24 Novembre- 34a Domenica del Tempo Ordinario.

SOLENNITA’ DI CRISTO RE DELL’UNIVERSO.

Cristo Signore, re di pace e di unità.

 Cristo Gesù, davanti a Ponzio Pilato, che gli ha posto la domanda: “ Tu sei re? ”,rispose: « Io sono re. Ma il mio regno non è di questo mondo » (Gv 18). Egli è venuto a restaurare il regno di Dio e ha invitato gli uomini a conversione perché il Regno dei cieli è vicino (Mt 4,17). Ha proclamato che il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino (Mc 1,15); e  che il Regno di Dio  è in mezzo agli uomini  (Lc 17,21: Gesù con la sua presenza già attua il regno che annunzia e  dice di esserne  re, costituito tale dal Padre celeste.   

 Gesù è il Re dell’universo: la sua regalità silenziosamente, misteriosamente si va costruendo ogni giorno con la grazia che libera le creature dalla schiavitù del peccato e le unisce a lui in gioiosa obbedienza.

Tutti sono chiamati a far parte del regno,  poiché accogliendo Cristo si diventa figli di Dio e, di conseguenza, se ne accoglie la paternità e  la regalità. Il regno che Gesù instaura  e  rende presente è un regno di servizio, come egli stesso dice:  « Il  Figlio dell’uomo  infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» ( Mt 20, 28; Mc 10,45; Lc 22,24-27):  Egli darà la sua vita sulla croce, che se  è  trono di  sofferenza, non  è  di  fallimento, ma  trono, da cui attrae tutti a sé.

L’origine, quindi,  della regalità di Cristo non è la potenza mondana, ma il sacrificio della croce: «e sacriificando se stesso immacolata vittima di pace sull’altare della croce, Cristo è diventato Signore ». La sua risurrezione esalta  il  suo  sacrificio  salvifico,  avendoci liberato dal male e dalla morte e, avendoci unito a sé nella risurrezione, siamo trasferiti nel suo regno dal Padre celeste..

   Ora, senza dubbio, « nelle tormentate vicende della storia » il regno di amore e di pace del Signore non si avverte, sembra persino che non ci sia. In realtà è presente, e già vi appartengono quelli che si associano alla sua passione, vivendo nella giustizia e  nella carità, quelli che donano la vita per gli altri e hanno compreso   che servire evangelicamente è regnare. Cristo re,  al  termine della vita e della storia,  verrà a giudicare tutti con giustizia e misericordia.

  A conclusione: l’opera  salvifica del Padre a favore degli uomini trova  il suo massimo intervento nel dono  di Gesù,  suo Figlio,  posto come vittima di espiazione per i nostri peccati, per riconciliarci con Sé e vivere in piena comunione, ora nel tempo e poi nella gloria, con la Santa Trinità.

Per tutto questo siamo chiamati a rendere  grazie  con  gioia al Padre, che nel suo Figlio ci ha liberati dalla  morte e ci ha introdotti nel suo regno  di vita, di amore  e di  verità, di pace e  di giustizia, di gloria e santità. Resi nel Figlio membra del suo Corpo, siamo divenuti segno e strumento di salvezza universale, perché compiendo in noi, come dice San Paolo, ciò che manca ai patimenti del Cristo, possiamo giovare al bene di tutti, costruendo così la regalità di Dio tra gli uomini.

 Prima Lettura: 2 Sam5,1-3.

Davide è unto re sopra  Israele. Una regalità   non priva di ambiguità e di infedeltà. Un re   puro  e fedele, un pastore  perfetto, sarebbe venuto dopo, con Gesù, il Messia. Sarebbe stato lui a regnare sul trono di Davide « suo padre », e con una regalità senza fine.

Seconda Lettura: Col 1,12-20.

Gesù è il primo rispetto a tutti gli altri essere; è il modello di tutti gli esseri. Per mezzo  e in  vista di  lui tutto fu  progettato e creato. E’ il primo dei risorti. Su tutte le cose egli tiene la signoria. Tutti i valori si racchiudono e convergono in lui e in lui tutto si riconcilia con Dio.

Ma questo avviene in un  evento preciso: la morte in croce, l’effusione del sangue. Questo disegno ci  risulta  molto  oscuro. In ogni modo le cose sono liberate ed entrano a far parte del regno di Dio, non per una loro qualità nativa, non per  loro  diritto e potere, ma soltanto perché nella morte in croce  Gesù le riscatta.

Il nostro pensiero e il nostro  affetto  devono essere fissi alla croce. In particolare Gesù è Capo della  Chiesa, la quale è come il suo corpo, e noi ne siamo membra mediante la carità o la grazia. Chi è in grazia è nel regno di Cristo. Chi non è in grazia è nella schiavitù.

 Vangelo : Lc. 23, 35-43.

Sulla croce Gesù appare senza potere e  senza gloria; un vinto, non un vincitore,  un  oggetto di scherno per la sua « pretesa » di essere re, che poi va  a  finite  così male. Nel brano  che la liturgia ci fa ascoltare oggi, Luca,per ben tre volte, fa risuonare  le parole « re » e « regno » mettendole sulle labbra di alcuni  protagonisti della scena della crocifissione.

Uno   dei  ladroni,  crocifisso  con  lui,  sa  scorgere,   sotto  l’ immagine dell’uomo sconfitto e prossimo a morire, un innocente, uno che « non ha fatto nulla di male », anzi in qualche modo già un re, se gli si affida e gli si raccomanda dicendo: « Gesù, ricordati  di  me quando  sarai  nel  tuo regno ». A quella  confidenza Gesù risponde con  l’assicurazione del  paradiso, portandolo  con lui nel suo regno.

Ancora, in questo brano,  Luca, oltre  al buon ladrone, pone come testimoni della morte di Cristo, i capi del popolo che lo  deridono dicendogli di salvarsi; i soldati che fanno altrettanto dicendogli  di salvarsi se è il re  dei  Giudei: Sulla  croce, poi vi è la scritta : “ Gesù Nazareno Re dei Giudei ”.

Non  è molto diverso neppure per noi. Anche noi,  peccatori, siamo chiamati  a riconoscere Cristo Re,  nel crocifisso, e ad affidarci a lui con assoluta fiducia e speranza. Non ci devono trattenere le nostre colpe, nemmeno le più gravi.  Siamo acquistati dal sangue di Cristo, cioè dall’amore, e da questo immeritato amore  trasferiti nel Regno di Dio. Ma ci deve essere una fede  forte e assoluta.