28  Aprile – 5a Domenica di Pasqua.

       Il cammino pasquale della Comunità,

 Se vogliamo capire chi è Gesù, quale identità di Dio egli ci rivela, possiamo comprendere tutto questo attraverso la contemplazione del Crocifisso, che è la massima espressione con cui Dio ci ha amato, perché non ha risparmiato neppure il suo unico Figlio, in quanto lo ha dato per tutti noi. Se Dio, in Cristo Gesù, ci ha amati  sino alla fine, l’amore autentico dell’uomo verso Dio lo ha manifestato Gesù, che ha avuto una fiducia totale nel Padre da spendersi completamente per noi).

   L’amore di Gesù per noi ci è stato manifestato in un dono totale che egli ci ha fatto fino a farsi crocifiggere per noi. Quello di Dio, in Gesù, non è un amore del tento-quanto, ma è un dono totalmente gratuito e basta. Nella croce il cristiano trova il modello della sua risposta di amore a Dio, perché la croce gli manifesta quanto Gesù lo ha amato: si è donato fino alla follia, sebbene incompreso e abbandonato anche dai suoi intimi. Il suo dono incondizionato apre il cammino verso la reciprocità dell’amore da parte dell’uomo. La comunità cristiana nasce perché il Crocifisso è risorto e, mediante il suo Spirito, convoca coloro che si lasciano trafiggere il cuore dopo il racconto che Pietro fa degli eventi di Gesù. Quella di Cristo è l’unica strada che i cristiani devono seguire per realizzare una profonda reciprocità di amore con il loro Signore.

    La Comunità si consolida

Se Domenica scorsa la Parola di Dio ci ricordava la sua efficacia nel portare i suoi frutti a tempo e a modo propri, nonostante il rifiuto che l’uomo può opporre, nella lettura degli Atti di oggi, attraverso le azioni di Paolo e Barnaba, che ritornano, attraversano,raggiungono, scendono, arrivano…non solo ci viene descritta la loro azione missionaria, ma ci viene detto della Parola che essa è una realtà dinamica che raggiunge gli uomini nella loro vita concreta.

   Paolo e Barnaba, dopo aver fondato le comunità in alcune città, vi ritornano per « confermare i discepoli, esortarli a restare saldi nella fede  », cioè a consolidare le Comunità del Signore essendo esse ancora comunità giovani e da poco fondate. In queste si viveva il paradosso del Regno di Dio inau-gurato da Gesù, regno che registra anche opposizioni interne alle stesse comunità: in esse è viva  la tentazione di pensare che la presenza del Regno elimini le prove e le difficoltà della vita. Le tribolazioni invece sono presenti, in questa esistenza terrena, come  normali prove che i discepoli del Signore devono affrontare e superare quotidianamente così da restare saldi nella fede lungo il cammino della vita verso il Regno promesso.

    L’esistenza e la vita del cristiano è, allora, sempre sotto il segno della certezza che il Regno opera anche in maniere nascosta, come il lievito, ma  vi è contemporaneamente la tentazione di credere che la potenza del Vangelo scavalchi la storia concreta è anche presente.

    Affinché le Comunità possano perseverare e consolidarsi nella fede i due missionari costituiscono alcuni anziani, che, se è il tentativo di strutturare le comunità, dall’altra le dovranno guidare per non deviare dalla retta fede. Su di essi impongono le mani e li affidano alla protezione del Signore.

Così la loro vita e la loro azione devono appartenere esclusivamente al Signore ( nel loro servizio di capi essi devono essere sottoposti al Signore e porsi al servizio dei fratelli ). Inoltre, viene espressa la convinzione che la vera guida delle comunità resta sempre in definitiva il Signore. Vi è espressa la logica che nelle Comunità cristiane più che quella  del potere, deve regnare quella del servizio come aveva detto Gesù, che era venuto per servire e non  per essere servito. Questa del servizio dovrebbe distinguere le comunità cristiane da ogni altra organizzazione umana e sociale.

   La comunione tra le Chiese.

   Nel ritornare ad Antiochia Paolo e Barnaba raccontano « tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro ». E’ un fatto importante della missione che il missionario che è stato mandato,  ritornando racconti la sua esperienza e ciò che la grazia di Dio opera negli uomini per mezzo loro. La narrazione della missione diviene cosi esaltazione dell’opera di Dio, delle grandi e mevigliose cose che Dio compie nella storia e non l’esaltazione degli sforzi compiuti dai credenti. I discepoli, ci narra Luca nel Vangelo, inviati da Gesù, ritornando raccontano pieni di gioia che anche i demoni si sottomettono a loro nel suo nome. Se si raccontano le opere dei missionari è per narrare ciò che Dio compie non ciò che l’uomo opera, perché quello che è accaduto è un dono di Dio e, poiché è dono, esso deve diventare lode a Dio e condivisione. Inoltre ciò che Dio compie in un luogo deve diventare un insegnamento  per tutti ed edificazione della comunità che deve  aprirsi alla presenza attiva di Dio. L’esaltazione della propria opera non sarebbe” la lieta notizia” ma solo celebrazione della propria vanità.

 Prima lettura : At 14,21-27.

    Paolo e Barnaba esortano i discepoli del Signore a « restare saldi nella fede ». Non mancano le tribolazioni che la possono mettere alla prova e in pericolo. Ma le sofferenze sono necessarie per entrare nel Regno di Dio. Le comunità fondate sono affidate agli anziani perché essi svolgano un servizio verso la comunità del Signore. Chi presiede non sostituisce il Signore Gesù, ma lo rende come visibile. Una Chiesa c’è e vive in virtù della grazia  che sola genera la santità. Essa non è visibile, ma opera nell’intimo dei cuori.

 Seconda Lettura : Ap 21,1-5.

La nostra vita non ci è data per viverla sempre su questa terra ma il Signore ci darà un nuovo cielo e una nuova terra. Verrà la santa Gerusalemme dove Dio sarà in intima comunione con gli uomini, dove ogni sofferenza scomparirà e passerà ogni lutto. E’ questo un ideale lontano, un sogno? Nient’affatto. Attraverso l’immagine del cielo e della terra nuova, delle cose di prima che passano e delle altre che sono fatte, ci viene detto che una nuova condizione ci attende, di cui non abbiamo ancora esperienza ma che svrà la pienezza della redenzione: la risurrezione di tutti in Cristo per essere partecipi della vita eterna.

 Vangelo: Gv 13, 31-33.34-35.

   Il vangelo ci parla della glorificazione di Gesù da parte del Padre, che viene così glorificato dal Figlio per la sofferenza e la croce che egli accetterà come compimento della sua volontà. Per l’uomo la croce è fallimento e ignominia: per il Signore e secondo il disegno di Dio essa è glorificazione. Con la croce Cristo redime il mondo: essa è strumento e passaggio per la risurrezione. Il comandamento nuovo che Gesù dà ai suoi discepoli è segno di appartenenza a Cristo e deve essere distintivo di coloro che vogliono seguirlo. Non possiamo non amarci dopo che Gesù sulla croce ci ha amato. E questo av-viene come risultato della comunione  a quell’amore di Gesù che è presente e condiviso nell’ Eucaristia.