27 LUGLIO -XVII DOMENICA - TEMPO ORDINARIO

 

E’ una grazia immensa poter « partecipare al sacrificio eucaristico ». E infatti l’Eucaristia è «me- moriale perpetuo della passione del Figlio di Dio » in virtù dello Spirito, che trasforma le nostre offerte nel Corpo di Gesù, ci dà la possibilità di « condividere il pane vivo disceso dal cielo », alla mensa del Signore fratello e Salvatore. Lo stesso Spirito ci suggerisce  la preghiera filiale al Padre.

Davanti a questi doni i beni terreni si trovano giustamente collocati: vanno usati saggiamente, ma senza che intralcino « la continua ricerca dei beni eterni ». Anzi non ci deve mancare la prontezza « ad ogni rinunzia » per l’acquisto del Regno di Dio, che è « il tesoro nascosto » e la « perla preziosa ».

Prima Lettura : 1 Re 3,5.7-12.

Salomone domanda al Signore la saggezza nel governare e il Signore la concede largamente al re. E’ una grazia che vale molto più della longevità, delle ricchezze e delle vittorie. Essa è necessaria ad ognuno di noi, per saper distinguere il bene dal male, per essere giusti e non lasciarsi prendere dalla passione, dalla vanità, dal tornaconto. Il dono della sapienza è anzi un dono dello Spirito Santo che è posseduto da ogni anima in grazia e che domanda un « cuore docile », attento, disposto a lasciarsi guidare. Anche la nostra vita ha bisogno di un saggio governo spirituale.

Seconda Lettura: Rm 8,28-30.

Siamo oggetto di un provvidenziale amore  da parte del Padre. Non ci sono situazioni, per difficili e complicate che siano, che possano far fallire il piano d’amore di Dio su noi. Del resto basta considerare quanto Dio ha fatto per noi: siamo stati predestinati ad essere conformi al Figlio stesso di Dio, divenuto nostro fratello, e con tale destinazione siamo stati chiamati alla vita, abbiamo ricevuto la giustificazione, la redenzione; e adesso siamo avviati e attesi per la gloria. Questi sono i punti veri della nostra storia.

Da qui la speranza che Dio non ci abbandonerà mai, ma ci tiene cari e ci sorregge. E’ la ragione dell’ottimismo cristiano.

Vangelo: Mt 13,44-52.

Fare nella vita anche scelte radicali secondo la sapienza del Signore è essere evangelicamente saggi. Per chi intraprende questo cammino le cose che prima parevano importanti passano in secondo ordine e si diventa  capaci anche di rinunziarvi, per acquistare realtà più preziose.

Il Vangelo di oggi ci propone unistanza opposta a quella di un cupo cristianesimo. La fede cristiana è un’ esperienza da viversi con gioia benché sia un cammino ascetico. Certamente si esclude la gioia se si pone l’accento solo nell’ascesi, necessaria per la vita spirituale. Una visione cupa del cristianesimo, un’accentuazione della sofferenza e delle penitenze, un’esaltazione del dolore rendono la sequela di Cristo non conforme alla visione evangelica della vita cristiana.

Riformulare la concezione e le pratiche di vita ascetica e mistica, riscoprendo il perché di certe scelte, è come restaurare un’opera d’arte per recuperarla nella sua originaria bellezza e farla fruire agli appassionati. Così, accogliendo l’esortazione del Vangelo, il discepolo di Gesù  « è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro  cose nuove e cose  antiche »(Mt 13,52). In questo tesoro vi sono cose antiche, ma non per questo vecchie, inutilizzabili, come la preghiera, lo spirito di rinunzia, l’esigenza di accettare le sofferenze della vita con la rassegnazione evangelica, le esigenze della sequela del Signore, e cose nuove, come le esigenze , le domande e le scoperte dell’oggi che rinnovano e riattivano le cose antiche.

I personaggi delle parabole, l’agricoltore, il mercante che trovano oggetti di grande valore sono « pieni di gioia » e, di conseguenza, sono motivati a vendere tutto pur di acquistare il campo o comprare la perla preziosa. Così la gioia  della scoperta di cose preziose e le conseguenti scelte nulla tolgono all’agire prudente del saggio: la gioia, allora, è compatibile  con le difficoltà e le conseguenze che le scelte comportano: Se capissimo il valore del Regno di Dio, che è poi il valore di Gesù Cristo!

Di fronte a lui tutto diviene invalido e si deprezza. Tutto si vende; da tutto ci si distacca: si supera ogni difficoltà, pur di averlo: è il tesoro nascosto e la perla preziosa. I veri discepoli lasciano ogni cosa per lui: tutto è riferito a Lui. Ma questo – si noti – deve valere per ogni cristiano, che semplicemente abbia compreso il Vangelo.

Una concezione corretta e non patetica della gioia sa distinguere tra la serenità d’animo, pacificante, inalterabile, anche di fronte alle difficoltà, e l’esaltazione dell’euforia tanto vivace quanto effimera. La scelta del Regno è motivata da una gioia che è capace di reggere lo sforzo ascetico, vissuto non come fine a se stesso ma come predilezione per Gesù e per il Regno, che richiede discernimento, virtù spirituale  volta all’azione, come fa Salomone nella preghiera al Signore, a cui chiede il discernimento per governare e amministrare  la giustizia e assolvere meglio al proprio compito come  servizio a Dio e al popolo.

Se scegliere di seguire Cristo e il Regno  comporta un orientamento di fondo della propria esistenza, bisogna poi saper incarnare  tale scelta con azioni concrete in cui ognuno si trova, per porsi sempre al servizio di Dio e dei fratelli.

Tra le difficoltà  e il conflitto di interessi  e il valore del Regno, i primi possono soffocare la scelta del secondo, così come accade con il giovane ricco, che mosso da un autentico desiderio di perfezione, davanti alla risposta radicale di Gesù,  che comportava un prezzo non indifferente, il vendere i suoi beni e seguirlo,  « se ne andò, triste » (Mt19,22).

Cristo è però anche il punto di confronto per il giudizio: alla fine della vita, al termine della storia, avverrà la grande divisione, il decisivo discernimento, la separazione del bene dal male, tra pesci buoni e cattivi, dopo che in questa vita avrà avuto luogo la confusione.

Dobbiamo vivere e fare le nostre scelte con questo punto di confronto  finale, scelte che oggi facciamo  rispetto a ciò che vogliamo essere, quasi anticipando ogni volta il giudizio che poi verrà dato sulle nostre azioni.