25 Agosto –XXI Domenica del Tempo Ordinario.

La strada stretta della salvezza.

Chi può partecipare della salvezza? E’ una domanda che è stata posta a Gesù in questi termini:« Signore, sono pochi quelli che si salvano? ». Nel tradizione culturale ebraica  si pensava che tutti gli ebrei  avrebbero partecipato al regno futuro di Dio. Appartenere al popolo ebraico era una condizione indispensabile insieme alla recita quotidiana dello shemà, mattina e sera ecc. Questa convinzione faceva ritenere che sarebbero stati esclusi dalla salvezza tutti gli appartenenti ad altri popoli.

 Per Gesù, che riprende la convinzione di Isaia, come leggiamo nella prima Lettura: « Io, dice il Signore, verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria»,  tutti davanti a Dio abbiamo la stessa dignità, né si può accampare qualche privilegio derivante dall’appartenenza, o per la cultura o altro. Dio, in quanto Padre di tutti, vuole la salvezza di tutti, come ci ripete Gesù: « Verranno dall’oriente e dall’ occidente, da settentrione e da mezzogiorno, e siederanno a mensa nel regno di Dio » (Lc 13,29).

 Meritare la salvezza.

La risposta di Gesù apre  alla speranza di partecipare alla salvezza da parte di tutti i popoli, poiché, partecipando della figliolanza di Dio a tutti gli effetti, non sono discriminati rispetto al popolo Ebraico. Ma bisogna  entrare nella salvezza  attraverso una “ porta stretta ”  cui possono entrare tutti, ebrei,  i discepoli, e tutti coloro che intendono seguirlo verso Gerusalemme, luogo della sua passione, morte e risurrezione.

Molti « cercheranno di entrare ma non ci riusciranno », perché per salvarsi  non basta averlo riconosciuto, aver mangiato e bevuto alla sua presenza e ascoltato il suo insegnamento, se si è  rimasti operatori di ingiustizie. La condizione per poter entrare non è  bussare alla porta e pregare: «Signore, Signore, aprici ».  Per entrare nel regno bisogna accogliere il suo invito alla conversione, allontanandosi da ogni forma di male e da ogni genere di iniquità,

 La conversione come nuovo abito interiore per partecipare della salvezza.

Convertirsi al Signore significa riconoscersi peccatori davanti a lui; rinnovarsi nella mente e nel cuore assumendo atteggiamenti e comportamenti conformi alla volontà del Signore; accogliere la logica e il modo di pensare di Dio, pronti anche a rinunziare a ciò che può essere  importante e caro nella nostra vita; liberarsi dai vari idoli che sorgono in noi e a cui ci asserviamo anche senza accorgercene  e a cui leghiamo il cuore: prestigio sociale, superbia e vanagloria, benessere, ricerca di vari piaceri, affetti disordinati e i vari pregiudizi, ecc.

Il pentimento però non può ridursi a pura sensazione morale che ci fa sentire liberi dal senso di colpa. Il pentimento sincero deve farci prendere coscienza che peccando abbiamo rifiutato l’amore di Dio manifestasi nel Figlio crocifisso, che si è addossato le nostre iniquità.

Le lacrime del pentimento che irrorano il nostro spirito, paragonate all’acqua purificatrice del battesimo, e il perdono di Dio ci ridanno la vita nuova della grazia e dell’amicizia con lui, iniziata con il battesimo ma interrotta dal peccato. Il pentimento sincero è quella porta stretta di cui parla Gesù, attraverso la quale, riconoscendoci peccatori ( cosa che a volte non tanto volentieri facciamo), possiamo tornare in un rinnovato rapporto con Dio. Inoltre, come per Gesù la porta stretta  è stata la croce, attraverso cui egli è entrato nella gloria, così anche per il penitente, che partecipa alla croce di Gesù morendo ai propri peccati, è aperta la porta che lo introduce nel banchetto eterno e nella gloria di Dio, a cui bisogna partecipare con la veste nuziale.

Solo donando la propria vita come ha fatto Gesù si potrà sedere accanto al Padre e gioire nella pienezza di comunione con lui.

Solo il titolo di aver partecipato alla croce di Cristo, morendo con lui ai nostri peccati, è l’unica via che porta al Signore, non tanto l’appartenenza o il seguire le tradizioni o la cultura: davanti a Cristo crocifisso ormai non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna.

Dio raggiunge il peccatore pentito con la forza del suo Spirito che lo guida sulla via del ritorno e gli fa prendere coscienza delle sue iniquità, lo riconcilia a sé mediante la morte del suo Figlio e con l’effusione del suo Spirito lo rigenera e rinnova con la sua grazia a vita nuova. Rinnovato così profondamente il credente ritorna a vivere nella sua dignità di figlio nella piena comunione con il Padre celeste e con gli altri fratelli.

La conversione è un cammino che bisogna realizzare lungo l’arco della propria vita in un continuo crescendo, passando continuamente da una vita secondo la carne e i suoi desideri, come diceva san Paolo, a una vita secondo lo Spirito e le sue istanze.

 Prima Lettura:  Is 66,18-21.

La salvezza è per tutti i popoli. Gli ebrei hanno preceduto, ma poi sono tutti chiamati al culto dell’unico Signore, senza esclusione di nessuno. Infatti la salvezza non è merito, ma una grazia che viene solo da Dio. A tutte le creature Gesù destina  il suo Vangelo.

Seconda Lettura: Eb 12,5-7.11-13,

La sofferenza che Dio ci fa incontrare non è senza senso. E’ una correzione, un segno di amore da parte del Padre. Siamo esortati a non   lasciarci abbattere dalla tristezza senza speranza, dall’avvilimento. Sapessimo sfruttare per la nostra guarigione spirituale quanto il Signore ci manda o permette di doloroso e cogliere il  « frutto  di pace e di giustizia », nascosto nella pena piccola o grande che non cessa mai di accompagnarci !

Vangelo: Lc 13,22-30.

La salvezza richiede sforzo: si tratta di passare per « la porta stretta ». Non servano a nulla le parole; neppure basta aver conosciuto  e predicato il Signore per farci riconoscere da lui ed essere accolti.

L’essere stato primo, l’aver avuto l’elezione, quindi la preferenza divina, non servirà all’Israele che rigetta Gesù Cristo; avranno la precedenza quanti sono venuti dopo, i gentili, che hanno creduto e messo in pratica il Vangelo. Questa legge della sostituzione  non ha perduto attualità. Saremo alla mensa nel Regno di Dio se avremo risposto con fedeltà operosa alla chiamata.