7 Luglio – 14a Domenica del Tempo Ordinario.

I discepoli portano a tutti il messaggio di Gesù.

 Il Vangelo di Luca su cui oggi la Chiesa ci chiama a riflettere ci racconta un fatto di cui gli altri tre Vangeli non danno notizia. Durante il suo viaggio a Gerusalemme  Gesù vuole avvicinare molte più persone di quante abbia già incontrato. Gesù compie allora uno sforzo di propaganda, che dovrà essere nel futuro un insegnamento e un modello per la sua Chiesa. Sceglie tra il grande numero dei suoi discepoli 72 persone, e le invia a due a due, come si usava allora, « in ogni città e luogo dove stava per recarsi ». I suoi inviati dovranno annunciare  a tutti che « il regno di Dio è vicino ».

Luca intende evidenziare la portata universale della salvezza, offerta da Dio a tutti i popoli. Settantadue sono gli inviati, ad indicare la  totalità dei popoli del mondo, secondo l’Antico Testamento; in questo numero è dunque simboleggiata l’estensione della missione a tutto il mondo e l’annuncio del Vangelo a tutti i popoli della Terra. Da Gerusalemme, sfavillante di gioia, la buona notizia raggiunge tutti i luoghi e ogni popolo.

  Insegnamenti importanti per i discepoli e tutti i cristiani.

   Ai discepoli che partono come suoi primi missionari, Gesù dà alcuni insegnamenti molto importanti anche per i cristiani di tutti  i tempi. La gente a cui occorre portare il messaggio evangelico è moltissima, e i missionari saranno sempre pochi. Occorre dunque pregare Dio che mandi molti a portare la parola di Dio. L’impegno di annunciare il messaggio di Gesù porterà sofferenze, non darà successo e soddisfazione ( nel senso che il mondo dà a questi termini). I missionari di Gesù saranno come agnelli in mezzo ai lupi.

    Colui che porta il messaggio di Gesù, porta la pace. La pace cristiana è la gioia e la felicità che scaturiscono dall’incontro con Dio. L’unica soddisfazione che i missionari di Gesù possiedono è che « i loro nomi sono scritti nei cieli »: cioè sono già concittadini di Dio, hanno un posto preparato nella casa del Padre.

 Il messaggio di Gesù affidato a tutti i cristiani.

   Possiamo constatare che molti cristiani accettano il messaggio di Gesù, ma non sentano il bisogno di portare questo messaggio alla gente. Si sono abituati a considerare  questa missione come un compito dei preti, dei frati e delle suore. Quelli sono – secondo questa cattiva  convinzione – gli « specialisti » nell’annunciare Gesù, lo fanno per « mestiere ». Il Concilio Vaticano II ha attribuito  anche ai laici il compito missionario, rivalutando il senso della presenza cristiana nel mondo secolarizzato, nei luoghi di lavoro, per le strade, nelle città.

Fin dall’inizio del cristianesimo – è scritto nel Catechismo degli Adulti - gli apostoli insegnano che la missione è affidata al popolo di Dio nella sua globalità:« Voi siete il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce », scrive l’apostolo Pietro.

Di fatto, al tempo delle origini, è vivissima in tutti i credenti la coscienza missionaria. In  chiusura delle lettera ai Romani, viene ricordata una fitta schiera di collaboratori  dell’apostolo Paolo nel servizio del Vangelo: sono uomini, donne, coniugi, intere famiglie. Il cristianesimo si diffonde velocemente sulle vie dell’impero romano soprattutto per l’impegno  spontaneo dei credenti, da persona a persona. Urgente e imperiosa è l’esigenza di condividere con altri la propria fede. Nessuno si tira indietro. Un filosofo, Celso, pensando di screditare la nuova religione, osserva che tra i suoi divulgatori abbondano « cardatori di lana, calzolai, lavandai, gente senza istruzione e di maniere grossolane ». Sebbene i mezzi di trasporto e di comunicazione  siano ancora primitivi, l’annuncio del Vangelo raggiunge in breve tempo i confini del mondo allora conosciuto.

   Guardando alla comunità delle origini, la Chiesa oggi può ritrovare la coscienza della comune vocazione missionaria. La gioia del cristiano che porta la bella notizia nasce dalla consapevolezza di annunciare la salvezza di cui si è fatto esperienza. Ogni cristiano che ha fatto esperienza dell’incontro con Cristo trova il proprio « vanto » nell’annunciare il Crocifisso risorto, unica Parola-Persona che non cambia, unico salvatore che dona gioia vera.

Prima Lettura : Is 66,10-14;

Viene annunciata un’era nuova, di gioia e di consolazione: quella dell'esilio  cessato e della liberazione. Non si tratta di un sogno, ma occorre credere che a condurre la storia d’Israele è Dio, il quale non è bloccato e condizionato da nessuna forza umana. La parola del profeta andava però oltre il traguardo della fine di un esilio. Egli presagiva la venuta del Messia, del Signore Gesù, il liberatore.

Seconda Lettura: Gal 6,14-18.

Il cristiano è una « nuova creatura ». Egli non si appoggia sui meriti che possono venire dall’osservanza della legge di Mosè. Non si vanta delle proprie virtù, ma della grazia, e perciò della passione del Signore assunta e rappresentata in lui. Il mondo quasi scompare, non conta: è crocifisso, così come il cristiano è un crocifisso  a immagine di Gesù.  E’ il paradosso: la riuscita del disegno di Dio passa attraverso la croce. Da essa proviene la pace di Dio e la misericordia. Si tratta anche per noi di portare « le stigmate  di Gesù » nella vita: non tanto i segni fisici sensibili e dolorosi, ma i segni della fedeltà al Vangelo e delle opere compiute secondo la volontà di Dio.

Vangelo: Lc 10,1-12. 17-20.

I discepoli di Gesù sono inviati ad annunziare al mondo la consolazione, la pace. Il motivo di questo annuncio è che il Regno di Dio,

la redenzione,ormai è vicino. Ma occorre fare attenzione: il discepolo deve presentarsi povero, austero, fiducioso, affidato alla forza di Cristo che lo libera  da ogni male, solo preoccupato della salvezza. D’altra parte lo stesso annunzio discrimina. Chi lo lasciasse cadere e lo rifiutasse incorrerebbe nella condanna, perché ha respinto l’offerta di grazia. Su di lui sarebbe imminente e peserebbe il giudizio di Dio. Il Vangelo è estremamente  serio e impegnativo.