11 Agosto – XIX Domenica del Tempo Ordinario.

La vigilanza e l’attesa del Signore.

 La parola di Dio, anche oggi, ci esorta ad avere verso la ricchezza, l’attaccamento ai beni terreni e il desiderio di accumulare tesori sulla terra,  un atteggiamento di distacco e a vivere nella fede la vigilanza nell’attesa del nostro incontro con il Signore. Siamo esortati dal Signore, attraverso la sua parola, non solo ad una riflessione morale sui nostri atteggiamenti nei confronti delle realtà terrene da cui dobbiamo vivere distaccati, ma soprattutto a vivere uno spirito di povertà, incamminati verso la risurrezione e all’incontro con il Signore nel suo ritorno glorioso.

Il ricordo delle opere compiute da Dio verso il suo popolo nella prima lettura ci fa riflettere sulla bontà del Signore e ce ne fa cantare le lodi.

La memoria di ciò che il Signore ha fatto per il suo popolo e per noi deve rafforzarci nella fede e vivere fiduciosi che, nella sua venuta, egli riverserà sui suoi figli l’amore che già hanno potuto sperimentare. Allora la storia dell’umanità si apre ad una prospettiva ultraterrena ed universale, cioè le nostre vicende sono inserite nell’eterno, in cui tutti siamo coinvolti per il progetto d’amore di Dio Padre. Nella lettera agli Ebrei ci viene riproposta la fede di Abramo che nella fede compie il  viaggio verso un luogo a lui ignoto, la Terra promessa; la fede dei patriarchi, Isacco e Giacobbe, di Sara, i quali morirono tutti nella fede, « senza aver ottenuto i beni promessi, ma solo di averli visti e salutati da lontano, riconoscendosi  di essere stranieri e pellegrini sulla terra » ; la fede del popolo d’Israele  che Dio accompagna, lungo il deserto, facendosi guida con la colonna di fuoco, mentre per i battezzati nel Cristo la luce del battesimo ci guida lungo la vita terrena verso la patria celeste.

La sequela del Signore.

Nel Vangelo Gesù ci presenta precisi atteggiamenti per la nostra vita cristiana: la scelta che dobbiamo fare di seguire e imitare Gesù, tesoro da custodire nel nostro cuore. La scelta radicale di seguire Gesù si concretizza nel vendere tutto ciò che si possiede e facendo l’elemosina ai poveri;  vivendo, inoltre, la povertà come distacco da ogni forma di possesso egoistico  dei beni materiali, liberi interiormente e pronti a poter andare incontro al Signore nel nostro incontro con lui. E’, ci dice Gesù, in concreto, un cammino di liberazione da se stessi e dal proprio egoismo, tenendo sempre presente ciò che è davvero importante: essere sempre pronti all’incontro con il Signore. Vivere nella sobrietà, poi, non significa voler ostentare povertà, né ritenerlo dovere morale, o modo di tacitare la coscienza, ma solo vivere nella speranza del tempo nuovo che Cristo ha inaugurato con la sua resurrezione e che noi anticipiamo nella vita della Chiesa, che è primizia del regno sulla terra.

La vigilanza.

Un altro atteggiamento che il Vangelo ci suggerisce nella seconda parte è quello della vigilanza  che dobbiamo vivere nell’attesa del Cristo, il quale ci ha assicurato che verrà. Se già il cristiano si sente appagato da ciò che possiede che cosa può ancora sperare? Forse dal desiderio di possedere sempre di più. Vivere nella speranza dell’incontro con il Signore richiede la capacità  di farsi povero vivendo tutta la vita come un dono di grazia e come abbandono fiducioso in Dio e nella sua provvidenza. Solo chi è veramente povero nel senso evangelico può vivere la speranza, e divenuti discepoli di Gesù, testimoniare e vivere la tensione verso la vita futura realizzata da Cristo: si risponde così all’invito pressante che Egli ci rivolge: « Siate pronti , con le cinture ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito » (Lc 12,34).

San Paolo e i Padri della Chiesa hanno fatto spesso eco all’esortazione di Gesù e il Cardinale Martini scriveva: « Il vigilare non è dunque un atteggiamento marginale della vita cristiana, ma ne riassume la tensione caratteristica verso il futuro di Dio congiungendola con l’attenzione e la cura per il momento presente. Il vigilare diviene particolarmente  attuale nei tempi di crisi o di smarrimento, quando cioè la mancanza di prospettive storiche unita ad una certa abbondanza di beni materiali rischia di addormentare la coscienza nel godimento egoistico di quanto si possiede, dimenticando la gravità dell’ora e il bisogno di scelte coraggiose e austere».

Vigilare sempre, specie nell’ora della morte.

La vigilanza per il cristiano deve essere esercitata in tante modalità e tempi. Nella scelta quotidiana dei propri doveri davanti alle facili tentazioni di eluderli; l’attenzione nel porre gesti di servizio a favore dei fratelli; saper vigilare e essere pronti nell’aderire al progetto salvifico di Dio prendendo  decisioni che educhino l’individuo nelle scelte della vita per sé per gli altri; vigilare soprattutto sulla morte che deve far porre l’attenzione di tutti verso  chi vive l’angoscia della morte nella malattia, nella vecchiaia. La Chiesa tutta deve saper vigilare affinché, valorizzando il Sacramento dell’Unzione degli Infermi, faccia vivere il gesto come momento di comunione fraterna, come dono di una speranza nuova che rende forti nella vigilanza contro ogni forma di scoraggiamento.

Vigilare nel momento finale e più importante dell’esistenza.

In ultimo davanti alla morte il cristiano deve essere vigile e forte nella sua adesione finale al Signore, davanti al quale si è chiamati a comparire. Il cristiano, recitando l’Ave Maria, chiede alla Madre celeste che « Preghi per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte », avendo così sempre presente il ricordo che la nostra vita terrena finisce e che noi siamo chiamati ad andare verso Dio. Veniamo così richiamati costantemente verso le realtà che hanno per noi la massima importanza. Gesù d’altra parte, ci ammonisce ricordandoci: « Che importa all’uomo guadagnare anche il mondo intero se poi perde la sua anima? » ( Mt 16,26). Gesù vuole farci vivere la nostra esistenza con grande senso di responsabilità, perché alla fine della nostra vita ci domanderà cosa abbiamo fatto  per i nostri fratelli in difficoltà, per gli ammalati, gli esclusi, per gli affamati di giustizia, per i privati della loro dignità. Vigilando in ogni momento della vita, compiendo il bene, vivremo l’ultimo istante della nostra vita sicuri che nella casa del Padre celeste saremo accolti come servi saggi, chiamati a vivere con Lui nella eternità.

Prima Lettura: Sap 18,6-9.

E’ bene meditare sulle opere di Dio, sui suoi interventi di grazia, e particolarmente sulla liberazione pasquale, dove Dio stesso con i suoi miracoli conduce il suo popolo, premia quanti gli sono fedeli e giudica chi si oppone al suo disegno. Questa meditazione infonde speranza, fondata sulla fedeltà di Dio, che non abbandona. Anche i cristiani tornano, con  la memoria e con il rendimento di grazie , al «glorioso emigrare », ormai avvenuto con la Pasqua di Cristo, e in atto sotto la sua guida. Rimeditando la Pasqua di Gesù, stiamo di buon animo: alimentiamo la fede; rafforziamo l’impegno. Non vacilliamo: l’Eucaristia è la presenza di Cristo che ci fa da guida nel viaggio.

Seconda Lettura: Eb 11,1-2.8-19.

La fede è ciò che contrassegna  gli amici di Dio, i suoi fiduciari e collaboratori nel compimento della storia della salvezza. E’ per questa stessa fede che si è « approvasti da Dio », cioè si è giusti davanti a Dio. La fede però deve diventare operosa: si crede, si obbedisce, si spera in Colui che è fedele e si attende dalla sua infallibile parola e promessa. La fede infatti è un’attesa, un cammino, un sospiro, un desiderio, una ricerca della patria celeste oltre questa terra. Esemplare di questa fede è Abramo, con la sua disponibilità persino  a sacrificare il figlio, con la certezza che « Dio è capace di far risorgere  anche dai morti ». A queste condizioni  siamo credenti anche noi; anche noi facciamo l'esperienza della morte e della vita. Soprattutto faremo un giorno questa esperienza , quando ci accorgeremo che Dio non ha mentito. Invece siamo sempre tentati di diffidare, di non credere fino in fondo, di trattenerci nelle buone intenzioni senza passare all’opera della fede. Gesù. ritornato alla vita dopo la morte, ci deve dare sicurezza.

Vangelo : Lc 12,32-48.

In questo mondo il cristiano è come « un piccolo gregge », ma non deve sentirsi meschino e trascurato; al contrario : il Regno è proprio dato a lui dal Padre. Questo Regno è per i poveri e gli umili, e per essere tale il discepolo del Signore si distacca dai beni di questo mondo, e pone il suo cuore altrove, dove c’è il suo tesoro, Gesù Cristo. Per la stessa ragione il cristiano vive vigile e pronto, in attesa dell’incontro con il Signore, per non farsi trovare assonnato e indisposto, ma pronto. Allora sarà Gesù stesso a invitarlo al banchetto celeste e a servirlo. Occorre essere fedeli e saggi.

Vale per tutti l’ammonimento, e in modo particolare per quanti hanno nella Chiesa una responsabilità: non devono comportarsi con  arbitrio e prepotenza, ma servendo e attendendo  il padrone. Solo Cristo è il Signore,  e tutti siamo servi nella sua Chiesa.

Ultimo aggiornamento (Sabato 10 Agosto 2013 23:51)