29       Settembre – 26a Domenica Tempo Ordinario.

La vita oltre la morte per il ricco e il povero.

 La ricchezza è per l’uomo una realtà che può esporlo al pericolo di rinchiuderlo nell’ egoismo. Così, ancora una volta, la Parola di Dio di questa Domenica ci invita a convertirci e a cambiare il nostro atteggiamento  verso la ricchezza e  al suo uso.

I protagonisti della parabola di oggi sono il ricco, che mangia e beve lautamente, e il povero Lazzaro, che muore di fame davanti alla porta del ricco  e non  riceve  neppure le briciole che cadono dalla  sua tavola. .

Gesù, rifacendosi alle parole di Amos, vissuto 750 anni e che descrive il comportamento dei ricchi, vestiti di abiti costosissimi e banchettanti con cibi  abbondanti, odoranti di profumi raffinati, parla del ricco epulone che, banchettando  con  gli amici nella sua casa, non è scalfito nel suo egoismo da nessun rimorso o problema. Non si accorge nemmeno del povero Lazzaro, affamato e coperto di piaghe, che attende davanti alla sua porta qualche briciola del suo cibo e che solo ai cani sembra far compassione.

 E oltre questa vita terrena cosa attende entrambi?

 Nella seconda parte della parabola, Gesù descrive, dopo la morte di entrambi, la nuova situazione di vita in cui vengono a trovarsi. Infatti,con la morte  dei due protagonisti non finisce la storia, così come non finisce la nostra vita  dopo la nostra morte. Anche gli uomini di oggi forse sono abituati a pensare: « Ridi, soffri, mangi, ti diverti, poi arriva la morte, ed è tutto finito ». Gesù ci dice, invece, con forza che questa concezione della vita non è secondo lo schema di Dio. La storia della nostra vita, per il ricco mangione e beone, per il povero Lazzaro, per i ricchi e i prepotenti, i poveri e i diseredati la storia continua. Lazzaro, che ha in vita sofferto fame, sete e ogni rifiuto di aiuto, viene portato dagli angeli nel la pace e nel seno  di Abramo, mentre il ricco finisce all’inferno tra indicibili tormenti e a soffrire l’arsura della sete.

Davanti a questa realtà, noi, che spesso esorcizziamo la morte piuttosto che contemplare il mistero della vita oltre terrena, accettiamo questa prospettiva dell’esistenza che Gesù ci presenta e che,  volenti o nolenti, la sua parola divina ce ne dà   certezza? Se  accogliamo il  versante della esistenza oltre quella  terrena, allora, dobbiamo pensare in quale realtà vogliamo approdare dopo la morte. Questo versante è decisivo  per il nostro destino, perché è il definitivo e non ci è data un’altra possibilità per modificarne la condizione. Se la vita terrena è certo  importante, ma sappiamo che è transitoria e si consuma giorno dopo giorno, allora, domandiamoci seriamente a quale condizione vorremmo pervenire: in quella di Lazzaro, nella comunione e nella gioia di Dio,  o in quella  del  ricco, tra i tormenti   dell’inferno e della lontananza da Dio?

 A sorti rovesciate.

 Nella logica di Dio le sorti sono rovesciate. Gesù, contro la convinzione corrente al suo tempo che riteneva la ricchezza una benedizione della benevolenza di Dio, ammonisce che essa può essere fonte di divisione e di discriminazione, di peccato e di egoismo. D’altra parte, tutta la Bibbia ci presenta  la  logica di Dio diversa da quella dell’uomo,  una pedagogia che ribalta la storia: Maria nel Magnificat canta la bontà d Dio che “ innalza gli umili e abbassa i potenti, ricolma di beni gli affamati e rimanda a mani vuote i ricchi”, rovesciandone le sorti. Anche le Beatitudini  non sono nel medesimo registro della parabola di oggi poiché in esse il piano di Dio stravolge ciò che nella logica dell’uomo appare come la cosa più giusta? Tutta la parola di Dio, con tutta la sua forza, si presenta come Parola che stravolge il modo di pensare e agire dell’uomo e lo invita alla conversione per trasformare la sua  mentalità.    

Per il credente in Cristo nel Vangelo di Gesù non vi è un manifesto di rivoluzione politica quanto il progetto di una società fondata sull’amore, nella solidarietà e nella convinzione  che i diritti umani, radicati nella coscienza, rendono gli uomini uguali davanti a Dio, come sue creature, come figli e fratelli in Cristo. E’ nell’amore che Dio cambia la storia e salva l’uomo. La salvezza di Cristo avviene nella conversione del cuore degli uomini, diversamente egli stesso avrebbe intrapreso una rivoluzione contro i potenti della terra.

 Dopo la morte, ci dice Gesù, la condizione personale di ognuno può cambiare totalmente:  il ricco, dal suo benestare egoistico  e nel lusso, può ritrovarsi nel tormento e il povero, dall’estrema povertà accettata con rassegnazione e fede, ritrovarsi nella felicità. Quindi  la situazione personale di ognuno può cambiare radicalmente nella vita in cui saremo chiamati ad entrare dopo la nostra morte. Né possiamo banalizzare sulla rappresentazione che Gesù, servendosi delle immagini della letteratura  del tempo, fa del  paradiso o dell’inferno. Egli, più che darci indicazioni geografiche su realtà future, vuol dirci che la condizione di vita in cui ci ritroveremo dopo la morte è questione seria, da non  sottovalutare, e che l’una o l’altra delle condizioni  sono verità fondamentale della fede cristiana: dopo questa esistenza terrena Dio ci chiederà conto di come abbiamo vissuto e come abbiamo usato i suoi doni spirituali e materiali.

Gesù, inoltre, non demonizza la ricchezza, ma ci chiede di non lasciarsi abbindolare dal suo luccichio, dal benessere che da essa può venirci. Ci invita ad usare ciò che possediamo per il bene di tanti fratelli che come Lazzaro vivono accanto a noi e bussano al nostro cuore per un gesto di solidarietà e di giustizia.

Gesù non condanna la ricchezza e i beni che possediamo quanto l’egoismo che porta alla condanna. La proposta di Gesù, pur nella sua durezza, è un invito alla conversione del cuore. Egli ci ammonisce dicendoci che per convertirsi non è necessario vedere miracoli, come chiedeva il ricco ad Abramo mandando Lazzaro risorto  ai suoi fratelli, che come lui vivevano dissolutamente. Occorre solo togliere da sé l’egoismo per far ridestare la fede ascoltando la sua parola e realizzando  gesti d’amore.

 Prima Lettura: Am 6,1.4-7.

Amos è il profeta che denunzia con estremo vigore le ingiustizie sociali, il lusso che offende la povertà, la spensieratezza e l’orgia dei «dissoluti». Ma questi non devono illudersi: « andranno in esilio in testa ai deportati ». I beni passano, mentre rimane la condanna divina.

 Seconda Lettura: 1 Tm 6,11-16.

Timòteo, « uomo di Dio », guida della comunità, deve essere esemplare nella sua condotta: mite, caritatevole, anche battagliero per la fede, a cui deve dare « una bella testimonianza »; e deve conservare il Vangelo intatto, in attesa della venuta del Signore.

 Vangelo: Lc 16,19-31.

L’uomo ricco, dal cuore egoista e soddisfatto dei suoi beni, si illude che la propria condizione  possa continuare. In realtà alla sua morte tutto è capovolto: viene posto « negli inferi fra i tormenti ». Anche la situazione di Lazzaro, il mendicante, è rovesciata e trova consolazione: una legge del contrappasso, con la determinazione  di due situazioni irreversibili. Per non essere nella condizione del ricco occorre ascoltare la Parola di Dio, usare le ricchezze  con distacco e attenzione  agli altri; avere il cuore libero, aperto ai veri segni di Dio e non tanto a prodigi strepitosi o spettacolari. La ricchezza porta sempre  attaccamenti e chiusure nel cuore. Chi segue il Vangelo non può farne il motivo della vita, ma se ne disfa e, per quanto necessaria, la usa con distacco.

Ultimo aggiornamento (Sabato 28 Settembre 2013 16:19)