27 Ottobre – 30a Domenica Tempo Ordinario.

La preghiera del fariseo e del pubblicano.

Ancora una volta Gesù ci insegna nella parabola del fariseo e del pubblicano al tempio quale atteggiamento dobbiamo tenere nella preghiera. Luca, all’inizio di questa parabola,  ci preannuncia chi sono quelli per i quali  Gesù la racconta: « La disse per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri ».

La preghiera che esprime la gioia non è stata mai condannata da Gesu, perché anche lui l’avrà vissuta come tutti i pellegrini che, andando a Gerusalemme per la festa delle Capanne, davanti alla vista di Gerusalemme ed entrando nel tempio, cantavano e danzavano di gioia accompagnati dal suono della tromba e del corno, dei tamburelli e dei cembali: ringraziavano Dio per il raccolto nella festa d’autunno.

E, come leggiamo nel Vangelo di Marco, Gesù cantò l’inno pasquale al termine dell’Ultima Cena.  Gesù quindi partecipa alla preghiera gioiosa. Non approva invece la preghiera fatta con atteggiamento di superbia, confidando in se stessi più che in Dio e avendo atteggiamenti di disprezzo verso i fratelli. Egli insegna che davanti a Dio dobbiamo presentarci con atteggiamento di umiltà, riconoscendo che solo lui è grande e santo e che noi, sue creature, siamo peccatori e fiduciosi nella sua misericordia.

 Il fariseo e il pubblicano: persone vere non caricature.

Gesù nella parabola ci presenta un pubblicano, esattore delle tasse, e il pubblicano, ritenuto pubblico peccatore nella mentalità corrente. Il primo, con il suo comportamento, dimostra il vero spirito del fariseismo, i cui aderenti  osservavano scrupolosamente la legge di Dio e tra loro venivano  reclutati, in genere, i giudici e gli scribi per la conoscenza che avevano della Bibbia. Essi si ritenevano perfetti, credevano di essere essi soli « il popolo di Dio » e « veri figli di Abramo ». Avevano inoltre un alto grado di autostima e credevano di potere occupare i primi posti nelle feste, nelle sinagoghe, di dover essere circondati di onori e riconoscimenti, di potere mettersi in vista nella preghiera al tempio. Una preghiera che recitavano diceva: « Signore, sei fortunato di potere contare su gente come noi!». E non solo si  ritenevano fortunati per aver Dio per padre, ma anche Dio poteva ritenersi fortunato di avere figli come loro.

Verso i pubblici peccatori, esattori delle tasse e prostitute, verso le persone che esercitavano mestieri più o meno ripugnanti, dimostravano disprezzo. Verso i pubblicani,  ebrei che avevano l’incarico da parte dei Romani di riscuotere le tasse dei loro connazionali, nutrivano un particolare disprezzo e li detestavano,  perché si erano asserviti allo straniero e  perché  molti si erano arricchiti estorcendo più denaro del dovuto ai contribuenti. 

Nella preghiera del fariseo, che il Vangelo ci riporta, egli esalta se stesso e loda la propria vita religiosa con la presunzione di essere giusto perchè osserva le prescrizioni della legge, e quindi non ha nulla da chiedere a Dio, non si aspetta nulla da lui. Egli fa mostra di sé, e dei suoi meriti e diritti davanti a Dio. L’altro invece, il pubblicano, con il rimorso nel cuore per le proprie colpe, entra nel tempio con la consapevolezza che davanti alla maestà e santità di Dio, a cui non ritiene di potersi avvicinare, deve riconoscere la propria miseria, battersi il petto pentito e chiedere perdono per i propri peccati di cui non sa nemmeno fare l’elenco.

Dal profondo del cuore sa dire soltanto: « Dio, abbi pietà di me peccatore! ». Questa dovrebbe essere la preghiera di tutti coloro che sanno di non valere niente di fronte a Dio e si rimettono alla misericordia e bontà di Dio.

Anche nella prima lettura dal libro del Siracide leggiamo la preghiera: « Il Signore ascolta la preghiera dell’oppresso …La preghiera del povero attraversa le nubi ».  E il Salmo 33, che oggi proclamiamo, afferma: « Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato… Non sarà condannato chi in lui si rifugia ».

 Quale la via della salvezza?

Il piano della salvezza che Dio ha predisposto a favore dell’uomo per mezzo del suo Figlio si realizza in chi assume nella sua esistenza lo stesso atteggiamento del pubblicano, il quale « tornò a casa sua giustificato ». La salvezza che il Padre ci dà ci raggiunge per mezzo della fede in Cristo salvatore, che Dio ha posto come mediatore di riconciliazione dell’uomo con lui. Nella fede in Cristo, che si è proclamato come la Via, venuto nel nome del Padre,  noi raggiungiamo Dio.

Il  fariseo, nel suo peccato di superbia, poiché crede che attraverso la sua preghiera, le sue opere e i suoi sacrifici può trovare salvezza presso Dio, dimentica che la salvezza è un dono del Padre. Oggi, in questo nostro tempo, in cui l’uomo, attraverso la sua scienza,  i suoi mezzi tecnici, crede di potersi salvare da solo, è frequente l’opinione che si può fare a meno di Dio e di Cristo. Così l’atteggiamento del pubblicano ritorna ad essere un gesto profetico per l’uomo di oggi, che, come abbiamo detto, presume di essere giusto e di non aver bisogno di Dio per migliorare se stesso e la vita dell’umanità. Il pubblicano o il vero credente riconosce che la salvezza viene da Dio, e ciò che fa è qualcosa di più che superare il formalismo religioso, o considerare la vicinanza ai sacramenti come un investimento sulla vita eterna. Bisogna per i figli presentarsi al Padre in profonda umiltà davanti a lui, indipendentemente da ciò che fanno, e ricevere il suo dono di grazia e di salvezza.  Riconosciamoci nel pubblicano e sentiamoci chiamati alla conversione del cuore per corrispondere all’amore che il  Padre ci ha  manifestato in Cristo Gesù.

Prima lettura: Sap 9,13-18.

Dio ascolta la preghiera di chi è umile. Non la rigetta, ammettendo preferenze e parzialità. Quello che il Signore chiede non sono doni esteriori, ma la giustizia, che sta nell’intimo del cuore. La discriminazione  è invece facile e abituale a noi, sensibili al prestigio  nell’accettare o meno una richiesta.

Seconda Lettura: Fm 9,10.12-17.

Paolo è alla fine della sua vita. Da uno sguardo retrospettivo essa gli appare una battaglia, una corsa, un impegno fedelmente assunto. Ma la sua fiducia totale nel Signore, che darà la corona a lui e q quelli che ne attendono la venuta con amore. Solo Gesù Cristo può essere il senso assoluto della vita. E’ lui che sta vicino, assiste, dà forza e salva per sempre.

Meditando il testamento di Paolo siamo indotti a verificare  il posto di Gesù nella nostra esistenza, la consistenza del nostro impegno di fede. Se questa presenza è sentita vivamente, riusciamo a venire a capo delle difficoltà, che sono sempre  molte, specialmente se vogliamo conservare la fede.

 Vangelo: Lc 14,25-33.

Il fariseo non è ascoltato, perché si presenta a Dio vantando i propri meriti ed elogiando le proprie virtù. Dio esaudisce la preghiera che sale da un cuore pentito, consapevole delle proprie colpe, affidato non alle proprie opere, di dubbia e precaria giustizia, ma alla grazia e alla pietà di Dio. Da sempre Dio ascolta solo l’orazione dell’umile.

Ultimo aggiornamento (Sabato 26 Ottobre 2013 21:49)