21 Aprile – 4a Domenica di Pasqua

     Dio ci fa dono nel suo Figlio della vita eterna.

 Nella Parola di Dio di questa domenica il tema è la promessa della Vita eterna. Per tutti gli uomini, senza distinzione, vi è l’annuncio della risurrezione quale dono di speranza. Gli apostoli portano questo annuncio a tutte le genti e nel libro dell’Apocalisse ( 2a lettura) ci viene presentato il progetto di Dio per la storia: un’immensa moltitudine  di quelli che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello è radunata davanti al trono di Dio e dell’Agnello. Il Pastore che ha dato la vita terrena per le sue pecore le ha unite per sempre a sé donando loro la vita eterna.

   L’eternità, allora, possiamo immaginarla come l’unità in Dio di tutte le genti nella pace e nella luce della Verità di Dio.  Questo futuro in Dio e il riconoscimento del dono della vita eterna di cui Dio ci fa partecipi caratterizzano ancora troppo poco la vita della Chiesa. Sperimentiamo, forse, con molta facilità il sentirsi legati a tradizioni e certezze del passato, piuttosto che sentirsi impegnati nello sperimentare linguaggi nuovi della fede, o nuovi cammini di testimonianza. L’essere aperti alla novità del Vangelo dovrebbe orientare le comunità cristiane verso la realizzazione di un mondo nuovo e rinnovato con la prospettiva dell’eternità. La Parola di Dio, oggi, ci preannuncia quale è il destino dei battezzati e li impegna a vivere attivamente e a costruire un mondo rinnovato nell’amore, preludio e anticipazione di quello futuro dell’eternità.

Rifiuto e accoglienza del messaggio di Cristo risorto.

  Se la predicazione del messaggio di Cristo, da parte di Paolo e Barnaba, suscita l’accoglienza entusiasta dei pagati che se ne rallegrano da una parte, dall’altra vi è la gelosia e la reazione violenta dei giudei tanto da cacciarli dal loro territorio. Così i lontani accolgono l’annuncio e i vicini lo rifiutano.

   La Parola di Dio che viene annunciata da Paolo e Barnaba convoca la folla, è glorificata dai pagani e si diffonde in tutta la regione. La Parola ha una tale forza in sé che porta frutti secondo una sua logica interna: questa indica il senso dell’apertura ai pagani, che come dice il profeta Isaia, è « luce » per tutte le genti e portatrice di « salvezza  fino all’estremità della terra » (Is 49,6). L’annuncio della Parola del Vangelo , per il nuovo Testamento, ha una priorità da mantenere: deve essere prima portato al popolo eletto, depositario delle promesse di Dio, perché, accettando il Messia e mettendosi al suo servizio, esso potrà essere « luce delle genti » chiamandole a condividere  a loro volta la salvezza realizzata da Dio. Di fronte al rifiuto, però, gli apostoli si rivolgono a quelli a cui questo messaggio deve essere ugualmente rivolto, affinché il disegno salvifico di Dio si compia per tutte le genti. L’apertura ai pagani, portando loro l’annuncio della salvezza, diventa la realizzazione del comando di Gesù di andare in tutto il mondo e di predicare a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati e di battezzarli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Così la storia e l’opera di Gesù continua nella storia e nell’opera  della Chiesa. Il compito di essere luce del mondo e salvezza dei pagani è passato ora in mano agli apostoli e a coloro a cui lo trasmetteranno: alla Chiesa tutta, ai discepoli che nella fedeltà a quell’annuncio continueranno l’opera di Gesù. Né d’altra parte le difficoltà e le persecuzioni  spaventa-no i cristiani o arrestano la corsa della Parola di Dio: questa trae la sua forza  e l’efficacia non tanto dall’accoglienza di coloro a cui è rivolta, ma essa è feconda in se stessa se la si accoglie con cuore pronto e sincero.

 La fedeltà di Dio.

Il Vangelo ci offre la stessa prospettiva: coloro che accolgono la parola di Gesù sono da lui definiti con la similitudine del gregge, di cui Egli è il buon Pastore. Come il rapporto tra il pastore e il gregge è vissuto dal primo con fedeltà e amore, tanto da dare la sua vita per il secondo per difenderlo, e dal gregge a sua volta deve esserci l’ascolto e la sequela, così è da parte di Cristo e dei cristiani. Come il pastore è dalla parte delle pecore e queste non devono temere nulla, così Cristo « dà la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla sua mano ».

   L’efficacia della Parola, la certezza che Dio accompagna l’agire dei credenti nonostante tutte le smentite e le avversità, la certezza di una storia che avrà la sua pienezza sotto il se- gno della benedizione di Dio devono farci superare qualsiasi titubanza nell’affidarci alla logica evangelica e nel vivere la nostra fedeltà a Cristo.

 Prima Lettura: At 13,14.43-52.

C’è chi respinge la salvezza e chi invece l’accoglie, chi si chiude e chi si apre alla luce; chi bestemmia e chi è pieno di gratitutine e di gioia. Vediamo di stare con i secondi, di rallegrarci per essere cristiani e discepoli  del Signore; di riflettere anche al dono che ci viene fatto, impegnandoci a « perseverare nella grazia di Dio ». Non è sufficiente aver ricevuto all’inizio la sal-vezza; occorre perseguire, vincendo le tentazioni della stanchezza e della mediocrità di fronte agli ostacoli nell’essere cristiano coerenti. Voler essere fedeli  costa non poco, Ma Cristo per redimerci è morto in croce.

 Seconda lettura: Ap 7,9.14-17.

Gesù è insieme agnello e pastore: agnello nel cui sangue sono lavate le colpe; pastore, alla cui guida si giunge alle « fonti del-le acqua della vita ». Giovanni apre uno squarcio sulla vita celeste: vi ritrova i martiri passati dalla tribolazione, puri dal peccato e ormai nella gioiosa comunione  con Cristo. Tutti sia-mo chiamati a rendere monda la nostra vita, a essere fedeli a Cristo nella prova, a vivere la speranza ossia l’incrollabile certezza che alla sofferenza, alla passione, seguirà la consolazione. Così tutti siamo chiamati a questa gloriosa comunione.

Non c’è distinzione di razza o di lingua. Cristo è redentore e Signore universale. Intanto attingiamo alle acque della vita con i sacramenti e in particolare con l’Eucaristia, dove abbiamo il Sangue che lava e lo Spirito che disseta.

 Vangelo Gv 10,27-30

Gesù chiama gli uomini alla salvezza: li conosce profondamente e dona per loro la sua vita. E’ il modo singolare con cui egli è pastore. Un legame profondo li unisce a lui e alla tenacia del suo legame nessuno li può strappare. Questa presenza del Cristo tra gli uomini, questa sua carità, rispondono al progetto di Dio che affida a Gesù l’umanità da redimere  attraverso quest’intima unione. Ma Cristo, che ricevendola dal Padre lo proclama « più grande di tutti », è « una cosa sola » con il Padre , è lo stesso Dio. Questa appartenenza a Cristo e questa forza del vincolo di carità che a lui ci stringe sono il fondamento dell’abbandono e la ragione per cui non ci lasciamo disarmare  da nessun evento e da nessuna disavventura.