3 DICEMBRE PRIMA DOMENICA  d’AVVENTO. (Anno B)

L’attesa del Signore  che viene è segno e sacramento di salvezza.

Con l’Avvento inizia per la Chiesa il nuovo anno liturgico. I cristiani riprendono a meditare i misteri della fede: i gesti  della vita del Signore, dall’attesa alla nascita, alla vita pubblica, alla passione, morte e risurrezione e, inoltre, a meditare il tempo della Chiesa dalla Pentecoste alla fine dei tempi (Parusia).

Questi misteri  del Signore non sono lontani nel tempo, sepolti nel passato. Quello che il Signore ha compiuto, il suo valore, la grazia della salvezza rimangono ancora. Nella celebrazione  liturgica dei misteri del Signore deve crescere in noi la nostra conformità a Cristo, Signore del tempo, il quale non tramonta e, soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, celebrata di domenica in domenica,  vi  attingiamo la grazia della salvezza per vivere secondo il progetto che il Padre ha realizzato per mezzo del suo Figlio.

L’Avvento è il tempo dell’attesa del Signore che viene  nel Natale, per cui dobbiamo prepararci spiritualmente alla sua venuta nei nostri cuori. Nell’ascolto della parola dei profeti, che ci preannunziano questa venuta, riviviamo la speranza dei giusti; riviviamo la fede di coloro che hanno accolto l’invito del Battista a preparare il cuore ad accogliere colui che sarebbe stato più grande di lui, il Messia, di cui era precursore; ci uniamo a Maria e Giuseppe, chiamati da Dio Padre ad accogliere il suo Figlio, mandato, nel suo immenso amore per gli uomini,  a redimerci da peccato, rendendoci suoi figli e donandoci con la grazia la vita divina: bisogna, allora,  liberare i nostri cuori dagli ostacoli che si frappongono alla sua venuta.

Il Signore, nato umile  e povero a Betlemme, viene in noi continuamente tutte le volte che apriamo il nostro cuore al suo amore, alla sua Parola, ai suoi gesti sacramentali. Ma in questo tempo dell’Avvento rendiamoci più attenti, vigilanti, per non lasciar passare invano questo tempo in cui il Signore bussa alla porta dei nostri cuori e ci invita a rimanere con lui. Nella preghiera più intensa, vigile e attenta saremo più pronti ad accogliere il Signore che viene e ci offre la sua amicizia.

In queste prime domeniche, la liturgia ancora ci fa ripensare alla venuta di Gesù come giudice, che varrà alla fine dei tempi, quando la storia sarà conclusa, il cammino della Chiesa giungerà alla meta e  la speranza del premio eterno cesserà.  Ma  poiché per ognuno di noi  l’incontro con Cristo avviene nel momento della nostra morte, viviamo in questo nostro tempo non praticando scelte sbagliate. Scuotiamoci dal nostro torpore, accogliamo l’invito dell’Apostolo Paolo a svegliarci dal sonno, a riprendere il cammino di fedeltà, con le lampade della fede, della speranza e della carità accese e con il vivo desiderio di incontrarlo, così da non farci sorprendere impreparati.

In questa prima Domenica, nella Colletta iniziale dell’Eucaristia preghiamo dicendo: « O Dio, nostro Padre, nella tua fedeltà  ricordati di noi, opera delle tue mani, e donaci l’aiuto della tua  grazia, perché  resi forti nello spirito, attendiamo vigilanti la gloriosa venuta di  Cristo tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te… ».

Prima Lettura: Is 63,16-17.19; 64,2-7.

Il profeta Isaia rivolge al Signore l’implorazione affinché Egli, che è Padre e si chiama Redentore del suo popolo, scenda, squarci i cieli e non lo lasci più vagare lontano dalle sue vie né  che si indurisca  il suo cuore.  Il profeta rievoca ancora le gesta compiute dal Signore per il suo popolo, ma soprattutto  che egli abbia fatto tanto per chi confida in lui, che vada incontro a coloro che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle sue vie. Riconosce che il Signore è adirato per le colpe commesse, per essere stati ribelli, per essere divenuti come cosa impura, non avendo praticato la giustizia e non avere invocato il suo nome. A questa supplica accorata, Dio, che ha nascosto il suo volto  e  messo il popolo in balia delle sue  iniquità, risponde  con il sorprendente dono del suo Figlio, che si fa uomo. E tutto ciò fa Dio non per i nostri meriti ma, essendo  nostro Padre e noi,  “argilla”, opera delle sue mani, per un dono d’amore e di grazia, riconciliandoci con sé e riportandoci a vivere in comunione con lui.

Seconda Lettura: 1 Cor 1, 3-9.

San Paolo scrivendo ai Corinzi, dopo aver augurato pace e grazia da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo, ringrazia  Dio perché li ha « arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e della conoscenza ». Ed essendo stati stabili e saldi nella testimonianza della fede e  ad essi non manca nessun carisma fino alla manifestazione del Signore, chiede a Dio che li renda fino alla fine irreprensibili.

Poiché  il Padre ci ha donato tutto in Cristo, tutti dobbiamo vivere e conservare fedelmente l’amore e i doni da lui elargiti, mettendo in pratica il Vangelo, così da essere trovati irreprensibili nel giorno in cui il Signore verrà a giudicarci.

Vangelo: Mc 13,33-37.

Gesù esorta tutti coloro che vogliono essere suoi discepoli ad essere fedeli e operosi, come i servi che il padrone di casa ha lasciato, affidando ad ognuno un compito da assolvere con diligenza e impegno e al portiere quello di vegliare fino al suo ritorno. Non sapendo i servi né il giorno e né l’ora in cui il padrone improvvisamente ritornerà, essi devono vegliare per non essere trovati addormentati. Dalle parole del Signore, che affida od ognuno dei compiti per la realizzazione del Regno di Dio, dobbiamo accogliere il suo pressante monito con cui si conclude la parabola odierna: « Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate! »,  ovvero: « Tenetevi pronti! ».