27 Aprile – II  Domenica di Pasqua.

Domenica in « albis » o della « Divina Misericordia ».

Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto.

Ogni domenica commemoriamo la Pasqua del Signore, la sua risurrezione, che noi accogliamo nella fede, per cui, come disse Gesù a Tommaso « siamo beati perché crediamo senza aver visto ».

Gesù risorto appare agli apostoli che lo riconoscono e noi sulla loro testimonianza fondiamo la nostra fede, che ha sorretto lungo i secoli, in mezzo alla tribolazioni e il martirio, i credenti in lui.

L’episodio di Tommaso, che non vuole credere se prima non tocca e non vede,  ha fatto di lui un discepolo incredulo, un resistente alla fede, ma è il prototipo dell’uomo di sempre. Egli, che aveva visto la radicalità e la potenza della morte di Gesù, non può accettare la sua risurrezione. E se il Risorto non fosse il crocifisso? Avrà pensato. Se così, l’annunzio degli apostoli non avrebbe  avuto valore. Ma otto giorni dopo, quando anche Tommaso è con gli altri nel Cenacolo, davanti a Gesù che lo invita a toccarlo e a mettere le sue dita nel foro dei chiodi e la sua mano nel costato, egli, profondamente sconvolto, professa la sua fede dicendo : « Mio Signore e mio Dio ». Questo di Tommaso è un traguardo a cui giunge attraverso un  travaglio interiore, di ricerca, di domanda e di sfida  per una fede facile e superficiale. Come a Tommaso, anche a noi, Gesù dice di « non essere più increduli, ma credenti »: davanti al problema del male è facile cadere nell’incredulità. E Gesù allora proclama « beati quelli che non hanno visto e hanno creduto ». La vicenda di Tommaso, con la sua preghiera-adorazione – come risposta al Risorto, può essere anche la nostra.

Così il mostrare le piaghe da parte di Gesù risorto nel suo corpo glorioso accentua lo scandalo del male, perché segni della sua passione.

Davanti all’enigma del male, a cui l’uomo con la sua riflessione teologica, filosofica, psicologica non ha saputo dare una soddisfacente spiegazione, Dio, nel suo Figlio, lo affronta e lo vince e non dà spiegazioni razionali di esso, se non ponendo  l’atteggiamento dell’amore, che per dimostrarlo a chi si ama, si è disposti a donare la vita.

Nuova evangelizzazione.

Dalla fede nel Risorto, per coloro che credono in lui, nasce un nuovo stile di vita. Ripensiamo al sangue che ci ha liberato, allo Spirito che abbiamo ricevuto, e quindi in modo particolare  al Battesimo  che è stato l’inizio della nostra comunione al mistero pasquale.

A queste meraviglie della salvezza  deve corrispondere « il frutto della vita nuova » e la testimonianza a Gesù Vivente che,  nelle nostre opere, comporta: - l’essere assidui « nell’insegnamento degli apostoli, ( ascolto del vangelo ); - nella « comunione fraterna » (condivisione dei beni ); - nello «spezzare il pane » ( celebrazione dell’Eucaristia); - nelle « preghiere » ( pratica costante della relazione con Dio ) ». Con questa testimonianza, che comporta ciò che la comunità deve vivere e realizzare e non fidando in progetti e marketing, « Il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati ».

Al « timore dei giudei », forti della  presenza dello Spirito, i discepoli e i credenti in Gesù sostituirono una missionarietà fondata sulla fedeltà al mandato di Gesù di annunziare la sua risurrezione, anche a costo di andare incontro a persecuzioni o peripezie varie. Chiudersi nella propria referenzialità o  nella pigrizia della propria intima testimonianza senza il coraggio dell’annunzio, badare solo alla propria sopravvivenza nell’ambito della propria comunità o nel proprio gruppo , significa tradire, come Chiesa, come comunità più o meno grande che sia, la propria natura missionaria che Cristo ci ha comandato di avere, per continuare la sua missione: « Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi » (Gv 20,21).

Questo compito nobile, entusiasmante, è capace di aprire, nel nome del Signore, nuovi orizzonti,  sperimentare nuovi linguaggi, percorrere nuove vie di evangelizzazione, che lo Spirito del Risorto suggerisce e per cui dà forza e coraggio per realizzarle.

Prima Lettura: At, 2, 42-47.

Abbiamo il ritratto del modo in cui viveva la primitiva comunità cristiana: ascolto della parola degli apostoli, carità vicendevole, Eucaristia, preghiere comuni. Tutto questo produceva e irraggiava  gioia, ed era motivo di stima da parte di tutto il popolo. Ma un segno viene come privilegiato, là dove si dice che i credenti « avevano ogni cosa in comune ». Fede e amore reciproco stanno strettamente uniti. E’ facile invece separarli, credendo che la fede sia vera e sufficiente anche quando non sia animata e provata dalla carità. In questo caso il cuore si restringe al punto che non vi può più abitare la Parola  di Dio; e dove  non abita più la Parola di Dio la fede si spegne.

Seconda Lettura: 1 Pt 1,3-9.

La risurrezione di Cristo ha infuso nel nostro cuore la speranza: una speranza « viva » - precisa san Pietro -, capace di farci raggiungere l’eredità  dei cieli, cioè la comunione gloriosa con il Signore. L’apostolo osserva che questa eredità è tutta diversa da quella che viene lasciata  in questo mondo da padre in figlio: « Non si corrompe, non marcisce ».

Quaggiù l’eredità è sempre precaria ed esposta alla svalutazione e al deperimento. Senza dire che spesso è fonte di implacabili risse.  Con la speranza dell’eredità del cielo – la vita eterna con Cristo – non manca la gioia, ma anch’essa è ben diversa da quella superficiale che spesso  ricerchiamo. Nella speranza e nella gioia  riusciamo a sopportare le prove che ci affliggono. Esse purificano e danno pregio alla fede. Se no, sarebbe troppo facile dichiararci credenti, tirandoci indietro  quando il Signore ci chiama  ad associarci alla sua passione. Non è scansando la croce, ma morendoci sopra che Gesù ci ha acquistato l’eredità che non perisce.

Vangelo : Gv 20, 19-31.

Fissiamo la nostra attenzione su tre aspetti dell’incontro di Gesù risorto con i discepoli. Anzitutto il dono della pace, che è l’insieme dei beni che il mistero della Pasqua ha procurato agli uomini: la grazia divina, la gioia, la speranza. Poi l’effusione dello Spirito, per cui ci possono essere rimessi i peccati.

La Chiesa è il luogo e il sacramento della misericordia e del perdono, dal momento che in essa vive lo Spirito Santo. I ministri della Chiesa non trasmettono la propria santità ma lo Spirito che sa rinnovare  e purificare la vita.

Infine notiamo la professione di fede  di Tommaso, il quale riconosce Gesù come Signore e Dio. Ecco chi è Gesù ed ecco a che cosa tende la predicazione e la narrazione stessa del Vangelo: a fare scoprire in lui il vero Dio e il Signore glorioso. Per questo siamo chiamati fedeli e discepoli. Solo che la nostra fede non deve vacillare.

Per questo chiediamo in una colletta di poter rendere a Dio  « il libero servizio della nostra obbedienza e del nostro amore, per regnare con Cristo nella gloria ».

E’ la prova che la forza della risurrezione agisce in noi, che il Battesimo, cui abbiamo ripensato, viene realmente vissuto.

Ultimo aggiornamento (Sabato 26 Aprile 2014 22:53)