19 OTTOBRE – XXIX Domenica del Tempo Ordinario.

Nella storia dell’uomo il rapporto tra la sua libertà e la signoria di Dio è un poblema che attraversa tutte le generazioni e varie sono state le posizioni che ha assunto, perché se, da una parte, l’uomo non è uno strumento nelle mani di Dio, avendolo questi dotato di libertà, dall’ altra, il cristiano, guardando a  Cristo, non può esiliare Dio dalla storia. Dio, fonte di ogni bene, a tutti gli uomini chiede di realizzare l’attuazione del bene e ne dà anche la forza, ma ad essi spetta di aderirvi accogliendolo liberamente. L’attuazione del progetto salvifico di Dio può subire interruzioni, progredire o regredire drammaticamente a seconda delle scelte che l’uomo liberamente pone in riferimento a tale attuazione ed è il peccato dell’uomo, che consiste nel rifiuto più o meno consapevole di collaborare con questo progetto, che ritarda la realizzazione della signoria di Dio nella storia.

L’obbedienza a Dio delle libere volontà degli uomini, anche quelle di coloro che svolgono il ruolo dell’autorità, deve condurre gli uomini ad agire in funzione del bene di tutti, secondo lo Spirito del Figlio di Dio, cosicché, ci fa pregare oggi la liturgia nella colletta, « tutta l’umanità intera riconosca Lui solo come unico vero Dio » . Il modello, quindi, che  l’uomo dovrebbe seguire è l’obbedienza a Dio secondo lo Spirito di Gesù suo Figlio che, sacrificando la sua vita sulla croce, ha fatto la volontà del Padre e, in questa sua obbedienza, ha racchiuso tutti noi, se vogliamo  partecipare della salvezza.

L’Eucaristia che celebriamo, oltre che attuare per noi tutte le volte che ne facciamo memoria quel sacrificio, ci è data come cibo e sostegno per imitare l’obbedienza del Figlio  e così acconsentire al disegno di Dio in tutta la nostra vita, anche quando il cammino si fa arduo, faticoso ed esigente.

Essa è alimento alla nostra vita di figli di Dio. Da essa scaturisce anche l’impegno ad operare a favore dei fratelli, come Gesù, che è venuto per servire e non per essere servito o dominare, ma per donarsi ai fratelli.

Prima Lettura: Is 45,1.4-6.

Nell’ oracolo di Isaia viene riaffermata dal profeta la supremazia di Dio: « Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio ». E’ Dio che ha eletto Ciro, prendendolo per la sua destra, chiamandolo per nome, dandogli un titolo, rendendolo pronto all’ azione e liberatore , benché  questi non lo conosca,  per realizzare la sua volontà verso Giacobbe, suo servo, e Israele suo eletto, e far conoscere la sua potenza dall’ oriente all’ occidente, poiché « non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, e non ce n’è altri ». Ciro, che con il suo editto ridarà la libertà all’ esule Israele, sarà lo strumento a servizio nelle mani di Dio per compiere il disegno divino. Da ciò deve derivare la fiducia dell’uomo in Dio e noi, nonostante tutte le apparenze e le difficoltà in cui versiamo, non dobbiamo perdere la fiducia nel Dio vivo: nessun proposito di uomini o necessità può rendere vana o compromettere l’opera di Dio, poiché è in suo potere realizzare la sua volontà e come dice il detto di Bossuet:" Dio scrive dritto anche sopra le  righe storte degli uomini".

Seconda Lettura:  I Ts 1,1-5b.

Paolo scrivendo ai Tessalonicesi augura loro la pace e, ricordandoli  nella preghiera, rende grazie a Dio « per l’operosità della loro fede, la fatica della loro carità e la fermezza e costanza della loro speranza nel Signore Gesù ». Tutto questo Paolo lo ritiene non tanto opera sua quanto della potenza di Dio e della forza dello Spirito Santo, che suscita nel cuore degli uomini l’agire e l’operare e l’adesione di ognuno alla sua volontà, perché tutte le forze e le componenti che costituiscono la comunità operino a beneficio di questa, per un servizio generoso ai fratelli,  secondo il volere di Dio.

Vangelo: Mt 22,15-21.

Gesù, nel dialogo con i farisei che gli chiedono astutamente se « è lecito, o no,  pagare il tributo a Cesare », non vuole tanto elaborare una teoria politica o economica e, rispondendo con la solita franchezza, riesce a sorprendere gli interlocutori e a schivare la loro insidia di coglierlo in fallo.

Dopo essersi fatto mostrare la moneta che riporta l’ immagine di Cesare, egli non risponde né con un “”, che l’avrebbe fatto apparire nemico del popolo oppresso, né con un “no ”, che l’avrebbe reso un sovversivo verso l’autorità imperante. Gesù  dichiara, pur riconoscendo il debito da dare a Cesare, il quale con il tributo richiesto ottiene quanto gli compete per realizzare un governo, pur sempre limitato e desacralizzato, a beneficio di tutti,  che va dato a Dio quello che è di Dio, a cui tutto appartiene. Così Gesù  se depoliticizza  l’immagine di Dio, che non può essere usato come strumento di potere, chiede agli uomini di  accogliere il Vangelo che egli proclama e, poiché  spetta solo a Dio il giudizio sul loro agire , in riferimento ad esso, essi devono adeguare il loro comportamento in tutto il resto. Se il cristiano, da una parte, è cittadino di questa terra,  per cui non può non partecipare alla vita sociale e politica degli uomini, dall’ altra, concependo la storia come un cammino verso il Regno dei cieli, deve impegnarsi per realizzare il progetto di Dio che, dall'insegna- mento e dalla vicenda di Gesù, è diventato un impegno pregante per i suoi discepoli. Nelle situazioni di conflitto tra l’autorità di Cesare e le esigenze del Vangelo deve subentrare la mediazione della coscienza, che ci fa assumere la responsabilità  personale delle proprie scelte. Pur non essendovi in questione la laicità dello stato, per il cristiano si pone la tensione costante del “come ” egli deve porsi, da credente, all'  interno delle istituzioni,  dando a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello  che è di Cesare, limitando questi se pretende di sostituirsi a Dio, e limitando coloro che in nome di Dio volessero porsi al posto dell’autorità di Cesare.