6 Ottobre – 27a Domenica del Tempo Ordinario.

            La fede e il servizio.

 

Il Signore oggi nella sua Parola ci chiede di avere una fede grande e incondizionata in Lui e un atteggiamento di servi umili e disinteressati  nel suo nome in mezzo alla comunità.

    « Il giusto vivrà per la sua fede ».

Abacuc, che vive durante la tirannia di Ioachim, re di Giuda, nel 600 a. C., rivolge a Dio i suoi lamenti: vede intorno a lui ingiustizie e violenza. Chiede a Dio: « Perché tu, o Dio, non intervieni? Perché permetti il trionfo dei violenti? ». Il Signore gli risponde facendogli capire che attraverso quegli avvenimenti egli intende mettere alla prova e purificare i giusti. Il profeta invita coloro a cui si rivolge ad alzare gli occhi da questa realtà passeggera  verso le realtà invisibili, che rimangano per sempre, e a guardare verso Dio. Così il profeta, ispirato, esprime il pensiero di Dio con un oracolo :« Il giusto vivrà per la sua fede ». La fede è la fiducia totale che il giusto ripone in Dio, il quale lo sostiene in tutte le sue vicende, specie quelle tristi e difficili dell’esistenza. E’ Dio che guida gli avvenimenti della storia e sa trarre il bene anche dal male e tutto riconduce al bene dell’uomo.

Le disgrazie, allora, non scoraggiano colui che ripone la sua fede in Dio, che ripone in lui la sua fiducia. Dio lo sostiene con la sua forza. Le prove e i travagli della vita, accettati con pazienza, come quella di Giobbe,  rendono iol giusto saldo nella sua totale fiducia in Dio.

Il giusto si rimette nelle mani di Dio qualunque cosa gli capiti e, con la pazienza e la resistenza di fronte al male, egli purifica la sua fede e si rende gradito a Dio.

 Accresci in noi la fede.

Gesù, parlando del pericolo che i discepoli possono correre di fronte alle ricchezze e della necessità di staccare il cuore dai beni  di questo mondo, li esorta ad avere fede riponendo la loro totale fiducia in Dio.

Così essi, davanti ad una fede ancora debole, fragile, incerta, accoratamente si rivolgono al Signore e gli chiedono: « Accresci la nostra fede ». Essi, poiché vogliono seguirlo, sono pur spaventati dalle difficoltà che incontreranno. Vogliono avere fiducia totale in lui e affidarsi alla sua parola senza titubanze,  pur riconoscendo le proprie debolezze.. Gesù, riconoscendo la loro fede in lui ancora semplice, iniziale, li rassicura e con una espressione semplice dice loro: « Se aveste fede quando un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe ». La fede dunque è al centro della riflessione che oggi il Signore vuol farci vivere.

Dice il Concilio nel Dei Verbum: «  Con la fede l’uomo si affida totalmente e liberamente a Dio, e gli dona la sottomissione completa della sua intelligenza e della sua volontà » . Aver fede in Dio significa allora accettare come vero tutto quello che Dio ci rivela, di sé e delle realtà divine,  per mezzo di Gesù, suo Figlio; fidarci di lui fino in fondo e senza riserve e, di conseguenza, comportarci secondo la sua volontà.

La parola fede, nella lingua semitica di Gesù, significa certezza, fermezza, sicurezza e fiducia. Tutto ciò richiama alla mente la figura del bambino che si affida totalmente e saldamente nelle braccia  della madre e del padre. Aver fede per Gesù significa, allora,  lasciarsi portare in braccio da Dio.

   Con la forza dello Spirito, che vivifica e sostiene il credente, la fede si accresce, si fortifica, si rinsalda. Dobbiamo porre quindi un confronto serio tra la fede che Gesù ci chiede e la nostra vita, per verificare se davvero abbiamo accolto e sviluppato questo dono di Dio, datoci nel battesimo insieme alla speranza e alla carità, e così giudicare se agiamo secondo il pensiero di Cristo. Insieme, nella comunità tutta, dobbiamo confrontare e raccontare la nostra fede, non solo con le sue difficoltà, ma anche con le sue esperienze positive.

 La fede vissuta come servizio.

 Nella parabola di oggi Gesù ci parla del servo disinteressato e umile, che Egli propone come modello, non solo agli apostoli  e a coloro che hanno responsabilità nella comunità, ma a tutti. La parabola è uno spaccato di vita riguardante il rapporto tra il padrone e i suoi servi, i quali venivano sfruttati senza scrupoli non esistendo né contratti di lavoro, né limiti di orario, ma peggio, dopo aver faticato nei vari lavori, dovevano, tornando a casa, servire i loro padroni. Solo dopo potevano  pensare a sé stessi e ai loro bisogni. Gesù, più che giudicare tali rapporti disumani, partendo da tali vicende, vuole dare degli insegnamenti che devono formare una nuova mentalità nei discepoli: indicare quale deve essere l’atteggiamento del discepolo nella comunità cristiana. Il suo deve essere un servizio disinteressato e umile. Egli invita i suoi a realizzare una mentalità diversa, dove i rappresentanti del « divino » non  vendono le loro prestazioni nè cercano privilegi e posti d’onore e di autorità.

Nelle comunità cristiane, a cominciare dagli apostoli, tutti devono sentirsi e essere umili, poveri e semplici  servi. Tutto quello che si fa deve essere fatto per amore, come servizio, senza pretese di ricompensa  o di prestigio. Gesù, che nell’ultima Cena ha lavato i piedi ai discepoli, lui il Maestro e Signore, rimane sempre il modello di colui che è chiamato a servire la comunità cristiana, indossando il grembiule  e servendo come ha fatto lui.

Prima lettura: Ab 1,2-3;2,2-4.

Tanto e tale è il male, l’ingiustizia, il disordine che c’è nel mondo del suo tempo, che il profeta Abacuc non può fare a meno di sollevare il suo lamento. Sono parole forti, che forse sono passate anche sulle nostre labbra: « Perché mi fasi vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? ». La risposta di Dio è quella di avere fede in lui, nel compimento del suo disegno, nonostante la tirannia di Ioachim. Chi ne dubiti perisce, chi invece ha fiducia si salverà: « Il giusto vivrà per la sua fede ». Sarà il  grande tema della predicazione e dell’insegnamento di Paolo. Ed è il richiamo continuamente necessario.

Secondo Lettura: 2 Tm 1,6-8.13-14.

Timoteo non deve temere nell’esercizio del suo ministero, non deve lasciarsi prendere dalla timidezza, ma essere coerente con  « lo spirito di forza, di carità  e di prudenza » che ha ricevuto e che deve perseverare. Quando Paolo gli ha imposto le mani, Timoteo ha ricevuto un « dono »che non si è consumato o logorato, e che si tratta di riaccendere e ravvivare. Come Paolo il suo collaboratore deve prendersi la propria parte  di sofferenze per il Vangelo, aiutato dalla « forza di Dio ». Non c’è impegno apostolico senza sofferenze, non c’è custodia del Vangelo senza passione. Ma sostiene l’aiuto dello Spirito Santo che opera e rende testimoni coraggiosi e fiduciosi.

Vangelo . Lc 17,5-10.

Gli apostoli sentono il bisogno di avere una fede più grande. Vicino a Gesù capiscono che senza di essa non possono esserne discepoli. E d’altronde tale è la preziosità, il valore della fede, che ne basterebbe poca. Con la fede ci si mette direttamente in contatto con la potenza di Dio: l’uomo riesce come a disporne. C’è un altro richiamo nel brano del Vangelo: quello di considerarsi dei servitori, di non vantarsi, di non accampare pretese su nessuno, di non fondarsi sui propri meriti. La salvezza è pura e tutta grazia.