3 MARZO  - 3a  Domenica di Quaresima.

        Dio è un Padre misericordioso verso i suoi figli.

    Dio, che con li uomini intrattiene un rapporto di amore, dopo il peccato, ha sempre riannodato questo rapporto e, con Noé, con Abramo, con il  popolo eletto attraverso Mosè, realizza concretamente la sua salvezza nella storia degli uomini e chiede agli uomini una libera adesione al suo amore.

   A Mosè, cresciuto in Egitto, in mezzo al suo popolo schiavo del faraone, Dio, attraverso il roveto ardente, si rivela come il Dio dei Padri, e , nella sua fedeltà, lo invia a compiere la missione della liberazione del popolo oppresso.

   La storia della liberazione è la prova della fedeltà di Dio, che, anche davanti alla infedeltà degli Israeliti, dimostra il suo amore misericordioso. Davanti alla gratuità di questo amore, il popolo chiederà sempre segni e prodigi potenti ed efficaci di Dio. Dio ama ugualmente questo popolo dalla “dura cervice e infedele”.

   San Paolo nella lettera ai Corinzi, oggi, esorta gli israeliti che sperimentarono nei loro padri la nube di protezione di Dio, il passaggio prodigioso nel Mar Rosso, la manna con cui furono sfamati, l’acqua dalla roccia con cui furono dissetati, ad accogliere Cristo, come roccia spirituale, per non cadere nella  tentazione di desiderare “cose cattive, come essi le desiderarono”, a “non mormorare…” per non “cadere vittime  dello sterminatore”. Se da una parte Dio verso tutti riversa la sua bontà, è anche vero che non tutti gli uomini rispondono allo stesso modo. E’ possibile vincere la tentazione della mormorazione solo se si è radicati profondamente nella fede in Dio.

 Cristo e gli uomini del suo tempo

 Gesù, a coloro che lo informano sulla sorte toccata a quei Galilei che furono giustiziati da Pilato, risponde dicendo che quei Galilei non erano più peccatori di coloro che erano morti nel crollo della torre di Siloe, ma invita a convertirsi perché se no si perisce allo stesso modo. Così Gesù vuol correggere la concezione religiosa del tempo per la quale si credeva che le sventure dovevano ritenersi conseguenze del peccato e punizione di Dio. Forse ancora oggi questa convinzione serpeggia nella mentalità di tanti cristiani. Gli eventi negativi devono solo farci riflettere che questi possono verificarsi in qualsiasi momento della vita dell’umanità, sia per cause naturali che per colpa volontaria o involontaria degli uomini,  e che devono considerarsi segni  e richiami a vivere in continua conversione, per trovarsi sempre pronti a comparire davanti al giudizio di Dio: Gesù quindi parla di peccato in cui tutti ci troviamo e invita alla conversione sotto pena di dannazione. Gesù non vuole stabilire chi è colpevole o meno ma invita ad interrogarsi sui propri atteggiamenti e azioni per guardare avanti e rinnovarsi nella fedeltà a Dio, vivendo il rapporto con Lui in maniera più intensa, convertendosi e dando il giusto senso alla propria esistenza secondo l’esempio di Gesù e secondo la volontà di Dio. La nostra vita deve annunciare qualcosa di diverso e nuovo.

  L’invito alla conversione.

 La parabola del vignaiolo che conclude la pericope evengelica ci invita a riflettere sulla misericordia di Dio. La supplica del vignaiolo al padrone della vigna perché gli dia la possibilità di zappare e concimare attorno al fico perché porti frutto, rivela il volto misericordioso di Dio che Gesù è venuto ad annunciarci. Dio permette sempre che coloro che sono preposti a coltivare la sua vigna la curino con la sua parola e con i sacramenti, perché ognuno porti frutti secondo la propria indole spirituale e secondo la volontà di Dio.

    Convertirsi e portare frutti significa orientare tutta l propria vita secondo le esigenze del vangelo, cosicché esso permei via via tutta la nostra vita, sicuri che solo perdendosi e dandosi ai fratelli  come Cristo ognuno ritrova la sua esistenza più piena e realizzata. Se da una parte,allora, la misericordia di Dio attende, dobbiamo sempre ricordare che se non ci convertiamo possiamo tutti perire come ci ammonisce Gesù: “Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no lo taglierai”.

   La conversione, allora, è  veramente cristiana se sarà una risposta all’amore di Dio che continuamente  ci interpella, se accogliamo il suo perdono che ci rinnova tutte le volte che coscienti del nostro peccato torniamo fiduciosi alla sua misericordia.

 Una vita nuova nel Signore

 Dio, nella sua grande bontà, attende che noi ritorniamo a Lui. Non si rassegna a perderci. Lascia che con il tempo il fico, la nostra vita, produca i suoi frutti. Questo non deve, però, significare, né che dobbiamo essere impazienti o assillati da idealismi, che ci possono far scoraggiare se non vediamo risultati immediati di conversione e di bene, né che ci culliamo nel nostro peccato e ritardiamo il cambiamento in senso evangelico della nostra vita. Dobbiamo scoprire il volto misericordioso di Dio che scommette sui suoi figli  e sulle sue creature proprio quando ormai pare irragionevole sperare qualcosa di buono. Questa è la prospediva di Dio: saper attendere, che il peccatore, come il Figlio prodigo, prenda coscienza del suo male e ritorni fiducioso al suo abbraccio paterno.

 Prima lettura : Es 3,1.8.13.15

 A Mosè appare il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Signore della storia, non un idolo, cui si possa dare un nome e piegare a sé. E’ il Dio delle promesse, il Dio trascendente ma anche così vicino all’uomo, al suo popolo.  Un Dio che sente le miserie del suo popolo  e decide di liberarlo dalla schiavitù. “IO sono colui che sono!”: l’uomo non può comprenderlo e dominarlo, e  pure sarà il redentore, la guida, la sicurezza. Se Israele sarà riscattato con l’esodo,ogni uomo sarà salvato quando “Colui che è” si rivelerà in  Gesù, che davanti ai soldati nel Getsemani si proclamerà  l’”IO SONO”.

Seconda lettura : 1 Cor 10,1-6.10-12

 I segni che accompagnavano il popolo lungo il deserto hanno avuto piena realizzazione in Cristo. Così il lavacro, il cibo,  e la bevanda spirituali per la maggior parte del  popolo d’Israele non hanno potuto salvarla, a motivo della diffidenza e della mormorazione. Ciò che avvenne ai nostri padri, dice Paolo, è un ammonimento per i Corinzi e per noi, così spesso percorsi dalla ribellione , dalla mormorazione contro Dio, dalla diffidenza e dalla pretesa dei nostri meriti, e anche esposti alla tentazione di infedeltà al dono del Vangelo e della grazia. Senza una adesione interiore, fatta di fede e di opere, nessun atto sacro, nessuna comunione ai sacramenti, ci può veramente salvare.

 Vangelo : Lc 13,1-9.

Senza conversione ci ammonisce Gesù si perisce. E tutti ne abbiamo bisogno. La rovina che ci toccherebbe non sarebbe solo quella materiale, sarebbe anche quella definitiva e totale, il fallimento dell’intera vita, in maniera irrevocabile. Sarebbe il castigo per la sterilità e per una esistenza improduttiva, in cui il disegno divino non è stato realizzato. Dio è paziente e per questo nella Quaresima, segno della pazienza di Dio,  è insistente l’esortazione a mutar vita. Ma non dobbiamo dimenticare che se non porteremo frutti non potremo godere della salvezza.