13 LUGLIO – XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

L’uomo, creato da Dio a sua immagine e somiglianza, è stato dotato della libertà. Ma ci domandiamo: quale uso fa l’uomo della sua libertà nel suo rapporto con il Creatore? L’uomo può accogliere o rifiutare il dialogo e la parola con cui Dio lo interpella, anche se ciò è avvenuto attraverso il suo stesso Figlio, venuto tra noi. A seconda della disponibilità o indisponibilità dell’uomo, la Parola di Dio può portare il suo frutto nel cuore di chi l’accoglie: il seme è gettato, ma potrebbe andare disperso.

Nel Vangelo di oggi, la parabola del Buon Seminatore, se nella prima parte è messo in risalto il lavoro del seminatore, che sparge il seme, nella seconda parte viene sottolineato quale frutto matura nelle varie situazioni del terreno in cui il seme è sparso.

Tutti gli ascoltatori, a cui Gesù si rivolge annunziando la lieta novella del Regno, comprendono il significato della parabola, se agli apostoli Gesù ne spiega il significato? Secondo la profezia di Isaia, citata nel brano, coloro a cui Gesù si rivolge, udrebbero sì, ma non comprenderebbero, guarderebbero ma non vedrebbero a causa dell’insensibilità del loro cuore, della durezza dei loro orecchi, e  della cecità dei loro occhi.

Gesù, che è il seminatore, nel narrare la parabola, ci permette di contemplarne il significato nella sua persona e nella predicazione che egli fa. Anche a noi Gesù ripete: « Chi ha orecchi, ascolti ». Cristo, nel nome del Padre, per sua libera iniziativa, semina la Parola del Regno che è dono elargito all’uomo, Parola rivolta a tutti senza distinzione di sorta.

Sembra, però, che l’opera della semina sia quasi fallimentare, se si pensa che solo nella quarta tipologia di terreno il seme porta frutto, mentre nelle altre tipologie il seme, pur spuntando, viene impedito nel suo sviluppo dalle situazioni del terreno e non  per difetto del seme, che è sempre buono e capace  di produrre.

Nei cuori degli uomini i quattro tipi di terreno non si trovano cosi nettamente connotati. Spesso il cuore di ognuno è un misto dei quattro tipi, o contemporaneamente o in tempi diversi. Fare in modo che il proprio cuore diventi terreno produttivo senza compromessi è il compito affidato a ciascuno, durante il cammino di purificazione  lungo la propria esistenza. Siamo chiamati nel percorso della nostra vita spirituale ad evitare che il nostro cuore si indurisca, evitare che pur “sentendo non ascoltiamo, pur vedendo non vediamo e non comprendiamo”.  E’ la lotta contro il Maligno che ruba la Parola; contro l’incostanza che non resiste alle tribolazioni; contro “le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza”. Saremo allora produttivi se faremo, con la grazia di Dio e la forza dello Spirito,  germogliare il seme che ci è stato donato e lo faremo fruttare nella vita di fede e nella vita di orazione, anche dopo una inesausta lotta contro tutto ciò che vi si oppone.

La profezia citata spiegherebbe la difficoltà che ha il seme di svilupparsi e portare frutto. Se il Regno di Dio non è accolto non è per una ristrettezza di Dio nell’annunziarlo, non è per una predestinazione divina alla dannazione. E’ per la indisponibilità dell’uomo all’ascolto. Dio per parte sua è magnanimo, anche nel rispettare la libertà dell’uomo. Ogni uomo è affidato alla propria libertà, alla propria responsabilità. Per esempio, i miracoli di Gesù, da parte dei sapienti e dei dotti, sono considerati eventi prodigiosi e non vengono accolti; per i “piccoli” sono eventi che aprono alla fede. Così vi sono alcuni  che “guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono” (Mt 13,13).

Chi apre invece il cuore all’ascolto, allora la Parola porta frutto e rende “ beati gli occhi perché vedono e gli orecchi perché ascoltano e comprendono”.

Ascoltare e comprendere: sono i due atteggiamenti di chi porge  orecchio attento, disponibile, libero e di conseguenza traduce in prassi di vita l’appello della Parola.

 Ci professiamo cristiani. Non si tratta di un’etichetta  o di una distinzione  esteriore, ma di un impegno e di uno stile di vita. Dobbiamo coerentemente « respingere ciò che è contrario a questo nome » e « seguire  ciò che gli è conforme ». Le orazioni di questa domenica ritornano su questa esigenza  e parlano di « opere di giustizia e di pace »; di annunzio dello Spirito « con la fede e con le opere »; di « cuore attento e generoso verso le sofferenze  e le miserie dei fratelli ». Non illudiamoci che basti insistere su questo tema nella liturgia per rendere concreta questa fraternità, che sia sufficiente parlarne. Spesso la consistenza  delle nostre azioni è inversamente proporzionata alla frequenza e all’insistenza con cui ne parliamo.

Prima Lettura: Is 55,10-11.

Per quanti ostacoli gli uomini credono di porre di fronte alla Parola e al piano di Dio, essa riuscirà certamente. Ha in sé la virtù di operare. Dio riesce, a dispetto di tutte le apparenze e di tutte le interferenze e opposizioni che l’uomo possa frapporre. E’ un motivo di impegno e di speranza. Ma per parte nostra dobbiamo ricevere questa Parola.

Seconda Lettura : Rm 8,18-23

Siamo già stati redenti, ma ancora siamo sottoposti al travaglio della sofferenza, perché questa redenzione deve diffondersi, purificare, accrescersi. E’ una vita nuova che deve  venire alla luce  gradatamente. Lo Spirito Santo agisce già, ci è già stato dato come un anticipo, una primizia, dice sempre Paolo. Per tale Spirito siamo a poco a poco liberati dal male e dai suoi condizionamenti. La riuscita è sicura: il termine sarà la redenzione completa e la perfetta conformità con Cristo risorto. Ma la « gloria dei figli di Dio » va aspettata attivamente con la sofferenza delle scelte liberatrici. Il bene è sempre doloroso, è una passione quaggiù, m ha in sé  il germe della risurrezione.

Vangelo: Mt 13,1-23.

E’ narrata la vicenda del seme, immagine della Parola di Dio e della sua vicissitudine. Tale Parola riesce certamente, ma di fronte ad essa l’accoglienza può essere assai diversa. Accanto all’accoglienza generosa c’è l'accoglienza incerta, disimpegnata, dubbiosa, incostante, non piena e libera. E persino ci può essere il rifiuto: neppure l’inizio della salvezza. Sono così ritratte varie categorie di uomini e di cristiani. Ascoltare, comprendere e produrre. Ecco l’impegno di ognuno. Per non soggiacere alla condanna di chi ha ricevuto l’annunzio, ma l’ha trascurato, ne ha avuto paura, si è ostinato nel male. La parabola di Gesù era detta agli Ebrei; valeva per la Chiesa primitiva e le sue circostanze; vale per la comunità idi ogg e per ognuno di noi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ultimo aggiornamento (Sabato 12 Luglio 2014 20:13)