8 FEBBRAIO – V DOMENICA del TEMPO  ORDINARIO.

L’esperienza di Giobbe, che la prima lettura della Parola di Dio oggi ci fa contemplare, è la stessa di quella che ognuno di noi fa ogni giorno: esperienza fuggevole, fatta di duro lavoro, come quella di uno schiavo che sospira l’ombra e del mercenario che aspetta il salario, con giorni pieni di illusioni e notti insonni, che scorrono più veloci di una spola e svaniscono senza speranza. In questo scenario velato di “duro pessimismo ”, la preghiera iniziale della Liturgia eucaristica di oggi ci fa chiedere l Dio, che con amore di Padre si accosta « alla sofferenza di tutti gli uomini e li unisce alla Pasqua del suo Figlio », di renderci puri e forti nelle prove, « perché sull’ esempio di Cristo impariamo a condividere con i fratelli il mistero del dolore, illuminati dalla speranza che ci salva ».

Prima Lettura: Gb 7,1.4-6.

La vita dell’uomo è piena di tribolazioni e dolori, di fatica e di illusioni, senza speranza di un futuro. E’ come un soffio i cui anni passano veloci. Questa esperienza che tutti facciamo non ci deve scoraggiare né rattristarci, ma deve farci riflettere e renderci  prudenti. Nella nostra fede cristiana siamo sorretti dalla speranza: quella della vita eterna che possiamo conseguire, dopo la morte, con Gesù, andato a prepararci un “ posto”, come ha detto ai discepoli, con la vita trasformata, nella comunione con il Padre. Se accogliamo il messaggio evangelico e l’esperienza del Cristo risorto, egli che ci ha infuso lo Spirito Santo, soffio di vita immortale, darà anche a noi di risorgere ed essere partecipi della sua immortalità.

Seconda Lettura: 1 Cor 9,16-19.22-23.

Paolo scrive ai Corinzi dicendo che il Vangelo che egli annunzia, dopo la sua conversione a Cristo Salvatore, è lo scopo di tutta la sua vita. Non è un vanto, ma una necessità. Un incarico che ha ricevuto e che deve svolgere nella fedeltà e gratuitamente. E’ di iniziativa divina quest’incarico  affidatogli, non lo svolge di sua iniziativa e, perciò, non  vuole usare del diritto che il Vangelo gli conferisce, cioè  di essere sostentato dalla comunità.

Lavorando con le proprie mani non vuole essere di peso ad alcuno, ma che anzi essere al servizio di tutti « e pur essendo libero da tutti, mi son fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io ».

Anche per noi vale l’esperienza di Paolo: annunciare il Vangelo e evangelizzare i fratelli proclamando la Parola di Dio nei nostri ambienti di vita, con le parole e le opere, senza far prediche, ma con modestia e semplicità. Rendersi,  inoltre, premurosi verso gli altri con semplicità, sincerità e discrezione.

Vangelo: Mc1,29-39.

All’ uomo, che fa l’esperienza del dolore, della sofferenza, della limitatezza, della caducità e finitezza della vita, dice il Vangelo di questa Domenica, Gesù porta conforto guarendo la suocera di Pietro, gli ammalati che gli portano dinnanzi, scacciando i demoni. Allora tutti  cercano Gesù, come  gli riferiscono gli  apostoli dopo averlo trovato, mentre è ancora buio e sta pregando. Ma Gesù dice loro che  non può fermarsi solo lì, è venuto perché predichi per tutta la Galilea e porti il Vangelo della salvezza a tutti. La vita pubblica di Gesù è protesa a beneficare questa umanità, afflitta da tante situazioni che fanno rinchiudere l’uomo in se stesso e in un orizzonte solamente terreno. Così egli compie miracoli, scaccia demoni, annunzia il Vangelo, prega. Con lui l’opera del Messia promesso e atteso, che avrebbe restaurato il Regno di Dio tra gli uomini,  ridona speranza all’uomo e la grazia e l’amore di Dio irrompono in questo mondo che viene salvato dal peccato. Il cristiano è colui che prende parte e continua quest’opera del Cristo, nell’ascolto della Parola, nel lasciarsi liberare da lui nell’intimo del cuore, nell’operare a favore dei fratelli ridando loro la speranza che Gesù ha riacceso su questa terra per tutti.

Nel credente si ripetono anche i miracoli di Gesù nella misura in cui egli è santificato dalla presenza del Signore. La risurrezione futura dei corpi, di cui Gesù risorto costituisce la primizia, che preannunzia quella di coloro che credono in lui, trova il suo germe nella grazia che ce la anticipa. La preghiera, poi, per il credente, come  è stato per Gesù, diventa contatto, nello spirito, con Colui nel quale gli uomini vivono, si muovono ed esistono, perché di lui noi siamo stirpe (cfr,  At 18,28).