9 Febbraio - V Domenica del Tempo Ordinario.

Cristo, luce del mondo, ci illumina e chiede di essere luce.

Nello spirito delle Beatitudini, che sono la via più viva e credibile dell’annunzio del Vangelo, la Chiesa non è chiamata ad essere potente, ad avere successo, ma a seguire la logica di Dio e, poiché i criteri del mondo non sono quelli del Regno di Dio, può essere osteggiata e anche perseguitata. Certo, la marginalità,  l’essere osteggiati, perseguitati può mettere in crisi la fede e la speranza, ma le parole di Gesù del vangelo di oggi vogliono essere di incoraggiamento a non venir meno nell’impegno di essere sale e luce nel mondo.

 Identità e missione.

Gesù, rivolgendosi a coloro che vogliono seguirlo, dice: « Voi siete il sale della terra… siete la luce del mondo…» e chiede loro una “ identità ” che devono avere, non esprime tanto un desiderio o osservare un precetto morale. Questa identità è però frutto della grazia, che opera per la potenza dello Spirito Santo nel nostro cuore.

« Custodisci sempre  con paterna bontà la tua famiglia ». Così incominciamo oggi a pregare. Non siamo dunque degli estranei, ma siamo la famiglia di Dio, sulla quale veglia il suo amore. Abbiamo sempre bisogno di riaccendere questa certezza, avvolti come siamo da un’infinità di ansie, di ricorrenti motivi di timore, da tentazione e da sofferenze. E’ vero che la fede non li dissolve come d’incanto; li lascia ancora, e tuttavia dalla fede attingiamo la forza per non perdere la speranza, per aspettare con fiducia  la liberazione, per accettare con « vero spirito del vangelo » le prove in comunione con la passione redentrice di Cristo e rendere più viva l’attesa della vita eterna. Noi sappiamo che Dio si accosta « alla sofferenza di tutti gli uomini » e li unisce « alla Pasqua del suo Figlio ». E’ giusto  chiedere l’aiuto ai fratelli con i quali anzi siamo chiamati a « condividere il mistero  del dolore »; ma non dimentichiamo quanto la stessa  preghiera d’inizio afferma: « unico fondamento della nostra speranza è la grazia che viene da te, o Dio ».

Prima Lettura: Is 58, 7-10.

Si rende culto a Dio non attraverso delle pratiche esteriori; nemmeno con un andare a Messa per soddisfare un precetto. Chi divide il pane con il prossimo che ha fame, chi veste l’ignudo, chi ha spirito di comprensione e di perdono, trova il Signore, incontra la sua misericordia e può avere il cuore illuminato  dalla luce divina. La preghiera che salga da un animo duro, aspro, impietoso non è ascoltata da Dio. La domenica è anche il giorno della carità fraterna. Se no, non è nemmeno il giorno del Signore.

 Seconda Lettura: 1 Cor 2, 1-5.

Paolo dice: il contenuto, l’argomento della mia predicazione è stato Gesù Cristo crocifisso. Egli non è andato a Corinto a mostrare la propria bravura nel parlare, la propria scienza. Il tema non poteva essere più umile: Gesù in croce; Paolo stesso d’altronde non era un gran parlatore.

Ciò che contava e che ha prodotto le conversioni è stato lo Spirito Santo e la potenza di Dio. E’ sempre così: non le belle prediche, ma la grazia apre il cuore. Preghiamo per la conversine degli uomini: forse essa è necessaria anche in casa nostra. E’ facciamo dei sacrifici per meritarla un poco dal Signore, cercando di staccarci dalle belle parole, che accontentano l’orecchio ma non modificano la vita.

Vangelo: Mt 5, 13-16.

I discepoli di Gesù sono uomini come tutti gli altri: vivono e operano in mezzo al mondo; eppure qualcosa li distingue dagli altri: la loro fede e la loro carità li rende come sale e come luce. Questa è una identità nuova e anche la nostra missione, poiché Dio agisce nella storia attraverso le nostre scelte quotidiane. Il sale dà sapore, rende gradevole il cibo. Così deve essere un cristiano: capace di conferire il vero sapore della sapienza, dono dello Spirito di Dio. Testimoniare questa sapienza è la missione che il Signore ci affida, anche quando essa è osteggiata ed estranea alla logica del mondo. Dio, come dice Gesù, ci dona la sua forza e quando siamo sfiduciati, demotivati e stanchi, rivolgiamoci a lui per avere nuova gioia e nuova forza.

Gesù, ancora, attraverso la metafora della  luce, si proclama Luce del mondo, che rivela le cose nella luce di Dio e indica all’uomo il cammino da seguire, illuminato dalla giusta luce divina. Anche il popolo di Israele, vivendo la vera fede, avrebbe dovuto essere luce, così come noi, vivendo le Beatitudini, siamo luce se e nella misura in cui partecipiamo della luce di Cristo, da cui deriva la nostra missione profetica, affidata a tutti i credenti in lui,  di illuminare tutta l’umanità.

Richiamando  anche la necessità  del buon esempio delle opere con l’immagine della luce, si noti, che Gesù parla della  glorificazione del Padre. Esse infatti sono come il segno della presenza di Dio in mezzo agli uomini e alla loro storia e non devono essere solo espressione di religiosità sterile e ipocrita. Chi fa il bene rende presente Dio e conduce a lui.

Identità cristiana: incarnazione della Parola e missione.

Il sale della sapienza evangelica e la luce che deve risplendere devono esprimere l’identità cristiana per continuare il mandato profetico che Gesù assegna ai suoi discepoli e alla sua Chiesa. La Parola di Dio, efficace nella testimonianza dell’apostolo e nel cuore di chi riceve l’annuncio, ha la priorità. Essa, seminata da Dio nel cuore degli uomini, se da una parte deve essere contemplata e testimoniata da chi l’annunzia, dall’altra deve portare alla missione, cosicchè venga incarnata non come mera propaganda ma come realizzazione del regno di Dio anche in chi l’accoglie.

Paolo, nel riconoscere la propria debolezza, fa affidamento alla potenza della  Parola e assume la logica della croce, ritenendo di « non sapere altro in mezzo ai Corinzi  se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso » (1 Cor 2,2).

La missione animata dalla contemplazione  rende testimoni e si diventa credibili se si vive nella propria esperienza di vita, con le parole e le opere,  ciò che si è visto e si annunzia, per cui sant’ Ignazio d’Antiochia diceva scrivendo agli Efesini: « E’ meglio essere cristiano senza dirlo, che professarlo senza esserlo » e « E’ cosa buona insegnare, se chi parla pratica ciò che insegna ».