lettura: Rm 8,31-34.

San Paolo invita i cristiani a non temere nulla, nessun avvenimento e nessun uomo, perché Dio sta dalla nostra parte: « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme con lui? ». Dio ci ama e ci ha dimostrato questo amore facendoci dono di quanto aveva di più caro: il suo stesso Figlio, che non lo ha risparmiato alla  morte ma lo ha fatto risorgere, ponendolo alla sua destra per intercedere per noi. Dio allora non ci condanna, come non ci condanna neanche Gesù che il Padre ha mandato, come dice Gesù a Nicodemo, non per condannare il mondo ma per salvarlo e lo  ha posto come nostro intercesso-re presso di lui.

Vangelo: Mc 9,2-10.

Nella trasfigurazione sul Tabor Dio rivela l’identità del suo Figlio, come era avvenuto al Giordano: Gesù è  il suo Figlio amato e inviato agli uomini perché lo ascoltino. Egli è la Parola e in lui trasfigurato inabita la presenza del Padre. E’ lui  il contenuto e il senso delle Scritture rappresentate da Mosè e la realiz-zazione delle profezie rappresentate da Elia. Con Gesù l’Antico Testamento scompare perché egli ne è il compimento. Gli apostoli rimangono atterriti, impauriti ma anche estasiati se, avvertendo la bellezza di quella visione,  Pietro dice a Gesù: « Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia ». Ma, quella visione non può continuare, bisogna ritornare alla realtà e discendere dal monte per riprendere il cammino verso Gerusalemme. Quella del Tabor è un momen-to profetico che preannunzia la risurrezione, evento che si realizzerà dopo i giorni di passione e di morte. Gesù intima « loro di non dir niente ad alcuno di ciò che hanno visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti ».