13 Ottobre – 28a Domenica Tempo Ordinario.

Rendere gloria a Dio.

Oggi la Parola di Dio ci invita a rendere gloria a Dio, nostro Padre e Salvatore. Naamàn, generale della Siria, colpito dalla lebbra, avendo sentito da una fanciulla ebrea dell’esistenza in Israele del profeta Eliseo, che nel nome di Dio avrebbe potuto guarirlo,  viene inviato dal suo re al re di Israele. Il profeta, a cui il re di Israele aveva mandato Naamàn, gli chiede di bagnarsi per sette volte nel fiume Giordano. Dopo qualche resistenza Naamàn asseconda la parola del profeta e la lebbra sparì dal suo corpo. Naamàn capì che la guarigione era opera del Dio d’Israele, e, per dimostrargli la sua riconoscenza, caricò i suoi muli di quella terra su cui regnava Dio.  Tornato in Siria, su quella terra che considerava santa, offrì sacrifici al Dio d’Israele.

   Il secondo fatto ci viene presentato dal Vangelo di Luca, ed è la guarigione di dieci lebbrosi. Gesù li incontrò in un villaggio dopo aver attraversato la Samaria. La comune malattia aveva fatto sparire il rancore che nella vita normale divideva Ebrei e Samaritani. Essi osservavano la legge dell’isolamento, voluta dalla Bibbia, e “ da lontano” gridarono fino ad attirare l’attenzione di Gesù: « Abbi pietà di noi! ». Gesù li esaudì, ma chiese anche un atto di fede. Chiese loro di recarsi subito dai sacerdoti – come ordinava la Bibbia – per far constatare la loro guarigione ed essere riammessi alla vita civile. Ed essi ebbero fede. Pur con le piaghe ancora aperte si misero in cammino, sicuri che la parola di Gesù li avrebbe guariti. Vengono sanati, ma uno solo « salvato »; il samaritano sente la necessità di tornare da Gesù per ringraziarlo: si getta ai suoi piedi, riconoscendo in lui la presenza di Dio.

Gesù è dolorosamente meravigliato. Lo fa notare con tre domande consecutive: « Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono ?  Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero? ».

 « Grazie »

   E’ una parola rara. Essa esige infatti un atto di riconoscenza e di amore verso chi ci ha fatto del bene. Ma la Parola di Dio oggi dice di più della semplice riconoscenza, supera le necessità della buona educazione. Grazie è sì una parola che arricchisce la relazione – così avviene anche nell’esperienza che facciamo di rapporti in cui la stima reciproca alimenta l’amicizia – ma non solo: ringraziare è un atto, una espressione di tutto il corpo, un coinvolgimento personale totale nel riconoscimento della grandezza dell’ Altro. Il lebbroso samaritano torna indietro. Egli supera la distanza iniziale, che lo aveva costretto, poiché nella condizione di lebbroso, a gridare da lontano a Gesù; scegliendo di tornare indietro, egli decide per la vicinanza a Dio. Chi sa di aver motivo di rendere gloria a Dio, accetta volentieri di restare in sua compagnia; gli dà del tempo, come si fa con gli amici, ed è lieto di accoglierlo. E poi la profondità spirituale del ringraziamento si svela nell’inginocchiarsi davanti a Dio: e tutta la sua persona, e non solo la mente a lodare Dio. Dunque il lebbroso esprime il suo grazie proprio con il corpo, che prima era limitato all’incontro e ora invece si fa « parola » per esprimere il suo amore a Dio.  Chi prega in ginocchio riconosce la grandezza di Dio e al contempo offre tutta la sua debolezza. In ginocchio ci si fa piccoli davanti al Santo, si vive l’umiltà del servo, si ricorda la totale dipendenza del figlio dal Padre.

C’e ancora un aspetto del ringraziamento su cui riflettere. Grazie non è solo una parola, ma un’opera.  Per gli Ebrei addirittura non esiste una parola per esprimere formalmente il grazie; ringraziare significa dire a tutti quanto grande e buono è il Signore. Ringraziare è parlare bene di lui, cantarne le meraviglie, lodarne le opere.

 Rendere grazie nei Sacramenti.

 Questo atteggiamento spirituale si vive nella fedeltà ai Sacramenti, in cui oggi si realizza il dono della grazia in favore degli uomini. Dopo la parola di Dio celebriamo l’Eucaristia, termine greco che significa « riconoscenza, gratitudine, ringraziamento ». Rivivremo l’ultima cena del Signore, e ricordano le meraviglie della misericordia di Dio verso di noi, gli offriremo come eucaristia, come ringraziamento, il corpo e sangue di Gesù. E’ il figlio suo, fatto nostro fratello per amore, e per amore morto per noi, per la nostra salvezza. La nostra Messa è il nostro grande « Grazie » a Dio.

 Prima Lettura: 2 Re, 5,14-17.

Naamàn  è guarito, grazie alla fede e all’umiltà con cui ascolta l’invito del profeta a bagnarsi nel fiume Giordano. Non ci sono miracoli a condizioni diverse. Per parte sua il profeta è un uomo distaccato: non accetta doni per sé; sa che è solo strumento di grazia. Conta solo Dio, che importa riconoscere e servire come l’unico Signore.

Seconda Lettura: 2Tm 2,8-13.

Al ministero dell’evangelizzazione non manca mai la sofferenza. Per il Vangelo Paolo soffre le catene. Tuttavia non si lascia deprimere. La parola di Dio rimane dell’sua efficacia e libertà: anzi la sofferenza di Paolo è vantaggiosa per i cristiani, per la salvezza degli eletti. Del resto per tutti la comunione alla gloria di Cristo passa per questa condizione: la perseveranza fedele che porta a morire con Gesù.

 Vangelo : Lc 17, 11-19.

La fede salva il lebbroso riconoscente. Anche gli altri sono guariti, ma sono occupati a usufruire, senza rendere grazie, della guarigione ricevuta. Per l’unico che torna indietro lodando Dio a gran voce la guarigione è veramente perfetta, è riconoscimento di Cristo, e salvezza piena. Questo lebbroso ci insegna ad essere riconoscenti per il dono di Dio e anche a vedere che il più grande dono di Dio è la redenzione dell’anima.