4 Agosto – 18a Domenica del Tempo Ordinario.

         I VERI  TESORI.

La ricchezza, tema attuale anche nel nostro tempo, la si può considera in varia maniera: o come desiderio di possedere, o come una realtà da cui si vorrebbe essere baciati, o come preoccupazione di ciò che si vorrebbe difendere, o come sogno che non è possibile realizzare non avendo, a volte, neanche un lavoro. Con il denaro, almeno nella nostra società occidentale, si pensa di poter avere accesso a tutto, e non solo alle cose materiali.

Oltre che le case, il successo, la salute ecc. si pensa anche che è possibile comprare le persone. La proprietà (siano essi beni o denaro), da mezzo materiale, garanzia di sussistenza per la vita, la si considera, da parte di tanti, come idolo, da realizzare a tutti i costi e la si idolatra fino a diventare « avarizia insaziabile » (Col 3,5).

Davanti al benessere si assume, spesse volte, un atteggiamento da schiavi e la nostra società ci spinge verso un consumismo sfrenato, per cui il possesso delle cose diventa segno di realizzazione personale o di promozione sociale, uno status symbol. Oggi, la Parola di Dio ci chiama ad un confronto della nostra vita con essa e ci sollecita ad una presa di coscienza riguardo al nostro rapporto con la ricchezza.

 Dove sta la vita sapiente?

  Nella prima lettura, dal libro del Qoèlet, ci viene fornita la consapevolezza che dobbiamo avere della transitorietà delle cose umane e materiali.

La vera sapienza ci porta ad esaminare le cose spirituali e ci invita a riconoscere quello che davvero conta nella vita, considerando tutto, ricchezza, onori, successo, benessere, fatiche e preoccupazioni del cuore e affanni, come vanità. La sapienza  che viene dall’alto ci invita a ricercare una felicità duratura, un bene veramente prezioso per il nostro cuore. Siamo esortati a considerare le cose che concretamente possediamo alla luce della Parola di Dio e in relazione con il Signore.

Il credente deve, allora, valutare i beni e ciò che si può avere nella vita, anche se raggiunti con fatica, alla luce della fede e della rivelazione di Dio. Gesù, poi, nel Vangelo ci insegna a diffidare  della ricchezza, soprattutto quando si ricerca o la si ritiene con cupidigia e avarizia: perché la  vita non dipende dall’abbondanza dei beni che si possiedono.

Gesù, attraverso la parabola del ricco possidente, i cui campi avevano dato un abbondante raccolto, e che aveva fatto un programma di vita dicendo a stesso: riposati, mangia, bevi e datti alla gioia, senza fare i conti con la morte che lo avrebbe raggiunto nella notte, ci insegna che si è stolti come quell’uomo perché « si accumulano ricchezze per sé  e non ci si arricchisce davanti a Dio».

Gesù considera stoltezza porre la propria felicità nelle cose. Egli non condanna i beni in quanto tali, ma averli ridotti a meta del proprio vivere e unico scopo per poter avere  gioia e felicità. Aver ridotto i beni e le ricchezze ad idolo allontana da Dio: nel Vangelo l’esperienza dei ricchi, come Zaccheo, Matteo, il giovane ricco, mostra come essi sono lontani da Dio, perché sono concentrati sui loro conti e non si accorgono di Gesù se non quando li chiama ed entra nella loro vita, donando loro la gioia dell’incontro con la salvezza. Quando Gesù viene accolto  libera dalla schiavitù della ricchezza e dei beni. Matteo lascia il banco delle imposte, Zaccheo rimborsa coloro che erano stati da lui defraudati.  Nella parabola dell’amministratore infedele esorta a farsi degli amici con la iniqua ricchezza attraverso l’esercizio delle opere di carità. Ma ciò che è importante per Gesù è aver incontrato lui, averlo riconosciuto come Unico Bene per la propria esistenza, essersi affidati a Lui e alla sua parola.

 Accumulare tesori per il cielo.

 La ricchezza della fede, riconoscere la signoria di Cristo nella propria vita, lasciarsi guidare dal sua Parola, è certamente per il credente il ricercare  la vera ricchezza. Questo  lo impegna come dice san Paolo a perseguire le cose di lassù in cui si trova il proprio patrimonio.

« Sembrerebbe consolatorio ammettere che nella fede tutti siamo ricchi e dunque appagati anche quando, di fatto, viviamo in condizioni precarie di vita, siamo perseguitati dai debiti e dai mutui, condannati a spendere prima ancora di aver guadagnato, dovendo confidare in rate e cambiali » (Messale delle Domeniche e feste, Elle di ci,Ed 2013). Con il suo insegnamento Gesù non vuole togliere dall’uomo il rispetto per le sue esigenze, i suoi bisogni, le sue necessità, perché a chi lo ascolta egli non rivolge solo le sue parole, ma si prende cura delle sofferenze e delle necessità di tutti gli uomini.

E nelle Beatitudini in cui proclama beati i poveri in spirito non giustifica la miseria, né desidera che l’uomo viva di stenti. Dio, se ha dato all’uomo di trarre dal suolo il nutrimento, non vuole che per l’egoismo di alcuni altri muoiano di fame o abbiano a soffrire. Beato, allora, è chi davanti a Dio sa riconoscersi povero, distaccato dai beni di fortuna o meritatamente guadagnati, e si affida al suo amore di Padre. E’ povero, ma ricco di Dio, colui che sa spogliarsi di tutto e sa vivere in comunione con i fratelli, condividendo con essi tutto quello di cui si dispone, come Gesù che da ricco che era divenne povero per arricchirci della sua ricchezza divina, si è abbassato fino alla morte per elevarci  alla sua gloria e alla dignità divina. Spogliarsi, allora, delle proprie ambizioni, della propria superbia, del desiderio di predominio sugli altri, della cupidigia e dell’avarizia, dell’attaccamento e possesso dei beni materiali significa ottenere più facilmente la vita eterna.

 Prima Lettura: Qo1,2;2,21-23.

Le cose terrene sono inconsistenti, sfumano in un attimo, ed è vano l’affidarvisi. Ogni realtà è intrisa di  inquietudine e di affanno.  Il messaggio di questa pagina biblica è sempre attuale, di fronte alla tentazione  di appoggiarci alle creature, di affannarci vanamente, credendo di trovare sostegno in cose che in realtà sono destinate a scomparire. Quest’esperienza è preziosa, non perché ci deve portare all’impigrimento, all’accidia o al pessimismo desolato e scettico, ma perché sgombra il cuore e lo induce ad affidarsi a Colui che non passa, che resiste nella mutevolezza delle vicende delle creature terrene; in una parola: ad affidarsi a Dio con la povertà e la libertà del cuore.

Seconda Lettura: Col 3,1-5.9-11.

  Secondo san Paolo siamo già partecipi della risurrezione. E’ vero che questo non è ancora palese, che si trova ancora nascosto. Ma è già realtà, che attende d’essere  manifestata nella gloria. Intanto tutta la nostra attenzione dev’essere oltre questa terra  e il suo orizzonte: la nostra condotta deve assumere  il modello e il principio da Gesù risorto, nella mortificazione di tutto quello che è « terreno », e Paolo per terreno intende  i vari aspetti del peccato, quello che è tipico « del’uomo vecchio », di cui si è ormai spogliati. Dunque ciò che vale veramente e assolutamente non sta fuori, ma dentro di noi: nel mondo interiore, dove opera e si fa sentire il mondo della risurrezione. Quello che è decisivo è la scoperta di questo mondo, la sua esperienza il suo gusto. Il resto passa in secondo ordine. La vita cristiana è un’attesa e un anticipo di quella eterna.

Vangelo: Lc 12,13-21.

 Stolto e illuso è il ricco che  affida la propria riuscita e e soddisfazione alle ricchezze, dimenticandone l’intima instabilità e insicurezza, la radicale vanità. Egli credeva che quel che importava  fosse accumulare tesori  terreni per sé, e dimenticava che la ricchezza che vale  e che resiste è quella che si acquista e si accresce davanti a Dio.

C’è gente  che sembra ricca, ed è nella miseria estrema; c’è gente che al giudizio del mondo è povera, ma possiede la vera ricchezza. La grazia, la santità, le opere di carità sono la ricchezza che resiste e non è soggetta alla volubilità e all’inconsistenza  delle cose del mondo. Si tratta di essere poveri secondo il Vangelo.